MASTERX GENNAIO 2020

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Il personaggio Federica Gasbarro, Quanto ne sanno gli studenti che vanno in piazza? _ p. 10

I giovani e l’ambiente Quello che (forse) i Fridays non ci dicono _ p. 14

Inquina men(t)o Il mondo sta andando davvero verso l’eco-friendly? _ p. 4

Anno XVII | Numero 1 | Gennaio 2020 | www.masterx.iulm.it

Alternative alla plastica Limiti e ostacoli alla diffusione di carta e cotone _ p. 22

MasterX Periodico del Master in Giornalismo dell’Università IULM Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità


MasterX

NUME RO STAM SU CAPATO RICIC RTA LATA

SOMMARIO

GENNAIO 2020 - N° I - ANNO 17

Diretto da: DANIELE MANCA (responsabile) Progetto grafico: ADRIANO ATTUS In redazione: Niccolò Bellugi, Andrea Bonafede, Daniela Paola Brucalossi, Ivan Casati, Alessia Conzonato, Sofia Francioni, Eleonora Fraschini, Francesco Li Volti, Mauro Manca, Maria Gabriella Mazzeo, Virginia Nesi, Benny Mirko Procopio, Ilaria Quattrone, Martina Soligo, Lucio Valentini; Roberto Balestracci, Leonardo Degli Antoni, Vittoria Frontini, Valentina Lara Gavoni, Federica Grieco, Elisabetta Murina, Benedetta Piscitelli, Francesco Puggioni, Nicolò Rubeis, Mariano Sisto, Matteo Sportelli, Giulia Taviani, Salvatore Terracciano, Federica Ulivieri, Carolina Zanoni. Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 Stampa: RS Print Time (Milano) Master in Giornalismo Campus Multimedia InFormazione Direttore: Daniele Manca Coordinatore organizzativo: Marta Zanichelli Coordinatore didattico: Ugo Savoia Responsabile laboratorio digitale: Paolo Liguori Tutor: Sara Foglieni Docenti: Adriano Attus (Art Direction e Grafica Digitale) Federico Badaloni (Architettura dell’informazione) Luca Barnabé (Giornalismo, cinema e spettacolo) Simone Bemporad (Comunicazione istituzionale) Ivan Berni (Storia del giornalismo) Silvia Brasca (Fact-checking and fake news) Marco Brindasso (Tecniche di ripresa) Federico Calamante (Giornalismo e narrazione) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Marco Castelnuovo (Social media curation I) Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico I) Cipriana Dall’Orto (Giornalismo periodico) Nanni Delbecchi (Critica del giornalismo TV) Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale) Luca De Vito (Videoediting) Gabriele Dossena (Deontologia) Stefano Draghi (Statistica e demoscopia) Lavinia Farnese (Social Media Curation II) Alessandro Galimberti (Diritto d’autore) Paolo Giovannetti (Critica del linguaggio giornalistico II) Nino Luca (Videogiornalismo) Bruno Luverà (Giornalismo Tv) Caterina Malavenda (Diritto Penale e Diritto del Giornalismo) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Anna Meldolesi (Giornalismo scientifico) Alberto Mingardi (Giornalismo e politica) Micaela Nasca (Laboratorio di pratica televisiva) Elisa Pasino (Tecniche dell’ufficio stampa) Aldo Preda (Giornalismo radiofonico II) Davide Preti (Tecniche di montaggio) Fabrizio Ravelli (Critica del linguaggio giornalistico I) Roberto Rho (Giornalismo economico) Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Marta Zanichelli (Publishing digitale) instagram.com/masterx_iulm twitter.com/masterx_iulm youtube.com/clipreporter facebook.com/Masterx_IULM 2

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Quello che non sai Siamo davvero amici dell’ambiente? Dagli air pods alla raccolta differenziata: ricerche, dati e studi danno notizie approfondite sul green.

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Federica Gasbarro Tanti giovani mi chiedono cosa siano i cambiamenti climatici L’attivista dei Friday’s For Future è balzata agli onori di cronaca per aver manifestato con Greta Thunberg e ci ha spiegato perché è importante tutelare l’ambiente.

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I Friday’s For Future ci dicono tutto sull’emergenza climatica? Il movimento ambientalista si scaglia contro il Comune di Milano La Giunta cosa ha fatto per la città?

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L’arte del riparare Right to Repair consente di aggiustare i dispositivi elettronici Ogni anno vengono prodotti 50 mln di tonnelate di rifiuti elettronici, solo il 20% viene riciclato.

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Il Car Sharing sostenibile Da Milano a New York, il fenomeno è ormai diffuso. Elettrico, metano e idrogeno: quali sono le differenze?

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Ci sono valide alternative alla plastica? I difetti delle possibili soluzioni Dal cotone alla carta: quali sono i problemi?

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Gli aeroporti green Le infrastrutture tentano di essere dalla parte dell’ambiente Diversi progetti che mirano a rendere i viaggi a impatto zero.

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L’architettura amica del Pianeta Le idee che rendono i territori più sostenibili Gli esperti del settore mettono il loro sapere al servizio dei cittadini.

