Negli ultimi due anni lo yuan non ha fatto altro che scendere toccando il valore minimo raggiunto dal 1994. Anche per questo gli investitori cinesi hanno cercato di cambiare la moneta locale e di portare fuori dal paese i loro capitali. E il governo sta cercando di “regolamentare” la situazione. Come? Ufficialmente non si parla di nuove misure ma di un’applicazione più rigida di quelle esistenti. Di fatto però si cerca di arginare la fuga di capitali introducendo più controlli, usando le riserve di moneta estera per difendere la propria moneta e, contestualmente, deprezzandola.

Oggi qualsiasi pagamento all’estero superiore ai cinque milioni di dollari deve essere sottoposto al nulla osta delle autorità centrali. Inoltre, secondo documenti ottenuti in esclusiva dal South China Morning Post, fino a settembre dell’anno prossimo verranno vietati gli accordi che prevedono investimenti all’estero superiori ai dieci miliardi di dollari, le acquisizioni e le fusioni superiori al miliardo che esulino dal core business aziendale e gli investimenti nel settore immobiliare che siano superiori al miliardo. Secondo quanto riporta oggi il Financial Times, le ultime misure prese dal sistema bancario cinese, obbligherebbero le banche di Shanghai a fare rientrare 100 yuan per ogni 160 di cui autorizzano l’uscita dal Paese e quelle di Pechino addirittura di 100 ogni 80. Il risultato è che per le aziende cinesi è diventato complicato anche pagare le fatture all’estero e per quelle occidentali rimpatriare i dividendi.

L’emorragia di capitali sembra comunque impossibile da arginare. Oltre alle acquisizioni all’estero che rappresentano la voglia e la necessità cinese di acquisire know how e asset per competere a livello mondiale, potrebbe anche indicare un calo di fiducia della classe dirigente nella ripresa economica e la paura della classe più abbiente di finire nelle maglie della campagna contro la corruzione. Dalla svalutazione shock dell’agosto 2015, sarebbero usciti dal paese 1200 miliardi di dollari (stime di Bloomberg). Come certifica la Banca centrale le riserve di moneta estera sono sicuramente scese di circa 800 miliardi nel tentativo di difendere lo yuan comprando grandi quantità di moneta locale in dollari. Siamo ormai ai livelli del 2011 e la Banca centrale si è mossa di conseguenza.

Anche se le misure non sono ancora state ufficializzate, diverse autorevoli fonti riportano come nell’ultimo mese abbia cominciato a scoraggiare le aziende locali a procurarsi moneta estera (pare ci sia un tetto massimo di un milione di dollari) o a prestare ad aziende estere più del 30 per cento del loro capitale in yuan. I piccoli investitori paiono invece essersi buttati sul bitcoin. Il 42 per cento delle transazioni in moneta digitale avviene infatti all’interno dei confini della Repubblica popolare.

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