numero del mese

Mal d'America

Il peso dell'impero mina la repubblica
Il Numero Uno non si piace più
Come perdere fingendo di vincere
numero del mese

Mal d'America

Il peso dell'impero mina la repubblica
Il Numero Uno non si piace più
Come perdere fingendo di vincere
numero del mese

Mal d'America

Il peso dell'impero mina la repubblica
Il Numero Uno non si piace più
Come perdere fingendo di vincere

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

IL MONDO OGGI

Riassunto geopolitico della giornata, con analisi e link per approfondire e ricostruire il contesto.

Gli Usa danno il via libera a Erdoğan contro il Pkk

Le notizie geopolitiche del 5 giugno.
di Daniele Santoro
Pubblicato il Aggiornato il
Carta di Laura Canali, 2017.
Carta di Laura Canali, 2017. 

Gli Stati Uniti continuano a puntare su Erdoğan. È questo il significato dell’accordo su Manbij raggiunto a Washington in occasione dell’incontro tra il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e il segretario di Stato Mike Pompeo.


L'accordo prevede un piano in tre fasi i cui dettagli erano già noti prima dell’incontro: evacuazione delle milizie delle Ypg, l'ala militare siriana del Pkk; cogestione turco-statunitense dell’area; insediamento di un governo locale a maggioranza arabo-sunnita.


Per Erdoğan si tratta di un successo mediatico-elettorale, più che geopolitico. In termini reali, l’importanza geopolitica di Manbij nell’equazione sirachena è prossima allo zero. Ma il capo di Stato ne ha fatto un feticcio per esibire una vittoria che non esiste. Con la provvidenziale sponda dello Stato profondo Usa, che dopo aver inchiodato il presidente turco alla sacca a nord di Aleppo per quasi due anni gliela offre su un piatto d’argento a meno di tre settimane dalle decisive elezioni del 24 giugno.


Ma c’è ovviamente molto di più. L’accordo su Manbij arriva mentre le truppe turche penetrano a una profondità di 25 chilometri nel Pkkstan iracheno e si attestano nella valle di Barazgir, porta d’accesso ai monti Kandil, il santuario dove risiede la leadership militare del Pkk. La tana del Nemico. E non appena l’accordo Ankara-Washington è diventato ufficiale, i fedelissimi di Erdoğan hanno lanciato il conto alla rovescia.


Si scrive Manbij, si legge Kandil.


Dopo la mappa, le altre notizie della giornata, a cura di Federico Petroni


Carta di Laura Canali
Carta di Laura Canali 


FORZE SPECIALI USA

Il Pentagono sta conducendo una revisione della dislocazione dei reparti speciali nel mondo per allinearla alle nuove priorità della strategia di difesa nazionale di recente pubblicazione.

Tale esercizio dimostra il riorientamento dei militari a stelle e strisce dalle astrategiche guerre al terrorismo alla competizione fra grandi potenze, Russia e Cina su tutte. Il Comando delle forze speciali è l'attore che ha materialmente condotto – oltre e a volte assieme alla Cia – le guerre alle succursali del jihad dal 2001 in poi.

Nel mirino del dipartimento della Difesa è lo squilibrio geografico della crème delle Forze armate: delle 7300 unità sparse in giro per il mondo, la metà si trova al di fuori di Medio Oriente e Asia meridionale, di cui circa 1200 in Africa. Il Pentagono ha chiesto al comando preposto a questo continente di valutare una riduzione del 50% degli effettivi nel giro di tre anni. Obiettivo: destinare le risorse liberate al contenimento di Iran, Russia o Cina, ma anche a rimpolpare i ranghi delle unità regolari, stremate da rotazioni all'estero sempre più serrate.


USA CONTRO GERMANIA

Non devono stupire le pur non ortodosse esternazioni del nuovo ambasciatore Usa a Berlino Richard Grenell, che ha criticato Angela Merkel sui migranti e si è detto desideroso di rafforzare nel resto d’Europa nuovi leader conservatori anti-elitisti.

Questi strali vanno visti come direttamente funzionali all'agenda interna di Donald Trump (che ha nominato Grenell): servono cioè a perorare le cause dell'attuale presidente statunitense, a mostrarne la presunta razionalità nell'affrontare in patria la questione dell'immigrazione e la non estemporaneità nel panorama politico internazionale. Senza dimenticare che lo stesso ambasciatore, mentre il suo superiore stracciava l'accordo con l'Iran e sbandierava nuove sanzioni, affidava a Twitter il monito alla Germania di adeguarsi immediatamente alla nuova linea di Washington.

Tuttavia, è solo in un paese come la Germania che un ambasciatore statunitense può abbandonare il consueto verbo globalista della classe diplomatica Usa per sposare la non convenzionale narrazione trumpiana. Nei confronti del paese tedesco, Washington ha una vera e propria ossessione, che nasce ben prima dell'avvento di The Donald, ma che con quest'ultimo ha conosciuto uno straordinario allineamento fra Casa Bianca e apparati burocratici, volto a impedire a Berlino anche solo di pensare di potersi ergere a egemone europeo.

Non è un caso che Stati Uniti e Germania siano divisi praticamente su tutto: sanzioni all'Iran, guerra commerciale, ambiente, rapporti con la Russia, strategia geoenergetica, giudizio sulle nuove vie della seta, approccio di Stato all'economia, fino al ruolo dei colossi digitali e all'industria automobilistica. Troppe divergenze per derubricarle come limitate a questioni di mero stampo economico.


VENEZUELA E PETROLIO [di Lorenzo Di Muro]

Si inasprisce la crisi della compagnia nazionale degli idrocarburi del Venezuela (Pdvsa), che ieri ha notificato a 8 acquirenti internazionali (Nynas, Tipco, Chevron, Cnpc, Reliance, Conoco, Valero, Lukoil) l'impossibilità di corrispondere completamente questo mese le forniture concordate.

La spirale negativa di Pdvsa è paradigmatica del dissesto economico-finanziario di Caracas. La rivoluzione bolivariana, sfruttando l'alto prezzo del greggio sui mercati internazionali, ne ha fatto uno strumento di legittimazione interna e di proiezione geopolitica, senza prevedere una strategia volta a modernizzare e diversificare l'economia. Un petro-Stato che dipende direttamente dai prezzi dell'oro nero, crollati nel 2014 e 2015. E dunque dall'industria petrolifera interna - non a caso oggetto delle sanzioni del dipartimento del Tesoro Usa - i cui livelli produttivi sono tornati a un volume simile a quello degli anni Ottanta.

Il presidente Maduro ha risposto a fine 2017 con un giro di vite che ha portato all'estromissione e all'incriminazione, tra gli altri, del ministro del Petrolio e del presidente di Pdvsa, sostituiti dal più fidato general maggiore Quevedo. Una campagna "anti-corruzione" che, assieme alla ristrutturazione del debito, dovrebbe rimettere in sesto il gigante nazionale. Sinora, con questi risultati.


LIMES NERD Gli anniversari geopolitici del 5 giugno