Milano, 24 gennaio 2017 - 22:40

L’ex banchiere centrale
«Non è Londra a uscire
È la Ue che lascia noi»

Mervyn King non si è mai unito alle diffuse previsioni di sventura finanziaria se la Brexit avesse prevalso nel referendum: «La sterlina è caduta esattamente al tasso di cambio in cui si trovava quando lasciai la Banca d’Inghilterra due anni e mezzo fa»

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C’è nebbia sulla Manica ma per sapere chi realmente sia isolato, se le Isole britanniche o il continente europeo, serviranno almeno due anni di negoziato. Probabilmente occorrerà anche più tempo, perché si capirà quale delle due parti sia destinata a soffrirne di più solo quando il divorzio fra Londra e l’Unione europea diverrà effettivo. Un punto però è certo fin da subito: da Londra non ci si farà sfuggire una sola occasione per limitare i danni sminuendo o riducendo attivamente il valore di ciò a cui il Regno Unito sta per rinunciare. Se la terza economia d’Europa si ritira dal mercato unico europeo, quello che Margaret Thatcher aveva fortemente voluto, quest’ultimo deve diventare o almeno sembrare poca cosa.

Non può essere un caso se sia stato proprio questo — il mercato unico europeo — il solo tema che Mervyn King non ha toccato lunedì sera a Milano, di fronte a una comunità di investitori. Invitato da Kairos, il gruppo di gestione del risparmio, e intervistato dal suo presidente e amministratore delegato Paolo Basilico, l’uomo che per dieci anni ha guidato la Banca d’Inghilterra ha dimostrato in pieno il significato della parola understatement: ha evitato di ricordare che lui non si è mai unito alle diffuse previsioni di sventura finanziaria se la Brexit avesse prevalso nel referendum. In questo Mervyn King ha visto giusto e ora diventa impossibile liquidare a priori le conclusioni che lui stesso ne trae: non è certo che una separazione dall’Unione europea riduca le prospettive economiche della Gran Bretagna. «Nel lungo periodo è improbabile che l’effetto sia importante — ha detto ieri King —. La nostra partecipazione alla Ue è meno significativa per il resto del mondo di quanto si pensi, non a caso le turbolenze di mercato dopo il referendum sono state minime e la sterlina è caduta esattamente al tasso di cambio in cui si trovava quando lasciai la Banca d’Inghilterra due anni e mezzo fa».

Piuttosto il banchiere centrale inglese, l’uomo che ha gestito da Londra la peggiore crisi finanziaria degli ultimi 80 anni, ha una visione molto politica di ciò che sta accadendo. «Non siamo noi britannici a lasciare l’Unione europea, è l’Unione europea che sta lasciando noi — ha detto l’altra sera a Milano —. La Ue ormai è completamente diversa dalla comunità nella quale eravamo entrati quarant’anni fa». Per King l’Unione oggi gira intorno all’euro e a Schengen, lo spazio di libera circolazione delle persone, «e da ora in poi dovrà lavorare per far funzionare questi accordi mentre aumentano sia i flussi migratori che la divergenza economica fra i Paesi dell’unione monetaria». Ma, ricorda King, «il Regno Unito ha sempre detto che non voleva far parte di questi due progetti».

L’ex governatore non ha ricordato a Milano che un’uscita di Londra dall’Unione «dura» e «netta» (clean e hard, nel gergo della Brexit) implica la perdita dell’accesso al mercato interno e del «passaporto» europeo, il riconoscimento automatico delle operazioni finanziarie che è alla base del modello di sviluppo della City. «Le tariffe dell’Organizzazione mondiale del commercio (applicabili dopo la Brexit, ndr) sono piuttosto basse comunque, la differenza sarà compensata dal tasso di cambio e le persone vorranno proseguire gli scambi», si è limitato a dire King.

Probabile che questo non risolva i problemi della piazza finanziaria di Londra, ma per l’ex governatore l’euro ne ha di più intrattabili. «Fu prematuro voler creare la moneta unica alla fine degli anni ‘90 e non tra 50 0 80 anni, e ora sta producendo costi politici e sociali enormi — ha osservato —. Prima la disoccupazione nei vari Paesi era a livelli paragonabili. Ora c’è una grande divergenza, proprio mentre i Paesi più deboli devono deprimere la propria domanda interna per recuperare competitività internazionale. Non vedo via d’uscita facile: la comunità degli economisti tedeschi non accetterà mai il cambiamento necessario: trasferimenti permanenti dalla Germania verso i Paesi della periferia. Ma il tasso di cambio dell’euro di oggi è insostenibile: sottovalutato per la Germania, sopravvalutato per l’Italia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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