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Iulm news La laura honoris causa a Marco Bellocchio


EDITORIALE

Ilaria Quattrone ed Eleonora Fraschini Giornaliste praticanti del Master in Giornalismo IULM

AMBIENTE E FAKE NEWS: VERDE O FALSO? _ Bufale, bugie e informazioni parziali: sui cambiamenti climatici se ne sentono di ogni tipo. Il rischio è alimentare paure o, al contrario, minimizzare fenomeni altrettanto pericolosi. Orientarsi non è facile. Ma una cosa è certa: tutti vorremmo essere più green. Avere una vita che impatti meno sull’ambiente, anzi che lo protegga. Ma la domanda è: che cosa è “verde”? E possiamo davvero pensare che ogni nostro gesto sia “misurabile” in termini di quello che gli esperti chiamano “impronta ambientale”? Difficile trovare risposte immediate. Del resto, come diceva Henry Louis Mencken, “per ogni problema complesso esiste una risposta e una soluzione semplice e pulita. Peccato sia sbagliata”. Ed è per questo che era persino illusorio pensare che la recente Conferenza sul cambiamento climatico di Madrid riuscisse a trovare soluzioni che potessero mettere d’accordo i 190 Paesi riuniti. Come ridurre le emissioni di gas serra che stanno soffocando il mondo? Questa era la domanda. In particolare, la speranza era riuscire a trovare l’intesa sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi sul clima. Questo dovrebbe consentire agli Stati che inquinano meno di cedere la loro quota rimanente di gas serra ai Paesi che inquinano di più, permettendo una transizione più facile che non comprometta il raggiungimento degli obiettivi generali. E così sono finiti sotto accusa Brasile, Australia e Stati Uniti, colpe-

voli di aver ostacolato il Trattato per evitare di sottostare a regole più rigide. E sono le stesse nazioni che dovranno rispondere delle mancate garanzie necessarie allo stanziamento di finanziamenti adeguati verso i Paesi più esposti al cambiamento climatico, che avranno bisogno di più risorse per la messa in sicurezza del territorio e delle persone che vivono in aree a rischio. Non sono mancate le critiche, i giudizi e i rimproveri che non hanno minimamente considerato la possibilità che il global warming non possa essere risolto in 13 giorni di vertici per quanto siano stati ai massimi livelli. La discussione è stata rimandata alla Cop26 a Glasgow in Scozia, che si terrà nel 2020 e che per gli osservatori potrebbe rivelarsi un nuovo fallimento. Nell’attesa che i Big trovino un’intesa, abbiamo deciso di provare a capire se come singoli possiamo dare il nostro piccolo-grande contributo. A partire da alcune pratiche quotidiane come fare la lavatrice, radersi o ascoltare musica con gli AirPods che, secondo alcuni studi, inquinerebbero più di una corsa con una macchina diesel. Abbiamo cercato di studiare e analizzare le possibili alternative alla plastica o alle auto a benzina tentando di comprendere se siano strade percorribili o meno. Perché se si vuole davvero “essere verdi” il primo passo è “essere informati”.

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SEZIONE

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ARGOMENTO

INQUINA MEN(T)O? Ambiente, la situazione è critica e controversa. Si parla tanto di green e tecnologia, ma stiamo andando davvero verso l’ecofriendly?

photo © Marco Capovilla 4

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LABIULM

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SOCIETÀ Di Gabriella Mazzeo _ Un terzo dei pesci maschi nei fiumi britannici sta cambiando sesso: il motivo? I resti di pillole contraccettive sciolti nelle acque. Lo studio è stato condotto dalla University of Exter. Anche il comportamento di questi animali sta cambiando: è colpa degli psicofarmaci assunti dall’uomo. Entrando a contatto con le sostanze chimiche contenute al loro interno e sciolte nell’acqua, i pesci diventano più intraprendenti e meno insicuri, diventando prede poco prudenti e molto facili. Ancora, i fondali marini sono diventati la casa di quintali di rifiuti. Nello specifico, si parla di plastica: gli americani buttano via 2 milioni di bottiglie l’ora e ciascuna di queste richiede 500 anni per decomporsi. Ciò che i pesci ingeriscono contribuisce ad aumentare il rischio di malattie nel momento in cui il pescato arriva sulla tavola. Alle acque contaminate è da imputare una morte ogni 8 secondi. Sono circa 3,4 milioni le persone che nel mondo muoiono a causa di sostanze inquinanti presenti in mare. In Russia esiste un lago che è una vera e propria bomba ecologica: nel 1990 si scoprì che tenere i piedi in ammollo per un’ora nel Karachay bastava ad assorbire una dose di radiazioni pari a 600 roetgen, sufficiente a uccidere un essere umano. Queste sono solo alcune delle cose meno note quando si parla di inquinamento. La sua variante più discussa è quella di tipo atmosferico e da anni le grandi città combattono le polveri sottili con interi weekend di traffico limitato. Secondo alcuni studi, negli ultimi decenni l’aria delle città italiane è diventata più pulita. Non ci credete? Con lo spostamento delle fabbriche fuori città (e spesso fuori dal Paese) e il miglioramento delle tecnologie di produzione, la qualità dell’aria che respiriamo è sensibilmente migliorata rispetto al passato. Negli anni sono cambiati anche gli impianti di riscaldamento: si passa dal metano al Gpl, con un conseguente spostamento sulle stufe a pellet. Il combustibile è molto meno costoso e a minore impatto di emissioni di CO2, ma ad altissimo impatto di quelle di Pm10. E le emissioni ridotte hanno permesso di riconoscere come naturale una parte importante dell’inquinamento della Pianura Padana. Non è dunque eliminabile e, a completare il quadro, pesano ancora di più le tecniche agricole di ultima generazione. I fortissimi produttori di Pm10 sono i concimi nei campi e il letame sviluppato dagli allevamenti, tossico per via del cibo somministrato agli animali, ricco di sostanze chimiche altamente nutritive. L’opinione pubblica concentra le proprie energie sullo smaltimento di rifiuti di tipo usa e getta: è questa attualmente l’emergenza maggiore quando si parla di salvaguardia del pianeta. Nel mondo esistono ancora picchi di inquinamento dell’aria considerevoli: una giornata passata nelle strade di Pechino, per > L’indagine “Beach litter 2018” di Legambiente ha monitorato 78 spiagge in cui sono stati ritrovati 48.388 rifiuti, per una media di 620 pezzi per ogni 100 metri di litorale. Sulle coste italiane si trova soprattutto plastica (80%).

