L’amore social è come una ciambella (finisce subito)
Tra le varie conseguenze della vita sui social ce n’è una di particolare rilievo: la brusca accelerazione che hanno subito le nostre storie d’amore. Ci si comincia a seguire su Twitter, ci si ama su WhatsApp e ci si dice addio tre giorni dopo su Facebook. Il tutto senza che ci sia bisogno d’incontrarsi di persona, e tantomeno di fare sesso. Nel 1973 Woody Allen ne Il dormiglione prefigurava un futuro in cui il piacere veniva procurato da un macchinario simile a un box doccia chiamato Orgasmatic. Siamo riusciti a costruire dispositivi infinitamente meno ingombranti: tablet e smartphone. In quel film, corre l’anno di grazia 2173, a un certo punto veniva detto:
«Il sesso è diverso oggi, noi non abbiamo nessun problema, tutti sono frigidi». L’amore social viene consumato rigorosamente a parole, e più che la simulazione dell’atto ciò che importa è analizzare i desideri e le fantasie del partner. Siamo tutti l’analista amatoriale di qualcun altro, e quello che prima aveva bisogno di tempo per emergere lo confidiamo immediatamente al primo che, ad esempio, commenta una nostra foto su Instagram o su Flickr.
Il punto è proprio questo: l’eccesso di informazioni che anticipano e bruciano l’eventuale possibilità di un incontro reale. Coi discorsi tendiamo a portaci troppo avanti, spesso fino al termine stesso della relazione, causato dalla sensazione che dall’altra parte del pc il presunto partner non abbia più nessun segreto, sia una specie di prevedibilissimo libro aperto (guardarsi in web-cam in questo senso rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso di noia). Prima bisognava vivere insieme per scoprirsi, adesso non serve più. In qualche caso ci risparmieremo convivenze o matrimoni con la persona sbagliata, che poi si sarebbero comunque risolti in un buco nell’acqua.
Ma il viaggio in buona fede, anche disastroso, non era il sugo di quella che un tempo veniva chiamata esperienza? Per i più romantici resistono le messaggerie istantanee tipo Skype, l’equivalente di un tavolo a lume di candela con séparé, dove si può coltivare la pia illusione di essere più appartati. Scriveva Roland Barthes nella bibbia asistematica dell’amore novecentesco Frammenti di un discorso amoroso:
«Il mondo è precisamente questo: un obbligo di spartizione. È fastidioso tutto ciò che cancella la relazione duale. Tu appartieni anche a me, dice il mondo».
Chi di social ferisce di social perisce: i soggetti coinvolti in una relazione nata su Twitter o su Facebook sono perfettamente consapevoli che l’attenzione dell’altro è sempre minacciata da una torma di follower o di amici. Non solo una storia quindi, ma anche tanti approcci paralleli che tendono a sovrapporsi, una sorta di poliamore digitale che gira in tondo, spesso disorientando. La connessione perenne ci offre continue possibilità di relazione e allo stesso tempo l’impossibilità di quella stessa relazione: tanti amanti, nessun amante. Ma ci si convince che prima o poi ci fermeremo, che prima o poi arriverà davvero una persona in grado di spezzare il tran tran digitale, l’amore inappagante e perciò ad libitum offerto dalla rete, ignorando che mai come oggi il mezzo è il messaggio.
Il punto è che in mancanza dei corpi — abbiamo a che fare solo con avatar, o icone, o immagini, in una spirale feticistica —, si penetra da subito la mente. I nostri lati oscuri, quelli a cui in passato si accedeva solo dopo il matrimonio, vengono svelati facilmente attraverso un paio di click del mouse o di ditate sul touch screen, con risvolti spesso tragicomici. Mai la strada tra innamoramento e indifferenza è stata tanto breve (la fase amore, quella fondativa delle coppie tradizionali, viene di norma saltata a piè pari). Nel giro di poche ore il tenore dei messaggi cambia drasticamente: si passa dall’estasi di due sconosciuti che scoprono di piacersi ai dialoghi rancorosi di una coppia rodata. Ma la fine della storia è generalmente indolore: abbiamo appena bloccato un partner — metaforicamente ma talvolta anche alla lettera! — che subito ne arriva un altro.
L’ennesimo mistero da indagare il più velocemente possibile per passare al mistero successivo. La coppia 2.0 non ha neanche modo di mettersi alla prova nel quotidiano, perché il tempo in rete è un continuum impossibile da tripartire in passato, presente e futuro. Internet è una somma d’istanti neutri, atemporali, senza sole né luna: la luce proviene direttamente dagli schermi. Ancora Roland Barthes:
«Come si può chiamare quel soggetto che, a dispetto di tutto, persevera in un errore, come se per sbagliarsi disponesse dell’eternità?».
Così come non esiste più differenza tra lavoro e dopolavoro, ci si ama a oltranza, ci si ama troppo su Internet, cioè spesso anche a sproposito. Effetti collaterali: onanismo, alienazione, anaffettività, schizofrenia.
Ma il matrimonio come accordo tra padre della sposa e sposo degli antichi greci era meglio o peggio?
E quello degli antichi romani che obbligava alla monogamia ma ammetteva prostituzione e concubinato?
E le separazioni seriali cominciate nel secolo scorso e in costante aumento?
Insomma è inutile piangere sul latte versato. Una parola di recente caduta in disgrazia è proprio virtuale: tutto questo è reale, ormai.