Scajola sapeva delle minacce a Biagi, ecco le carte segrete

Claudio Scajola
di Cristiana Mangani e Sara Menafra
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Mercoledì 21 Maggio 2014, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 15:00
Non esistono rischi immediati e imminenti, cos liquidava la questione della scorta a Marco Biagi l’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola. Era marzo del 2002, il 19 del mese un commando Br uccideva il giuslavorista bolognese sotto la sua abitazione. Oggi, a distanza di 12 anni, gli archivi segreti sequestrati nella casa del suo capo segreteria Luciano Zocchi rivelano l’esistenza di una segnalazione-appunto arrivata sul tavolo di Scajola due giorni prima che Biagi venisse assassinato. Un importante politico gli segnalava quanto fosse grave la minaccia nei confronti del professore, e gli diceva che stavano per ammazzarlo. Scajola ha vistato il documento, ne ha preso visione, l’ha conservato, ma non ha fatto nulla.



Il giuslavorista è stato assassinato da un commando composto da due persone che avevano il volto coperto dai caschi integrali, alle 20 di sera mentre rientrava a casa. Qualche anno dopo la pentita delle Br, Cinzia Banelli, ha confermato ai pm: «Se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti a ucciderlo. Per noi, due persone armate costituivano già un problema. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo».



GLI ATTI A BOLOGNA

Scajola, davanti alle accuse di essersene infischiato, si è sempre difeso dicendo che non sapeva quanto la situazione fosse grave. Questo documento sembra smentirlo, tanto che la procura di Bologna ha deciso di riaprire le indagini sulla mancata scorta, dopo aver ricevuto questa ed altre carte da Roma, che le hanno acquisite durante un’altra inchiesta che riguarda l’Ordine dei salesiani e la spartizione dell’eredità Gerini. Nello stesso fascicolo sono finiti anche altri atti che riguardano Biagi e sono quelli recuperati nella dependance di Villa Ninina, a Imperia, durante le perquisizioni eseguite nei confronti di Scajola nei mesi scorsi.



GLI INTERROGATORI

Il pm Antonello Gustapane ha già interrogato lo stesso Zocchi e la moglie dell’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, molto amica della famiglia Biagi. La vecchia inchiesta si era conclusa con richieste di archiviazione per tutti: sembrava impossibile provare che chi stava al vertice del Viminale in quegli anni, avesse saputo realmente quale fosse il pericolo per Biagi. Nel frattempo, l’ex parlamentare di Forza Italia è stato sentito a Roma dal pm Sergio Colaiocco il 18 aprile scorso, ed è stato indagato per detenzione di atti coperti da segreto. In quella occasione gli sono stati mostrati anche i documenti recuperati in casa di Zocchi (carte interne al Viminale, dossier sul latitante sardo Mario Ledda, su politici “nemici”, sull’ex vicepresidente Eni, Alberto Grotti, finito in carcere per Enimont), ma lui avrebbe sostenuto che erano stati sottratti, ancora una volta «a sua insaputa». Che poi questa documentazione già riservata, fosse anche, in alcuni casi addirittura proveniente dagli archivi dei Servizi, Scajola ha ribadito di non saperne niente.



IL VERBALE DI ZOCCHI

Certo è che lo stesso Zocchi, durante il suo interrogatorio per la vicenda dei salesiani, aveva sostenuto di aver portato via quelle carte nel 2002 quando l’ex ministro si è dovuto dimettere. «Ho tenuto io atti che lui non sapeva dove mettere», si è giustificato. Il pm Paola Filippi, titolare dell’inchiesta sull’eredità Gerini ha rilevato, invece, che tra quei documenti ci sono anche riservate del 2006 e degli anni successivi. Come li ha avuti? Per di più, buona parte di questi atti sono finita nelle mani di uno 007 dell’Aise (ex Sismi). E chissà quante altre sorprese potranno riservare.
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