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VITA QUOTIDIANA

> esempio, equivale a consumare 21 sigarette in 24 ore. L’inquinamento atmosferico in Cina è talmente elevato da rappresentare anche un terzo delle cause di contaminazione di San Francisco. Com’è possibile? Il motivo sono le correnti che trasportano le polveri sottili. L’India è il Paese che ha l’aria più irrespirabile del globo: una passeggiata a New Delhi è dannosa come il fumo di 100 sigarette in poche ore. Ne risentono anche le opere d’arte: il marmo bianco del Taj Mahal, per esempio, sta gradualmente diventando giallo. Mentre il lavoro sulle emissioni inquinanti nell’atmosfera è però costante da anni in tante grandi città, il dibattito sullo smaltimento di rifiuti è diventato centrale soltanto negli ultimi tempi. Tanto si deve ai giovani attivisti, ma la verità è che prima di diventare un topic di discussione politica, l’impatto zero è un fenomeno di costume più o meno importante. Un esempio? Le borracce. I consumatori dicono addio alle bottigliette da distributore degli snack e salutano con entusiasmo i nuovi articoli ecologici che sono diventati ormai anche oggetto di design. Ma quante persone sono al corrente dell’inquinamento che anche questi possono generare? Gli AirPods, per esempio: comodi, tecnologici e di tendenza, ma rappresentano una vera tragedia per quanto riguarda lo smaltimento. Per 18 mesi permettono di riprodurre musica, podcast o fare telefonate, poi le batterie agli ioni di litio smettono di mantenere la carica, rendendo il prodotto lentamente inutilizzabile. Che fine fanno poi le cuffiette wireless gettate via per il paio più nuovo e più di tendenza? In quanti utilizzano le macchinette del caffè per fare della sana economia su tempo e gas impiegati per mettere sul fornello una moka? Ebbene, un’azione semplice come una tazzina d’espresso produce circa 120mila tonnellate di rifiuti. E poi, l’azione più green del mondo è la raccolta differenziata. A Nord dell’Italia è molto più radicata che nella parte inferiore della penisola, meno difficilmente si incorre in errori, ma ci sono sbagli che in pochissimi riescono a riconoscere. Gli scontrini, per esempio, non sono un pezzo di carta come un altro. Dove buttarli, quindi? Nel 2017, l’Istat ha evidenziato che il Nord-est è maggiormente preparato sulla raccolta differenziata, pari al 68,3%. Quelle che fanno peggio sono le isole, con un misero 31% di rifiuti correttamente differenziati, circa la metà di quanto imposto dalla normativa. Lo scarso risultato è da imputare alla sola Sicilia, dove si differenzia solo il 21%. Bene la Sardegna, con il suo 63%. Nel 2019, le cose non sono cambiate, nonostante l’alta attenzione sui Fridays for Future, presenti in tutta Italia. Negli ultimi anni, molti capoluoghi attuano l’autocompostaggio con l’obiettivo di incrementare il coinvolgimento diretto delle famiglie nel processo di smaltimento della spazzatura e la coscienza ambientale. Si applicano agevolazioni alle utenze che lo effettuano: il 75% delle amministrazioni se ne serve. Prime in classifica sono le città del Centro con un importante 86%, seguite dal Nord, con il 79% dei centri abitati. In coda il Mezzogiorno, con il suo 65%.

