martedì 16 settembre 2014
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Settant’anni fa nasceva e moriva in poco più di un mese la Repubblica dell’Ossola. Fu un evento di portata militare limitata; si trattava di uno dei numerosi territori liberati dai partigiani – forse il più esteso, è vero, visto che comprendeva le Valli Ossolane, ultimo lembo settentrionale del Piemonte e una parte del Verbano affacciato sul Lago Maggiore. Ma dal punto di vista politico e istituzionale il suo valore fu ben più grande; fu infatti un eccezionale esperimento di democrazia nel pieno di una sanguinosa guerra civile e di un conflitto mondiale rovinoso, dopo vent’anni di dittatura.Data cruciale è quella del 9 settembre 1944, quando le truppe tedesche e fasciste trattarono, nei pressi di Domodossola, con i capi partigiani Dionigi Superti e Alfredo di Dio l’evacuazione della città, che ebbe luogo il giorno successivo. Artefice dell’accordo fu il parroco, don Luigi Pellanda, preoccupato di evitare ulteriori spargimenti di sangue. Quella che solo in seguito fu ribattezzata «Repubblica» durò appena fino al 23 ottobre, giorno della caduta ufficiale dopo gli ultimi combattimenti in Valle Formazza; ma il 14 ottobre i nazifascisti erano già rientrati in una Domodossola abbandonata da buona parte della popolazione.Per dare un’idea di cosa sia stato quell’esperimento, basta ricordare che la Giunta Provvisoria di Governo, presieduta dal medico Ettore Tibaldi, cercò di assicurare gli approvvigionamenti, resi difficili dal blocco dei trasporti ordinato dalla Repubblica di Salò, favorì la ricostituzione di amministrazioni comunali in sostituzione dei podestà fascisti, di sindacati, di organi di stampa liberi che diedero vita a un dibattito politico impensabile fino a pochi giorni prima; cercò di attuare un controllo popolare sull’operato della Giunta medesima, pensando addirittura di costituire un Consiglio Popolare di Governo, formato da rappresentanti di varie organizzazioni e categorie, senza fare in tempo ad avviarlo. Commissari della Giunta si occuparono insomma di tutti gli aspetti dell’amministrazione pubblica, mettendo mano persino a una riforma della scuola, per depurarla dagli influssi dell’ideologia fascista e all’istituzione di un sistema giudiziario ispirato ai principi di rispetto dei diritti dell’imputato; per questo proibirono le esecuzioni sommarie di fascisti e collaborazionisti. Ad ispirare tale atteggiamento fu l’avvocato Ezio Vigorelli, consulente legale e giudice straordinario della Giunta, che aveva avuto due figli uccisi dai fascisti. Tra l’altro, per la prima volta in Italia, la Giunta annoverava tra i suoi membri una donna, Gisella Floreanini, in un’epoca in cui le donne non avevano ancora avuto il diritto di voto.I principi giuridici cui si ispirò l’opera della Repubblica dell’Ossola si possono considerare come anticipatori di quelli della Costituzione italiana; non per niente fra i collaboratori della Giunta figuravano alcuni dei futuri padri costituenti, come il presidente stesso dell’Assemblea costituente, Umberto Terracini, quindi Ezio Vigorelli, Gigino Battisti, Corrado Bonfantini. Fu, ovviamente, anche un grande esempio di collaborazione tra forze politiche diversissime, dai liberali ai cattolici, ai comunisti, che seppero superare gli inevitabili attriti.In questi decenni l’esperienza ossolana, premiata con la medaglia d’oro al valor militare già nel settembre 1945, è stata ricordata e illustrata con diverse pubblicazioni, tra cui il libro di Giorgio Bocca Una Repubblica partigiana. Ossola, 10 settembre–23 ottobre 1944 (Il Saggiatore) e il romanzo di Eugenio Corti Il cavallo rosso (Ares); è stata illustrata nel 1974 dallo sceneggiato di Leandro Castellani «Quaranta giorni di libertà» e il nuovo docu-film «Un giorno di agosto 1944» realizzato dagli ossolani Ferruccio Sbaffi e Maria Letizia Panighetti, che viene presentato in questi giorni, durante le celebrazioni del 70°.
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