26 maggio 2016

Eritrea, la prigione d'Africa. Non c'è niente da festeggiare

A 25 anni dall'Indipendenza l’ex colonia italiana celebra un quarto di secolo di vita con parate e fuochi d’artificio. Ma il regime del presidente Afewerki lascia una sola speranza ai suoi giovani. La fuga.

Chissà se avrà festeggiato il giorno dell’indipendenza il ragazzo con i tatuaggi sulle braccia, due scritte in inglese dipinte prima di scappare dal suo Paese-prigione: "Stato di diritto" e "Passa tutto". Aveva 24 anni l’estate scorsa, l’ha fotografato alla stazione di Milano la reporter senegalese Ricci Shryock. Uno dei 40 mila eritrei che nel 2015 hanno raggiunto l’Italia attraversando il Sahara e il Mediterraneo, scappando da un Paese che secondo l’ultimo rapporto Onu è teatro di "gravi e diffuse violazioni dei diritti umani"

Forse non c’è nazione al mondo che si "svuota" così velocemente: su 4,5 milioni di abitanti, il 9% sono fuggiti all'estero negli ultimi anni. Dopo i siriani, gli eritrei sono il gruppo più numeroso in arrivo in Europa. L’anno scorso solo 475 su 40 mila hanno chiesto asilo nel nostro Paese. Gli altri puntavano oltre le Alpi, Svizzera, Germania, Olanda le mete. L’Italia no, forse perché è come se ci fossero cresciuti. Non c’è posto in Africa più italiano di Asmara, la capitale dell’ex colonia che tra parate e fuochi d’artificio ha celebrato i 25 anni di indipendenza dall'Etiopia.

Il 24 maggio del 1991 l’esercito del Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea (FPLE) entrava ad Asmara accolto dalla popolazione in festa. L’Eritrea era indipendente dopo una lotta trentennale contro l’Etiopia, cui era stata federata dall'Onu nel 1952, e che l’aveva annessa dieci anni dopo. Era stata una lotta durissima, nell'isolamento internazionale ma fortemente sostenuta dalla popolazione.

Il risultato del referendum di autodeterminazione, tenutosi nell'aprile del 1993 sotto l’egida dell’Onu, ne è la testimonianza più chiara: il 99,83% dei voti furono per l’indipendenza. L’Eritrea diventava a tutti gli effetti il 53° stato africano e aveva il suo seggio alle Nazioni Unite e all'Organizzazione dell’Unità Africana (ora Unione Africana). I festeggiamenti, sia in Eritrea che nelle comunità della diaspora, durarono giorni. Momenti di tripudio indimenticabili per tutti coloro, eritrei e non, che ebbero la fortuna, e l’onore, di potervi partecipare.

Asmara, Eritrea (Cinema Impero)
Le bici e il cinema Impero .. Il nome Eritrea (dal greco, rossiccio) uscì nel 1890 dalla penna di Carlo Dossi, scrittore amico del presidente del Consiglio Francesco Crispi. Roma governò quello spicchio d’Africa per mezzo secolo. Asmara sfoggia ancora l’architettura modernista dei nostri anni Venti e Trenta. E poi il Cinema Impero, il Liceo Marconi, il cocktail Negroni, il culto del caffè macchiato, la bici come sport nazionale e unico mezzo di locomozione in un Paese-caserma dove il servizio militare obbligatorio (perenne dai 16 anni in su) viene pagato con 30 euro al mese. La prima bici arrivò da Roma nel 1898, nel 1946 si corse il primo Giro dell’Eritrea (comunque riservato agli italiani).

Oggi gli stranieri invitati dal presidente-padrone Isaias Afewerki fanno un viaggio nel tempo sulla ferrovia da Massaua ad Asmara, capolavoro della nostra ingegneria. Le funzionanti locomotive, costruite ottant’anni fa, sono un po’ l’equivalente eritreo delle vecchie decappottabili americane circolanti a Cuba.

Ciclisti e calciatori .. Se l’America di Obama ha riallacciato i rapporti con Cuba e dei vetusti Castro. L’Eritrea del settantenne Afewerki rimane uno dei Paesi più chiusi e isolati del mondo. Internet è un lusso per l’1% della gente. I ciclisti eritrei corrono il Tour de France con una squadra del Sudafrica, e quando tornano sono accolti con adunate di piazza. Se tornano: l’anno scorso dieci giocatori di calcio in trasferta hanno chiesto asilo politico in Botswana.

Speranze disattese .. Molti sono gli eritrei residenti all'estero che sono tornati a casa per le celebrazioni, ma molti di più sono quelli che non torneranno, per non festeggiare con il governo di Isaias Afwerki che ha deluso le speranze di libertà, pace e sviluppo che avevano sostenuto la lotta per l’indipendenza. In Eritrea in 25 anni non è stata promulgata la costituzione e non ci sono mai state elezioni politiche. Vige un regime a partito unico, lo stesso fronte di liberazione che ha cambiato nome, Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ).

Le violazioni dei diritti umani, civili e individuali sono tanto gravi da meritare di essere indagati dall'apposita commissione dell’Onu. Le prigioni sono piene di prigionieri politici e per reati di opinione. L’economia è rigidamente statalizzata e al collasso. Dal paese un flusso continuo di giovani, ormai anche molti minorenni, cerca rifugio nei paesi vicini e finisce per incamminarsi verso le sponde del Mediterraneo, nelle mani dei trafficanti di esseri umani. La popolazione, al momento della liberazione compatta e coesa, è ora divisa tra chi sostiene il governo e chi vi si oppone strenuamente.

