05 aprile 2017

Uccisioni e stupri di massa della Repubblica Democratica del Congo. Il silenzio del mondo

Sangue e violenze nella provincia del Kasai, che si è schierata apertamente contro la rielezione del presidente uscente Kabila. Attaccati anche vescovado e seminario. L'appello del Papa.


La scorsa estate i militari hanno ucciso un capo tradizionale locale dando il via alla rivolta. Il caos è culminato con il sequestro, il 12 marzo, di due esperti inviati dalla Nazioni Unite per investigare sulle fosse comuni.

Volontari italiani in fuga: "Avrebbero potuto ucciderci tutti". Don Jeanot Mandefu: "I soldati sono entrati all'università e hanno rastrellato gli studenti. Verrebbe da pensare che il motivo sia quello di far fuori quanti più giovani possibile in una regione scomoda perché si oppone al potere centrale"

Corpi massacrati, ammassati e gettati dai camion in fosse comuni
Siamo nel Kasai, provincia centrale di quell'enorme Paese che è la Repubblica Democratica del Congo. Una regione fino a non molto tempo fa tranquilla e risparmiata dalle guerre che da vent'anni insanguinano soprattutto l’est del Paese. Tutto però è cambiato dalla scorsa estate, quando uno "chef coutumier", un capo tradizionale locale, è stato ucciso dai militari regolari: i suoi fedelissimi, unendosi in una milizia chiamata Kamuina Nsapu, hanno iniziato una rivolta che per qualche mese è rimasta più o meno “a bassa intensità”. Fino all'inizio di quest’anno, quando nella regione è stato inviato un reggimento delle FARDC, l’esercito regolare. Ed è iniziata la mattanza.



Il secondo giorno di scontri in città abbiamo ricevuto la visita dei miliziani che hanno cercato di entrare in casa, hanno cercato di forzare le porte, ma le avevamo blindate. Li ho visti dalla finestra, erano una trentina, con loro diversi bambini di meno di dieci anni (bambini soldato). Il giorno successivo il colonnello della polizia e un colonnello dell’esercito sono venuti per accompagnarci a Kananga (il capoluogo di provincia), su un camion militare con a bordo un capitano, il colonnello dell’esercito e numerosi militari di scorta. Nel viaggio siamo stati bersaglio dei tiri dei fucili tradizionali dei miliziani per almeno 40 km. I militari hanno risposto al fuoco con migliaia di colpi e cinque di loro sono stati feriti. Gli ufficiali che erano in cabina con noi ci hanno assicurato che i colpi non potevano entrare in cabina perché blindata. Siamo rimasti a Kananga tre notti, poi ci hanno accompagnati all'aeroporto da dove siamo partiti per la capitale Kinshasa. Durante i due giorni di permanenza a Kananga, la città è stata attaccata due volte con decine di vittime. Potevamo essere uccisi tutti, sarebbe bastato che i miliziani avessero sbarrato la pista con un grosso tronco e ci avrebbero sterminati” .. È la testimonianza di un italiano (che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza) e che era in missione assieme ad altri tre italiani per conto del COE (il Centro di Orientamento Educativo), associazione che gestisce un ospedale a Tshimbulu, proprio nella zona epicentro degli scontri. E nel mezzo alle violenze si sono ritrovati anche loro.

Il caos nella regione è culminato con il sequestro, il 12 marzo, di due esperti inviati dalla Nazioni Unite per investigare sulle fosse comuni. I corpi di Michael Sharp, 34 anni, statunitense, e Zaida Catalan, 36 anni, svedese di origine cilena, sono stati ritrovati una settimana fa, insieme a quello dell’interprete congolese Bete Tshintela. La svedese è stata decapitata. Un orrore che ha scosso tutte le più alte istituzioni e ha gettato un faro sui massacri in corso nel Kasai. Sono seguite prese di posizione ufficiali da parte delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, anche del procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja. Il 2 aprile anche il viceministro degli esteri italiano, Mario Giro, ha diffuso un comunicato molto preoccupato sull'aggravarsi della situazione in RDC. E il Papa, durante la visita a Carpi, ha ricordato il travagliato Paese.