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Gli AirPods inquinano più di quanto sembra. Sono composti da tungsteno, stagno, tantalio, litio e cobalto

GLI INSOSPETTABILI

AirPods e caffè: pausa nociva Di Matteo Sportelli _ Bere un caffè ascoltando la musica: anche le azioni più semplici possono avere un impatto ambientale significativo. Le forme di inquinamento mutano e aumentano a causa delle nuove tecnologie e del diffondersi di nuove tendenze. Gli AirPods di Apple sono un oggetto di design ampiamente diffuso ma con un rapporto con la sostenibilità controverso. Già l’elenco dei materiali con cui sono composte queste cuffie wireless alimenta i sospetti: tungsteno, stagno, tantalio, litio e cobalto. Per i primi 18 mesi le batterie agli ioni di litio permetteranno all’utilizzatore di telefonare e ascoltare musica con la comodità della tecnologia Bluetooth, ma poi l’autonomia degli Airpods diminuisce fino a renderli inutilizzabili. Non è possibile liberarsene senza lasciare un’impronta notevole sull’ambiente. Non si possono gettare nei rifiuti, altrimenti la batteria agli ioni di litio potrebbe causare un incendio e non possono essere riciclati perché non c’è modo

di separare la batteria dal guscio senza rischi. Si possono lasciare in un cassetto o in un baule così che tra migliaia di anni potrebbero essere considerati i fossili del 2000. Occhio anche ai caffè che acquistate: per chi ha una moka l’unico impegno è quello di buttare i fondi di caffè nell’umido, ma per chi usa le capsule l’accortezza dev’essere maggiore. Secondo lo studio di Life Pla4coffee ogni anno vengono vendute circa 10 miliardi di capsule che generano 120 mila tonnellate di rifiuti che finiscono in discariche e inceneritori. Un volume di vendita che è in costante aumento e che fa scattare l’allarme sullo smaltimento di queste capsule, realizzate, generalmente, in plastica e alluminio. Alcuni marchi stanno proponendo soluzioni per cercare di ridurre l’impatto ambientale. Nespresso ha proposto soluzioni per riciclare sia l’alluminio che gli avanzi di caffè, mentre altre aziende hanno iniziato a produrre capsule biodegrabili.


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SOCIETÀ

DETERSIVI

Bucato green? Lavare sporca Di Leonardo Degli Antoni _ Anche l’uso responsabile della lavatrice svolge la sua parte nella tutela dell’ambiente. Sì, perché lavare i vestiti solo quando è davvero necessario è un ottimo accorgimento per ridurre lo spreco dell’acqua e quello energetico. Per questo motivo gli alberghi chiedono esplicitamente ai propri ospiti di riutilizzare gli asciugamani. Negli hotel ci chiedono di buttare gli asciugamani per terra se vogliamo che vengano cambiati, in caso contrario il personale di servizio non li sostituisce. La richiesta ha l’obiettivo di evitare gli sprechi di acqua e di energia. L’EPA, l’agenzia americana per la protezione dell’ambiente, ha calcolato che se gli ospiti utilizzassero la stessa salvietta per più di un giorno, i grandi alberghi riuscirebbero a ridurre di circa il 17% i carichi di lavaggio (acqua e energia elettrica). Sempre secondo le stime dell’agenzia, negli alberghi

sono le docce e le lavanderie a comportare i maggiori consumi idrici (rispettivamente sono i responsabili del 30% del consumo d’acqua e del 16%). Ma lavare i vestiti solo quando non se ne può fare a meno non basta. Occorre anche farlo in modo intelligente, con temperature più basse (ancora meglio a freddo), con la lavatrice piena e con tempi di lavaggio e velocità della centrifuga ridotti. Sarebbe meglio utilizzare detersivi e ammorbidenti liquidi, evitare le capsule avvolte nella pellicola di plastica e acquistare i prodotti all’ingrosso. Tutto questo per ridurre l’utilizzo di flaconi usa e getta. Infine, per diminuire la dispersione nell’ambiente di microfibre rilasciate dai nostri capi sintetici, si può comprare un sacchetto per il lavaggio. Questi contenitori permettono di catturare le microfibre degli indumenti messi al loro interno, consentendone uno smaltimento più responsabile nella spazzatura.

Riutilizzare la salvietta in albergo. Basta poco per ridurre i consumi del 17%

Radersi fa male all’ambiente. Le sostanze rilasciate danneggiano l’aria

ECO-DOCCIA

Meglio il diesel che farsi la barba Di Nicolò Rubeis _ Prendersi cura dei capelli può avere un impatto pesante sull’ambiente. Prodotti come lozioni, lacche e shampoo, infatti, rilasciano grandi quantità di silossani, composti chimici molto dannosi per l’aria che respiriamo. Uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, condotto da ricercatori americani e canadesi, ha evidenziato come la mattina, quando le persone si preparano ed escono di casa per recarsi a lavoro o all’università, le sostanze rilasciate da questi prodotti sono ai livelli del benzene emesso dai gas di scarico delle macchine. Un’alternativa sostenibile per il lavaggio dei capelli può essere rappresentata dallo shampoo solido. Questa formula senz’acqua consente di evitare il packaging classico in plastica per il confezionamento. Lo shampoo solido è efficace quanto quello liquido ma estremamente più comodo ed economico. Anche tagliarsi la barba può essere fonte di

inquinamento. Le schiume anti-irritamento in commercio sono piene di sostanze nocive. Una qualsiasi crema naturale a base di oli vegetali può essere l’ideale per l’idratazione della pelle. Spesso quest’ultime possono essere prodotte anche a chilometro zero sfruttando le risorse del territorio. Per non parlare dell’utilizzo della plastica dei rasoi usa e getta. La loro produzione e il loro mancato riutilizzo incrementa la mole di rifiuti, alimentando la logica del consumo. I rasoi sono pensati per essere usati poche volte e poi smaltiti, spesso in modo indifferenziato. Gillette, in collaborazione con TerraCycle ha lanciato Gillette Razor Recycling Program, un progetto per il riciclaggio dei rasoi. Aderendo all’iniziativa si possono spedire le lamette usate che verranno poi separate, riciclate e trasformate in nuovi prodotti come tavoli e panchine da pic-nic. I composti in metallo saranno invece fusi e convertiti in nuove leghe.

