La crisi coreana ha aperto in Cina una feroce discussione nel merito delle alleanze di Pechino nell’area asiatica, come già era avvenuto negli anni ’90; in questi giorni però il confronto tra chi è favorevole a un cambio di strategia cinese nei confronti di Pyongyang e chi invece ritiene che si debba confermare l’alleanza con la Corea del Nord è tracimata in una dimensione pubblica.

Negli anni scorsi questo tipo di confronto rimaneva recluso in ambiti ristretti. Da tempo in Cina, infatti, si parla della possibilità di «abbandonare» la Corea del Nord al proprio destino, non fosse per la volontà di settori influenti tra i militari che insistono sulla necessità di avere un territorio come quello nord coreano a separare la Cina dalla Corea del Sud, vista come un fantoccio americano.

Queste teorie, che resistono per lo più nell’esercito, sono state attaccate di recente da Shen Zhihua, uno tra i principali storici cinesi per le sue ricerche sulla guerra fredda e la guerra coreana degli anni ’50. Shen, un mese fa, ha criticato la dirigenza cinese per il suo comportamento in relazione alla Corea del Nord.

Il New York Times ha pubblicato alcuni estratti del suo intervento che sta provocando discussioni anche su Weixin (la Whatsapp cinese). Shen Zhihua non ha usato giri di parole: secondo lui per Pechino è arrivato il momento di scaricare Pyongyang e pensare a come avvicinarsi a Seul.

Questo sarebbe necessario perché il comportamento dei Kim risulterebbe deleterio per la Cina, in quanto starebbe portando la dirigenza cinese a fare le mosse che – in pratica – sono proprio quelle desiderate dagli americani.

Shen ha specificato: «Se guardiamo alla Corea del Nord e alla Corea del Sud, chi è un amico della Cina e chi è un nemico? In teoria la Cina e la Corea del Nord sono alleati, mentre Usa e Giappone sostengono la Corea del Sud contro la Corea del Nord. Questo è un retaggio della guerra fredda. Credo che dopo decenni di cambiamenti nel panorama internazionale, ci sia stata una grande trasformazione. A giudicare dalla situazione attuale la Corea del Nord è il nemico latente della Cina, mentre la Corea del Sud potrebbe essere amico della Cina».

Secondo Shen le escandescenze della Corea del Nord finiscono per favorire gli Usa e non la Cina, mentre un avvicinamento della Cina a Seul provocherebbe un cortocircuito nella strategia americana.

Non la pensano così i militari di Huanqiu (magazine in cinese che si occupa di temi di difesa e sicurezza, nonché versione locale del nazionalista Global Times) che in un commento hanno ribadito la necessità per la Cina di rimanere alleati alla Corea del Nord, ribadendo il concetto di «zona cuscinetto» e sottolineando come l’ipotesi di guerra convenga solo agli Usa e non certo a Kim per il quale sarebbe un «suicidio».

In tutto questo dibattito la posizione ufficiale della Cina rimane a metà: un sostegno tiepido a Pyongyang unito alla volontà di non permettere un avanzamento nell’area agli Stati uniti di Trump.

Quanto alle due posizioni, seppure in aperto contrasto, hanno alcuni punti in comune. Il primo ha a che vedere con la lettura di quanto andrebbe chiedendo Kim Jong-un con il suo comportamento provocatorio. Il giovane leader, in Cina ne sono certi, con la minaccia nucleare chiede garanzie di sostegno economico, la possibilità di rimanere in sella e di continuare a dominare il paese vivendo una vita agiata.

Kim, come ha sottolineato l’Economist, conosce la fine di Gheddafi «che rinunciò alla corsa atomica per migliorare i rapporti con l’Occidente»: la minaccia nucleare è quanto consentirà al giovane leader di rimanere al potere.

Il secondo punto in comune è sull’origine della crisi, da non far ricadere solo sulle spalle dei Kim, perché grandi responsabilità le avrebbero gli Usa. All’origine della corsa al nucleare della Corea del Nord (senza contare le bombe e il napalm scaricati da quelle parti da Washington durante la guerra) non c’è solo un atteggiamento di sfida da parte di Pyongyang bensì l’approccio dell’amministrazione americana durante il periodo di George W. Bush.

Rimanendo agli ultimi vent’anni, se nel 1994 Clinton aveva raggiunto l’Agreed Framework con il quale Pyongyang bloccava la corsa al nucleare in cambio di sostegni economici, la svolta è avvenuta nel nel 2002 quando Bush definì il suo personale «asse del male» includendo Iraq, Iran e Corea del nord, riaprendo così il campo all’atomica di Pyongyang.

Seguiranno i «dialoghi a sei», che oggi la Cina prova a riproporre e la «pazienza strategica» di Obama, ma già prima dell’arrivo al potere di Kim jong-un, il padre aveva dimostrato di sapersi muovere tra le minacce americane e la richiesta di cautela della Cina.

E Pechino è vista da tutti come il paese che ha in mano la Corea del Nord. Ipotesi sicura fino a qualche anno fa, un po’ meno oggi: Xi Jinping e Kim non si sono mai incontrati e la leadership cinese di Xi non ha mai nascosto un fastidio nei confronti del suo «alleato».