13/04/2016 - 15:03

Referendum trivelle: chi vota SI e chi vota NO. Ma ciò che conta è votare

Ormai è noto a tutti, o almeno sarebbe auspicabile lo sia: domenica prossima, 17 aprile, saremmo chiamati alle urne per decidere se abrogare o meno l'attuale legge che rende le concessioni per le estrazioni degli idrocarburi senza scadenza.
Non si tratta dunque di dare il via libera a nuove perforazioni marine, come si potrebbe pensare, ma ad intervenire su un aspetto tecnico dell'attuale legge: siamo chiamati a decidere se le piattaforme che si trovano entro le 12 miglia dalla costa possano o meno continuare a estrarre idrocarburi fino a che i giacimenti saranno attivi, o se dovranno chiudere quando scadranno le loro concessioni (cioè entro i prossimi vent'anni).
 
Ma la faccenda non è così semplice. Il referendum di domenica non inciderà soltanto sul futuro delle piattaforme petrolifere, precisamente 48, e di tutto l'indotto occupazionale ad esse collegato, ma anche sulla nostra politica energetica nazionale. Ciò che è chiaro è che da un punto di vista ambientalistico la scelta da fare è lampante: votare sì al referendum e quindi abrogare la norma. Ma come dicevamo la vicenda è complessa e da "referendum trivelle" si è trasformata in uno scontro politico che vede da una parte schierato gran parte del nostro governo, favorevole al no o all'astensionismo (ricordiamo che essendo un referendum per essere valido dovrà essere raggiunto il quorum ovvero dovranno andare a votare il 50% più uno degli aventi diritto) e dall'altra il mondo ambientalista, ma non solo. 
 
Ma vediamo nel dettaglio le ragioni del Si e quelle del No
 
Il SI. A schierarsi a favore del Si troviamo ovviamente le associazioni ambientaliste, a cominciare da Greenpeace secondo la quale il piano energetico del governo, con cui si vorrebbe estrarre fino all'ultima goccia degli idrocarburi presenti sotto i fondali italiani, non allevierebbe minimamente la dipendenza energetica italiana, non porterebbe benefici alle casse pubbliche, non creerebbe nuova occupazione in misura minimamente apprezzabile. L'associazione ambientalista rileva come, mentre sono stati comunicati al Paese numeri sballati sul potenziale "fossile" italiano e sulle ricadute economiche della strategia energetica del governo, in questi mesi i provvedimenti contro le energie rinnovabili hanno creato decine di migliaia di disoccupati. E non solo. Secondo Greenpeace non esiste una valutazione ufficiale pubblica dei danni che le trivelle potrebbero arrecare a settori chiave della nostra economia, come il turismo e la pesca.
 
Dello stesso avviso il WWF che a favore del SI schiera una serie di motivazioni che vanno dalla tutela della biodiversità marina alla necessità da parte del governo di scegliere la strada della decarbonizzazione della nostra economia a favore delle fonti energetiche rinnovabili. A pensarla così è anche Legambiente che sottolinea come la vittoria del SI comporterebbe, con il ripristino della data di scadenza delle concessioni, il riappropriamento di un bene pubblico prezioso, come il nostro mare. Secondo l'associazione infatti nessuna concessione di un bene dello Stato può essere affidata a un privato senza limiti di tempo, come previsto anche dalla normativa comunitaria in materia. Ma non solo. Abrogare la norma in questione significherebbe per il nostro Paese dare maggiore impulso alle fonti rinnovabili, che attualmente coprono il 40% dei nostri consumi elettrici. Incentivando per esempio il biometano potremmo ricavare una quantità di gas 4 volte maggiore a quello estratto nei mari italiani entro le 12 miglia, ricorda l'associazione. 
 
Ma a schierarsi a favore del SI non troviamo soltanto gli ambientalisti, ma anche alcuni dei nostri partiti politici, dal Movimento 5 Stelle all'Italia dei Valori, dalla Lega Nord a Forza Italia ai Fratelli d'Italia, fino ad esponenti importanti dei Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto. 
 
