Il Pil dell'Italia è in crescita. Ma le elezioni lo mettono a rischio

Buone notizie per l'Italia da Davos: il Fondo monetario internazionale ha rivisto le previsioni del PIl a +1,4% per il 2018. Ma inquadra il passaggio alle urne del 4 marzo come un'incognita per ripresa e riforme

Christine Lagarde (foto: Getty)

L’economia mondiale continua a riassestarsi e a crescere. I calcoli del Fondo monetario internazionale, presentati oggi al World Economic Forum in corso a Davos col documento di aggiornamento al World Economic Outlook, parlano di una crescita del 3,7% nel 2017, un po’ meglio di quanto si pensasse in autunno e mezzo punto in più dello scorso anno. Una ripresa ampia e generalizzata, scrive l’Fmi in un rapporto, con “sorprese in Europa e Asia”. Quest’anno e il prossimo si continuerà a salire fino al 3,9%, anche in virtù della nuova fiscalità statunitense targata Donald Trump su cui l’organizzazione guidata da Christine Lagarde sembra scommettere. Almeno in parte e fino al 2020.

Al solito, gli esperti del Fondo spiegano che è dunque il momento giusto per continuare a spingere sulle riforme strutturali che modernizzino i sistemi economici. Fra le priorità che toccano un po’ tutti i mercati principali il problema dell’inclusività della crescita (elemento che si collega neanche troppo alla lontana ai numeri diffusi sempre oggi dall’Oxfam sulle diseguaglianze mondiali) e la “resilienza finanziaria”. Cioè il mantenimento di un atteggiamento favorevole delle autorità monetarie (l’inflazione è ancora troppo bassa) mentre bisognerebbe pensare a qualche passaggio sul medio-lungo periodo in termini fiscali.** **

Ci sono buone notizie anche per l’Italia. Dallo 0,9% di crescita del Pil del 2016 e dall’1,6% del 2017, quest’anno il nostro Paese salirà dell’1,4%, lo 0,3% rispetto alle previsioni diffuse lo scorso ottobre. Mentre per il 2019 le attese sono intorno all’1,1%, anche in questo caso in lieve rialzo sulle analisi di qualche mese fa. Segno che la strada è buona (anche se fra le economie avanzate numeri simili li sfoggiano solo Regno Unito e Giappone, quest’anno Germania e Francia viaggeranno rispettivamente sul +2,3% e sul +1,9%).

Però l’Italia, d’altronde come altre realtà, ha una pesante variabile sul suo percorso: le elezioni del 4 marzo. Non è un caso che anche le autorità europee stiano da giorni lanciando segnali di grande responsabilità anche se, a volte, con un eccesso di drammaticità. È per esempio il caso delle dichiarazioni di qualche giorno fa del commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, che si domandava “quale maggioranza uscirà dal voto di marzo? Quale programma, quale impegno europeo?”.

Anche l’Fmi torna dunque sul passaggio elettorale, spiegando a un certo punto delle previsioni, dove analizza i fattori non economici che potrebbero intervenire nel quadro disegnato dagli economisti, che “il panorama globale di medio termine è reso nebuloso a causa di tensioni geopolitiche, in particolare in Medio Oriente e in Asia. Ma l’incertezza politica solleva rischi sull’implementazione delle riforme o sul riassetto delle agende politiche, soprattutto nel contesto di elezioni programmate in alcuni Paesi (Brasile, Colombia, Italia e Messico)”. Insomma, il rischio neanche troppo nascosto è che questa fragile ripresa possa spezzarsi con un nuovo governo, specie se questo non proseguisse sulla strada che ha condotto il Paese fuori dalla crisi, pur in condizioni non ancora pari a quelle pre 2008 e poco significative per le tasche dei cittadini.

La campagna elettorale sembra d’altronde estremamente schiacciata su temi simili: dal rapporto con i vincoli europei – oggi Berlusconi è tornato a ribadire che, nel caso in cui vincesse, il centrodestra rispetterebbe la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil – alle proposte complesse e spesso sparate senza troppi ganci con la realtà come la “flat tax” (che tutto appare fuorché inclusiva e progressiva) o il sostegno alle famiglie fino ai tagli a Irap e Irpef. I rischi, insomma, sia per l’Italia che per la crescita globale nel suo complesso sono nascosti nella “negligenza”, come ha spiegato il capo economista di Washington Maurice Obstfeld. La prossima crisi “potrebbe essere più vicina di quanto pensiamo e oggi le munizioni per contrastarla sono molto più limitate di quelle che c'erano un decennio fa, in particolare perché i debiti pubblici sono molto elevati”. Come ha spiegato Paolo Gentiloni, “non è ancora il tempo delle cicale”.