Don Jeanot Mandefu, che dopo un dottorato in Italia è tornato nel suo paese e ora insegna all'università di Kananga, nel locale seminario e nell'accademia militare, dove è cappellano. Un punto d’osservazione privilegiato, il suo. E da lui viene la denuncia che pochi giorni fa i militari sono entrati all'università rastrellando gli studenti. All'opposizione di don Jeanot Mandefu, il comandante ha risposto: “Sono tutti miliziani. Ora li fermiamo tutti, poi vedremo

La popolazione dell’intero capoluogo è in fuga, i militari passano casa per casa, saccheggiano, uccidono e violentano, spiega ancora il sacerdote. Le voci si rincorrono, ben difficili da verificare. Si parla di 2500 morti in due sole notti a Kananga. Intanto l’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite ai diritti umani, che sta documentando le fosse comuni, ha fatto sapere che sono passate da 7 a 23.

Come spesso capita in questi casi, le due forze in campo (militari e miliziani) si rimpallano le responsabilità. Ma a metà febbraio in rete è circolato un video che mostra alcuni militari mentre sparano su civili disarmati. Non solo: un video (in possesso de ilfattoquotidiano.it e che non può essere mostrato per la sua crudezza) documenta uomini in divisa militare che si accaniscono su giovani inermi, li massacrano e li gettano in una fossa comune.

Anche secondo don Jeanot non ci sono dubbi sulle responsabilità: "i miliziani non hanno armi, usano coltelli e machete, mentre i massacri in corso sono sistematici e organizzati. Impossibile dire quante persone siano state uccise finora, perché i corpi vengono fatti sparire"

Il caos fa il gioco del governo, che cerca ogni pretesto per rinviare il voto. Il Paese infatti si trova in una fase politica delicatissima. Il secondo e ultimo mandato del presidente Joseph Kabila è scaduto lo scorso dicembre, ma finora non sono state indette nuove elezioni. Dopo mesi di faticosissime trattative, si era giunti a un accordo fra maggioranza e opposizione, detto l’“accordo di San Silvestro”, che prevedeva un anno di transizione e elezioni entro la fine del 2017. Ma tutte le fasi stabilite dall'accordo non vengono rispettate dal governo. Il Paese è sull'orlo del caos.

Sintetizza bene la situazione Rosella Scandella, presidente del COE: “Il Kasai è la regione di origine di Tshisekedi, lo storico oppositore morto da poco (a cui è subentrato il figlio) e lì la gente ha una forte opposizione a Kabila. I soldati sparano senza ritegno sulla popolazione e verrebbe da pensare che il motivo sia quello di far fuori quanti più giovani possibile in una regione scomoda perché si oppone al potere centrale


Spinte separatiste in tutto il Congo
La rivolta nel Kasai ha già causato migliaia di morti e almeno duecentomila sfollati interni. Ma non è l’unica nella Repubblica Democratica del Congo: spinte secessioniste esistono nella ricca provincia del Katanga, nel Sud, disordini avvengono anche nella zona orientale, nel Kivu del Nord e del Sud, e nell’Ituri a Nord. Non va dimenticato, in tutto questo, che l'immenso territorio del Congo custodisce ancora enormi ricchezze naturali.

Uccisioni di massa in Kasai ordinate dal governo
Secondo fonti bene informate, e testimonianze che giungono dalla Chiesa locale, in tutto il Kasai stanno avvenendo in questi giorni eccidi e decapitazioni ai danni dei ribelli. Lo stesso presidente Kabila avrebbe inviato nella regione alti esponenti dell'esercito con l'obiettivo di infiltrarsi tra i ribelli per boicottarne i piani. Fallito questo progetto, sono stati mandati veri e propri "tagliagole" che hanno avviato un progetto di decapitazione di massa, nel silenzio del governo e del media di tutto il mondo.

Attacchi violenti contro la Chiesa
A fare le spese di questo clima di violenze è anche la Chiesa, nelle sue proprietà e nelle persone che la rappresentano. Nei giorni scorsi, nella capitale Kinshasa, i militari hanno saccheggiato il vescovado, distrutto il convento delle suore e il seminario minore. Non si sa dove siano rifugiati le suore e il vescovo. I soldati hanno fatto irruzione anche alla locale università, dove insegnano alcuni sacerdoti cattolici, e hanno rapito diversi studenti.

Un accorato appello arriva, via audio, da padre Jannod, docente all'università di Kananga. "I militari sono venuti a prendere i miei studenti» denuncia nella registrazione audio qui allegata. «Ho detto al generale: stanno solo studiando! Ma lui ha replicato che li considerava miliziani ribelli"




Il post di padre Giulio Albanese
Padre Giulio Albanese, grande conoscitore dell'Africa, a proposito dei fatti del Kasai pubblica su Facebook questo post




Articolo a cura di
Maris Davis

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