Il NO. Esiste poi lo schieramento del NO, contrario dunque all'abrogazione della legge per diversi motivi che partono dalla scarsa rilevanza del referendum di domenica, che non riguarda il via libera o meno alle trivellazioni, ma solo il limite delle concessioni. Ciò che conta per questa parte dell'opinione pubblica è che il governo abbia recentemente deciso di vietare l'attività di estrazione entro le 12 miglia e quindi dal quesito in questione non verrebbe alcun aiuto al futuro della nostra politica energetica nazionale. Non solo. La nostra economia è al momento ancora dipendente dai combustibili fossili e non estrarli nei nostri mari vorrebbe dire in ogni caso essere costretti ad acquistarli altrove, con maggiore dispendio di denaro. Da questa parte troviamo schierati i maggiori rappresentanti istituzionali del nostro governo: dal premier Matteo Renzi al ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti. "Se non lo estraiamo noi quel petrolio, dobbiamo comprarlo all'estero" ha detto il ministro. Dello stesso avviso è anche il presidente del Consiglio che in più riprese ha sottolineato come sia uno spreco fermare le trivelle in funzione perché "noi quel gas o petrolio vogliamo lasciarlo lì ai croati" per andare a prenderlo "in Russia o Arabia Saudita".
 
GLI ASTENSIONISTI: Ed infine esiste anche un altro schieramento quello che invita i cittadini a non recarsi alle urne, in modo da non raggiungere il quorum previsto dal nostro ordinamento e rendere nullo il referendum. Si tratta dello schieramento dei cosiddetti "astensionisti" a cui partecipa, tra gli altri, gran parte del Pd (tranne 13 esponenti della sinistra Dem, tra cui Gianni Cuperlo e Pier Luigi Bersani) a cominciare dal responsabile Ambiente del partito Chiara Braga. Secondo la parlamentare si tratterebbe di un referendum inutile: la questione che pone è largamente superata da ciò che dispone l'ultima legge di Stabilità che ha risolto buona parte delle problematiche alla base della mobilitazione delle Regioni. "Noi non siamo solo contrari al quesito, ma lo reputiamo irrilevante e per questo motivo l'astensione esprime un dissenso non solo nel merito della questione, ma proprio sull'utilizzo dello strumento referendario per decidere di una questione di portata tecnica così limitata" ha detto la Braga. 
 
L'IMPORTANZA DEL VOTO. A pensarla in modo diametralmente opposto è il presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, che qualche giorno fa ha ricordato come sia sempre necessario andare a votare, anche ai referendum il cui esito è deciso dal quorum. Partecipare alle consultazioni elettorali "significa essere pienamente cittadini, fa parte della carta d'identità del buon cittadino" ha detto Grossi. 
Ciò che sarebbe augurabile, al di là della vittoria relativa al quesito posto, è proprio che la maggior parte dei cittadini italiani vadano a votare, non solo per esercitare uno dei nostri strumenti di democrazia diretta, affermando così il diritto ad esprimere la propria opinione, ma anche per fare in modo che non vengano gettati al vento i 300 milioni di euro investiti per organizzare il referendum (visto che è stato deciso di non accorparlo, è giusto ricordarlo, alle elezioni amministrative di giugno, come era stato chiesto da più parti). Ma non solo. In una ottica generale (e non solo quindi strettamente ambientale) oltre alla vittoria dello schieramento del SI, che noi di Alternativa Sostenibile auspichiamo, ciò che sarebbe necessario fare è ripensare in senso generale la nostra politica energetica nazionale, investendo maggiormente nelle energie pulite e rinnovabili in modo da allentare sempre di più la nostra dipendenza dalle fonti fossili. La nostra economia ne trarrebbe enormi vantaggi e l'ambiente ci ringrazierebbe. 
Rosamaria Freda
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