Cover CD Shadows - MAP

“Shadows Ombre”

Elena Maiullari 

Elena Maiullari (pianoforte) & vari

CD MAP MAPCL 10029

Nel nostro Paese non manca una cospicua presenza di compositrici nel panorama della musica contemporanea. Nomi come quelli di Marcella Mandanici, Ada Gentile, Silvia Bianchera (già moglie di Bruno Bettinelli), Sonia Bo, Carla Magnan, Beatrice Campodonico, Cristina Landuzzi ed Elisabetta Brusa (l’elenco, ovviamente, non è completo) rappresentano una precisa indicazione di come l’altra metà del cielo sia molto attenta al variegato universo musicale odierno. Tra coloro che operano, creano ed eseguono musica vi è anche la lombarda Elena Maiullari la quale affianca all’attività di compositrice anche quella di attenta e raffinata musicologa (recentemente ha dato alle stampe un denso e stimolante studio dedicato alla musica teatrale di Leóš Janáček, del quale ho avuto modo di parlare proprio su queste pagine). Per ciò che riguarda la sua sfera compositiva, invece, l’ultimo suo lavoro è dato da questo CD, nel quale presenta delle opere dedicate al repertorio pianistico e a quello cameristico. Per focalizzare la visione musicale di questa giovane compositrice, basti ricordare che, oltre ad avere studiato proprio con Silvia Bianchera e con Alessandro Solbiati, ha avuto modo di affinare la propria sensibilità creativa con, tra gli altri, Ivan Fedele, Helmut Lachenmann e Karlheinz Stockhausen. Come dire che se con Fedele l’artista lombarda ha saputo trarre una consequenzialità materica/matematica della musica, con Lachenmann ha avuto modo di saggiarne la sua “concretezza” e con Stockhausen il suo concetto di “alea”. Ma Shadows non rappresenta solo un intrigante compendio di come l’incontro con questi grandi compositori, una volta attecchito e sedimentato, abbia potuto portare a frutti indubbiamente interessanti, che fanno intuire lo spessore compositivo di Elena Maiullari, ma anche lo spessore della sua personalità artistica, della sua volontà (oserei definire “necessità”) di lasciare impressa una propria impronta stilistica, intrisa anche da indubbie conquiste ed elaborazioni intellettuali personali. Lo sviluppo pianistico viene dato da due brani, “Petite Valse Rêverie (Sei Variazioni Timbriche)” e da “Attese”. Se il primo pezzo, come spiega la stessa compositrice nelle note di copertina, vuole essere un omaggio al “Valse Oubliée” di Liszt, rivisto in una chiave che amplia a dismisura non solo le sue potenzialità evocative, ma anche quelle tecniche (con un uso sapiente delle corde che vengono coinvolte in una pletora di effetti timbrici), nel secondo, come suggerisce il titolo, la proiezione sonora genera un senso sospeso, con il suono che si intinge di tempo, lasciando spazio a un concetto di dilatante irrealizzazione materica di ciò che il suono stesso propone. La configurazione di trio per violino, violoncello e pianoforte si snoda in altri due brani, “Myshost” e “Exciting”, dove nel primo la compositrice evidenzia il suo amore nei confronti di un sommo come Šostakovič, trasfigurando cellule, segmenti, accenni del suo celebre valzer tratto dalla seconda Suite per orchestra jazz, che funziona da traccia/trasfigurazione, come se fosse una sorta di serie traslata di variazioni implosive, la cui esistenza dev’essere ricercata nelle loro radici sotterranee. “Exciting”, invece, vede la materia sonora irrompere in nome di una casualità che si rinnega nell’evidenziare la propria matericità. “Shade”, per violino, viola e violoncello, esalta nel suo sottotitolo, “Cinque brevi ombre di melodia”, l’estrinsecarsi della volontà creativa di Silvia Maiullari, in cui la densità del suono rapportato alla sua percezione dinamica nello spazio/tempo impone all’ascoltatore un approccio totalizzante, aderente al suono interiore che suscita ogni tipo di ascolto esteriore, veicolato da una struttura sonora nella quale i tremoli e gli arpeggiati fanno da elemento decodificante, da pontifex timbrico, da cui gli agganci semantici devono essere individuati e raffigurati. Infine, “Charlot” offre un altro lato della poliedrica creatività dell’artista lombarda, quello che riguarda un sottile e malinconico senso di comicità incompresa, con la presenza del trombone (oltre agli archi e alle percussioni), il cui suono genera divertimento e tenerezza, riso e lacrime che possono essere individuate solo su guance di dolore, al punto che, anche se si scrive Charlot, si dovrebbe leggere Grock, il più grande e il più infelice di tutti i clown. Di che riflettere sullo spessore di questa compositrice, che rappresenta una delle voci più originali e interessanti dell’attuale musica contemporanea italiana.

Andrea Bedetti