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RACCOLTE DIFFERENZIATE

8mila regole per 8mila comuni Di Sofia Francioni e Lucio Valentini _

Dove gettare i cartoni della pizza e i fazzoletti? Indifferenziata e umido!

UMIDO, PLASTICA O CARTA?

9 cose che non sai sulla differenziata Di Francesco Li Volti _ Il cartone della pizza viene spesso, erroneamente, gettato nel contenitore della carta insieme a volantini, quaderni e riviste. Non tutti sanno che se il cartone è unto, bagnato o sporco dovrà infatti essere gettato nell’indifferenziata, a seconda delle singole indicazioni territoriali. I fazzoletti di carta invece, dopo essere stati usati dovranno essere collocati nel cassonetto dell’umido, come anche i tovaglioli usa e getta al termine della cena. Nel caso in cui siano simili a quelli di stoffa o abbiano stampe colorate, andranno invece nell’indifferenziato insieme alla carta da forno e alle carte oleate. Anche gli scontrini non si possono differenziare perché stampati su carta termica, diversa da quella utilizzata per la stampa di riviste e giornali. Per il tetrapak vale un discorso a parte: di solito è possibile lavarlo, pressarlo e gettarlo nella carta. Le sigarette, i sigari, le gomme da masticare vanno

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nell’umido? Assolutamente no! Va tutto nella raccolta indifferenziata. Stesso discorso vale per i tubi al neon, le lampadine, gli specchi, le porcellane, i piatti, i coperchi trasparenti delle pentole, le pirofile e gli oggetti in pyrex: sembrano simili al vetro ma in realtà vanno gettati nel bidone dell’indifferenziata. Accendini, spazzolini da denti, penne, pennarelli e giocattoli di plastica vanno nell’indifferenziata perché non sono considerati imballaggi. Bustine del tè, fondi della moka e cialde del caffè possono essere invece riposti nell’umido. Altro errore molto comune riguarda i pannolini dei bambini e gli assorbenti femminili: anche questi non possono essere riposti nell’umido. Questi rifiuti devono essere smaltiti nell’indifferenziata, insieme a cotton fioc, garze, cerotti e batuffoli di cotone. Devono essere invece raccolte in carta e plastica tutte le loro confezioni.

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“Per scrupolo, consultate il sito del vostro comune”. È quello che continuiamo a sentirci dire ogni volta che cerchiamo di capire dove buttare i rifiuti. Quando, ad esempio, dietro una confezione troviamo scritta l’oscura espressione “misto cartone”, nella maggior parte dei casi si tratterà di tetrapak (uno strato di carta rivestito da materiale plastico all’esterno e alluminio all’interno), di cui sono fatti gran parte degli imballaggi alimentari. In alcuni comuni va gettato insieme alla carta, togliendo il tappo o il beccuccio dosatore di plastica, in molti altri il tetrapak va invece buttato nei sacchi e bidoni della plastica. Ma le differenze regionali arrivano anche a casi paradossali come quello del polistirolo, una plastica non contaminata da residui, che in alcuni comuni finisce comunque nell’indifferenziata. A risolvere i nostri dubbi, con davanti una confezione di Kellogg’s extra, non basta neanche chiamare l’azienda

produttrice in questione, che - cortesemente - ci ricorda che per lo smaltimento a comandare è sempre il diktat del nostro Comune. Campanile per campanile, l’Amsa (l’azienda milanese dei servizi ambientali) ha addirittura creato un’app, “Dove lo butto?”, che permette di scoprire quali sono le diverse regole comunali per la raccolta differenziata. In sostanza: 8mila regole per 8mila comuni. Ma se in tutta Italia abbiamo gli stessi bidoni della spazzatura, perché non riusciamo ad avere le stesse regole? Questa buona prassi consentirebbe alle aziende di suggerire sulle loro confezioni anche i cassonetti nei quali vanno gettati i prodotti, cosa che invece oggi succede di rado, come ad esempio per il pacco dei Pan di stelle che sul retro dà una risposta che non ammette dubbi. Perché la raccolta differenziata ha sì bisogno di regole comuni, ma anche di una comunicazione efficace: a volte non servono tante parole: guardate la foto.

Differenti norme. Stesse regole per lo smaltimento aiuterebbero leaziende


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SOCIETÀ

CURIOSITÀ

Da Jovanotti all’Enel: chi lo ha già fatto 1. BIORFARM

Treedom. Dalla sua fondazione la piattaforma ha piantato 600mila alberi in 15 Paesi.