La guerra permanente .. Il servizio militare permanente, nella famigerata base di Sawa, lo Stato di diritto che è soltanto un tatuaggio (rule of law) sulle braccia di chi scappa oltre i cecchini, al di là delle montagne. Chi non ha soldi per i passatori resta sul lato sbagliato del Sahara, bloccato in Sudan o nei campi profughi dell’Etiopia, il grande spauracchio del regime eritreo. Venticinque anni dopo l’indipendenza di quella che fino al 1991 era una provincia di Addis Abeba, i vicini-nemici sono sulla carta ancora in guerra. Per Asmara è un motivo sufficiente per costringere sotto le armi (di fatto ai lavori forzati) due terzi dei giovani che finiscono la scuola. E quei duemila ragazzi e ragazze che scappano ogni mese tutto sommato non dispiacciono al regime. La grande paura di Afewerki è una rivolta interna. Chi scappa non si ribella. E una volta all'estero manda soldi alle famiglie rimaste a casa.

Imprese .. Qualcosa sta cambiando, a sentire i diplomatici italiani che sono un po’ l’orecchio del mondo in terra eritrea. Si coglie qualche apertura nel monolite del potere, più timida di quanto si vorrebbe. Qualche impresa tricolore, dal tessile al fotovoltaico, porta lavoro (e valuta pregiata allo Stato). In un mondo di crisi umanitarie concorrenti, la fortezza Eritrea con le sue italiche facciate moderniste non fa l’effetto delle macerie dove si combattono le guerre. Ma per commuoverci forse bastano tre parole, rule of law, tatuate sul braccio di un ragazzo che fugge.

Una lettera per ricordare .. A testimonianza dell’atmosfera in cui si celebrerà questo primo quarto di secolo di indipendenza, riporto di seguito una lettera pubblicata nei giorni scorsi sulla pagina Facebook di Miriam September, molto probabilmente solo uno pseudonimo che vuole ricordare una delle quattro donne sparite nelle prigioni eritree. Miriam Hagos, ex combattente per la libertà, partigiana insomma, e operatrice culturale molto in vista ad Asmara fino all’arresto, nel settembre del 2001. Da allora, di lei non si sa più niente, come di tutti coloro che furono arrestati il 18 settembre e nei giorni seguenti: politici di peso, membri del comitato centrale e del comitato esecutivo del partito, ex ministri, giornalisti indipendenti, uomini d’affari. Gli arresti per motivi politici e reati d’opinione sono continuati in modo meno clamoroso nel corso di tutti questi anni. Della stragrande maggioranza degli arrestati non si sa più niente.

Miriam September si rivolge a coloro che sono tornati in Eritrea per le celebrazioni dell’indipendenza:

"A tutti coloro che si preparano ad andare ad Asmara per il giorno dell’indipendenza.

Sono sicura che state facendo le valigie e state davvero aspettando con ansia il viaggio che vi riporterà a casa. Sarà una festa imponente. Mi aspetto un sacco di gente, cibo, divertimento, musica e fuochi artificiali. Non è vero?
Così penso sia giusto ricordarvi alcune cose. Cose che potreste aver semplicemente negato, o che non avete mai sentito o creduto che potessero essere vere.

Vi voglio ricordare che, secondo l’ex capo della sicurezza del PFDJ, ora con l’opposizione, ci sono prigioni segrete sotto un paio di bar nel centro di Asmara … gente che non ha visto la luce del sole per anni è tenuta là sotto. Alcuni sono stati ormai dimenticati.

Vi voglio ricordare che ci sono container usati come prigioni nascosti tra i fichi d’India sulle colline ad est di Asmara, non lontano dalla città.

Vi voglio ricordare che, secondo ex guardie carcerarie e prigionieri che sono scappati dall’Eritrea, i nuovi prigionieri sono bendati e incappucciati al loro arrivo e si possono sentire urla di dolore durante gli interrogatori. Talvolta per giorni interi. Ai prigionieri, di norma, difficilmente viene detto perché sono stati imprigionati e per quanto tempo resteranno in questa condizione. A una persona ben conosciuta il motivo della sua detenzione è stato svelato il giorno del suo rilascio, 13 anni dopo. Aveva detto qualcosa contro il regime in un bar la sera stessa in cui è stato portato via.

Vi voglio ricordare che l’Eritrea ha più di 360 prigioni conosciute, i cui nomi sono di pubblico dominio. Tuttavia, secondo una guardia carceraria, la maggior parte delle prigioni sono segrete. Per chi sono state costruite tutte queste prigioni?

Vi voglio dire che alcune ville ad Asmara e Massawa sono prigioni.

Vi voglio ricordare che queste prigioni sono piene zeppe dei nostri partigiani, dei nostri soldati, dei nostri giovani, dei nostri contadini che hanno combattuto per l’indipendenza o lavorato per costruire il nostro paese … e quando i fuochi d’artificio saliranno nei cieli dell’Eritrea e voi comincerete a brindare … vi voglio ricordare che loro sentiranno i suoni della vostra festa.

Per quanto riguarda le migliaia di noi che non torneranno a casa … non è perché non amiamo il nostro paese, o perché non siamo orgogliosi di come i nostri eroi partigiani hanno conquistato l’indipendenza dell’Eritrea, ma perché non teniamo la bocca chiusa su come pochi pensano di avere il diritto di rinchiudere come animali selvatici, a loro piacere, una parte significativa della nostra gente. Perciò siamo considerati traditori, a prescindere dal nostro stesso contributo o dai nostri sacrifici per l’Eritrea.

Ricordatevelo, se volete"

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