Adotta un albero e respira meglio

Biorfarm tutela gli agricoltori locali. Uno di questi è Giovanni Zappavigna che lavora nell’azienda agricola di famiglia. Si chiama Arangara e si trova ad Ardore, in provincia di Reggio Calabria. Qui si coltivano agrumi come arance, limoni e bergamotto. Con il metodo biologico tradizionale, questa azienda sostiene l’ambiente e la biodiversità.

Alcune aziende agricole italiane propongono l’affido di alberi per combattere l’aumento della Co2. Lo chiamano metodo di compensazione. Il cliente ne segue poi la crescita tramite Internet

2. TREEDOM

Di Virginia Nesi e Benny Mirko Procopio _ L’Amazzonia piange, boschi e foreste bruciano. Le emissioni di C02 aumentano la temperatura media globale. Eppure, c’è ancora chi si ingegna per difendere la salute del pianeta. Obiettivo: compensare le emissioni di anidride carbonica con nuove soluzioni eco-sostenibili. Così, in rete, alcune aziende agricole propongono di comprare e adottare alberi a distanza. Basta un clic per scegliere un arbusto e affidarlo a un agricoltore del luogo di origine. Foto, video e mappe sono a disposizione dell’utente per vedere il proprio albero crescere anche a centinaia di chilometri di distanza. Si tratta di un’alternativa green sostenuta da diverse piattaforme agricole. «Se ci sono sette milioni di persone disposte a pagare per coltivare alberi digitali, perché non dovrebbero farlo per piantare degli alberi veri?». Questa la domanda che si sono posti Federico Garcea e Tommaso Speroni, fondatori di Treedom. I due si riferivano a Farmville, gioco online che come obiettivo aveva quello di creare e gestire dei campi agricoli. Nel 2010 hanno dato il via a una start up agricola. Da allora, sono riusciti a piantare più di 600 mila alberi in 15 Paesi. Coinvolgendo i contadini locali e coltivando specie arboree in territori nativi, Treedom contribuisce al

benessere dell’ambiente. Anche la ditta “La Nostrana” si distingue per questo tipo di attività. Situata a Pastorano, nella provincia di Caserta, è diretta dai fratelli Nicola e Anselmo Esposito. In un terreno di 10 ettari coltivano mele, pesche, prugne e noci. «Oltre a poter adottare a distanza un albero di melo o di pesco, il potenziale cliente può venire a raccogliere il frutto di persona o aspettare che glielo spediamo a casa», dice Nicola Esposito. «Ci teniamo a renderlo partecipe – continua - del processo di avanzamento della vita dell’albero, così gli inviamo tramite email informazioni su cura e trattamenti». Avocado Hass in Sicilia, limone Verdello in Calabria o albicocca rossa in Puglia. Sulla piattaforma Biorfarm è possibile adottare un albero da agricoltori locali situati in diverse parti dello Stivale. Dal Trentino Alto Adige alla Campania, passando all’Emilia Romagna e al Piemonte. Questa startup calabrese è riuscita a unire il trend delle adozioni degli alberi a una logica commerciale sostenibile e innovativa. Il focus dell’attività è quello di spedire, o in alternativa far raccogliere, i frutti nati dall’albero adottato. Tramite l’applicazione, i proprietari delle piante sono aggiornati su coltivazione e crescita dei frutti. Tale modo di operare permette di tutelare i piccoli agricoltori locali e di soddisfare i consumatori con prodotti biologici.

Enel è stato il primo grande cliente di Treedom. In un’intervista, i fondatori della piattaforma hanno rivelato che la compagnia elettrica ha acquistato 12 mila alberi in occasione del tour di Jovanotti. L’obiettivo era quello di compensare le emissioni di CO2 causate dai concerti. Insieme al biglietto, venivano dati alberi in omaggio.

3. LA NOSTRANA

Tra i prodotti di La Nostrana risalta la mela Annurca: una varietà di mela, tipica della regione Campania, che necessita di un trattamento specifico. Considerata come la ‘regina delle mele’, viene raccolta ancora acerba e sistemata a terra su una superficie ricoperta da paglia, dove viene lasciata maturare al sole per circa 10 giorni.

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IL PERSONAGGIO

Di Virginia Nesi _ Attivista, ex portavoce del movimento Fridays for Future e unica italiana a rappresentare l’Italia al Youth Climate Summit, primo vertice Onu dei giovani che si è tenuto lo scorso 21 settembre al Palazzo di Vetro. A 24 anni, Federica Gasbarro concilia gli studi in Scienze biologiche con le manifestazioni contro il riscaldamento climatico. Tra i prossimi progetti della giovane c’è One tree for future (in italiano, un albero per il futuro), una raccolta fondi per piantare alberi da frutto in Africa. Come nasce questa tua sensibilità verso l’ambiente? «Vengo da una famiglia che è sempre stata molto attenta a queste tematiche. I miei genitori mi hanno insegnato a rispettare l’ambiente. Però sono stati gli studi in Biologia che mi hanno permesso di toccare con mano il problema che stiamo affrontando adesso. In particolar modo, durante il mio ultimo anno di università ho potuto assistere a numerose conferenze nelle quali ho potuto apprendere conoscenze più tecniche». Che cosa avevi in mente? «Desideravo provare a essere quella differenza che volevo vedere nel mondo. In concomitanza, in televisione trasmettevano diversi servizi sulla questione quindi ho detto: è il momento!». E la laurea in Biologia? «No, non sono ancora laureata. Sto finendo gli ultimi quattro esami perché da quando ho iniziato i Fridays for Future ho dovuto rallentare. Mi mancavano quattro esami e quelli sono rimasti». [Ride dall’altro capo del telefono] Per Fridays for Future Federica si riferisce alla mobilitazione di studenti che ogni venerdì si assentano da scuola per protestare contro le politiche ambientali dei rispettivi governi. Obiettivo: mantenere la temperatura media globale sotto il livello limite di +1,5 gradi. L’ideatrice del movimento è la giovane attivista svedese Greta Thunberg.

Federica Gasbarro Attivista ed ex portavoce di Fridays For Future

MOLTI IN PIAZZA, MA CHI SA DAVVERO IL PERCHÉ? 10

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Fridays for Future: non sei mancata a nessuno di questi eventi. «Sì, ero presente a tutti i quanti. Anche venerdì c’ero [si riferisce al 29 novembre 2019], anche se non era nei Global Fridays. Andavo già anche ai venerdì normali. Sono stata portavoce del movimento da febbraio a ottobre 2019. Adesso non lo sono più perché dopo un determinato numero di mesi ruotiamo. Vogliamo permettere a tutti di responsabilizzarsi e di fare questa esperienza». Come ti sei sentita a essere l’unica italiana all’Onu a rappresentare il tuo Paese e a manifestare con Greta? «In realtà, ancora non ci credo. L’esperienza di per sé è stata altamente formativa. Mi ha dato l’opportunità di conoscere ragazzi provenienti da ogni parte del mondo. Anche giovani che hanno perso tutto a causa di questi problemi legati al clima. Ho potuto parlare con i leader di alcuni Paesi». E cosa hai domandato loro? «Appunto, volevo chiedergli il conto». Che progetto hai portato a New York? «Nella candidatura richiedevano un progetto che non doveva essere necessariamente una tua scoperta. Non dovevi essere Rita Levi Montalcini, andava bene anche un’idea in via sperimentale o legata a qualche start up. C’erano varie possibilità. Io, studiando Scienze Biologiche, ho porta-


IL PERSONAGGIO

to i fotobioreattori. Li reputo una buona soluzione perché possono aiutare a risolvere il problema». Di che cosa si tratta esattamente? «Per farla semplice, possiamo descriverli come degli acquari alti e cilindrici che contengono solo alghe. Si sfrutta la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica e rilasciare ossigeno. Facendo la fotosintesi assorbono la C02 e tolgono il gas serra che danneggia la atmosfera». Andiamo al punto: che rapporti hai con i politici italiani? «Devo dire che mi sono trovata molto bene a parlare con il ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Sergio Costa. Lui stesso ha voluto questa Cop giovani e lo ha dichiarato a New York. Reputo che sia una persona con cui si possa parlare: gli porti proposte, cose pratiche e lui le ascolta». A cosa ti riferisci? «Costa ha parlato del Seca, il metodo per ridurre le emissioni di diossido di azoto dalle navi, della lotta al marine litter per ridurre gli effetti dell’inquinamento oceanico, della protezione della biodiversità. Sono contenta che sia lui a ricoprire questo ruolo al Governo».

«Purtroppo non c’è. A oggi, noi giovani speriamo nelle nuove tecnologie. Anche se per esempio ci sono dei modi per calcolare quante emissioni di anidride carbonica produciamo e quindi anche quante tonnellate emette un volo. Una volta che fai questo calcolo, magari puoi ricorrere ad azioni di compensazione». Per esempio? «Magari offrendo un determinato contributo a un’associazione che pianta alberi. C’è questa correlazione, ci sono siti che permettono di farlo quindi potrebbe essere una buona soluzione considerando anche che le nostre foreste stanno andando a fuoco».

Nella pagina accanto: Federica Gasbarro durante una manifestazione; sotto: Federica accanto a Greta Thunberg.

Esistono delle piattaforme che permettono di adottare alberi. «Sicuramente sono procedimenti di compensazione che possono andare bene. Mentre le tecnologie non avanzano, noi possiamo iniziare a donare: non inquina». Nell’Agenda 2030, l’Onu elenca 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile: 10 anni per raggiungerli. «Siamo all’inizio, siamo sulla buona strada ma sarà un percorso molto difficile e faticoso. Ci vorrà tantissimo impegno, non da parte di uno Stato, ma di tutto il mondo. Forse è proprio questo che rende l’impresa particolarmente ardua. Anche se, insomma, bisogna essere visionari e non sognatori».

E la tua mobilitazione continua. «Oggi per esempio ero alla Cop 21 di Napoli, in qualità di rappresentante dei giovani. In quest’occasione, ho parlato con i ministri dell’Ambiente degli Stati che si affacciano sul MeDesideravo diterraneo». Oggi si parla di moda sostenibile, auto elettriche, ristoranti a impatto zero. È sufficiente? «Dall’anno scorso tante cose sono cambiate, c’è una coscienza diversa nelle persone quindi la strada giusta l’abbiamo imboccata però non basta. Bisogna continuare sia con le manifestazioni che con le buone pratiche e tante altre cose».

Un futuro green. Tra i prossimi progetti della giovane, c’è One tree for future: una raccolta di fondi per piantare alberi da frutto in Africa.

provare a essere quella differenza che volevo vedere nel mondo

Quanto è difficile inventare qualcosa di nuovo per migliorare la salute del pianeta? «Il problema è che non c’è una cosa da cambiare, è un puzzle di piccole questioni».

Qual è la cosa più pericolosa per l’ambiente? «Le emissioni di anidride carbonica. I gas effetto serra sono troppi e di conseguenza federica gasbarro assolvono eccessivamente alla loro funzione di trattenere i raggi solari quindi la temperatura aumenta. Ciò causa l’innalzamento della temperatura media globale, il famoso global warming, che Parliamo delle buone pratiche. a sua volta causa lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalza«La stessa raccolta differenziata, ma anche i ristoranti mento dei mari, il proliferare di nuove malattie e batteplastic free. La scelta di eliminare la plastica usa e getta ri, la riduzione dell’acqua potabile. Sono le emissioni di da queste attività commerciali permette anche a chi non è anidride carbonica il problema più urgente. Non c’è una ancora consapevole di vivere il piccolo cambiamento sul- tecnologia che riesca a risolverlo». la propria pelle. Questo lo porta a fare determinate scelte che diventano parte della sua quotidianità perché magari Esiste anche l’Airlite, la vernice che cattura lo smog. comprende il problema, si informa». «Quella va bene. Così come è giusta la mobilità sostenibile, ma il problema è che tutto deve cambiare». 24 anni e con migliaia di giovani che ti sostengono. «A volte mi fermano per rivolgermi delle domande un po’ Adesso cosa ti aspetta? più tecniche. Studio Biologia e questo mi aiuta perché rie- «A febbraio ho un mio progetto. Si chiama One tree for sco a rispondere in modo semplice. I giovani delle scuole future quindi un albero per il futuro. L’obiettivo è raccovogliono capire meglio il fenomeno e magari mi doman- gliere fondi per piantarne e mi piacerebbe farlo in Africa dano che cos’è davvero questo cambiamento climatico. Il per donarli ad alcune famiglie che poi possono o cibarsi perché la Co2 non è così buona». di quei frutti o venderli e quindi avere dei soldi per poter pagare la scuola ai figli. Qual è il primo passo per prendersi cura dell’ambien- Così raggiungerei due obiettivi dell’Agenda delle Nazioni te? Unite: uno legato ai diritti umani, quindi combattere l’a«Sicuramente informarsi e capire bene il problema. Cam- nalfabetizzazione e l’altro legato ai cambiamenti climatibiare quindi il proprio stile di vita, in maniera pratica, ci: gli alberi catturano l’anidride carbonica». utilizzando più mezzi pubblici, la bicicletta, la tanto discussa borraccia. Internet, in particolar modo, propone Vivi a Roma, non pensi a un progetto che possa risollenumerose alternative ai classici oggetti di plastica che vare la qualità urbana? utilizziamo». «Sì, sarebbe grandioso se uno ci riuscisse. Credo che la sindaca Virginia Raggi qualcosa stia facendo, ma purtropI voli a lungo raggio emettono un quantitativo enor- po non è abbastanza. Sicuramente c’è bisogno dell’aiuto di me di emissioni nocive, quale potrebbe essere un’al- tutti, il suo principalmente, visto che è a capo di una città ternativa? così grande».

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CHI È FEDERICA 24 anni, Federica concilia gli studi in Scienze Biologiche con la lotta al cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente. Ha anche manifestato accanto a Greta.

Ha rappresentato l’Italia durante lo Youth Climate Summit, primo vertice dei giovani sull’ambiente, che si è svolto all’Onu. Durante l’incontro ha incontrato diversi leader mondiali.

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TENDENZE

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LIFESTYLE

A sinistra la linea del designer libanese Roni Helou, Wasteland, Wonderland, che si ispira al problema dei rifiuti nel suo Paese. Ha inserito elementi di sportswear nei suoi classici capi sartoriali, utilizzando però solo scorte morte, eccedenze di fabbrica o tessuti bio.

ReMode e riciclo sono più Anna Wintour, direttrice di Vogue America, sostiene che «è importante indossare più volte gli abiti, conservarli con cura, magnificandone la fattura e l’eleganza» Di Vittoria Frontini ed Elisabetta Murina _ Il futuro del fashion è circolare. Acquistare capi e accessori di seconda mano è una delle grandi tendenze di quest’anno. Oltre che far risparmiare, aiuta anche il pianeta. È una corrente che segue l’onda ecologista, ma anche la voglia dei consumatori di avere capi dell’ultima collezione spendendo meno. A grande sorpresa anche la Direttrice a vita di Vogue America, Anna Wintour, ha preso parte alla lotta contro gli abiti “usa e getta”. Anna, regina incontrastata della moda, sostenendo la lotta “pro vintage” ha segnato marcatamente il cambiamento. È fondamentale ricordare che questa battaglia non viene combattuta solo per una questione di stile, ma per dare la giusta importanza a quella che viene ormai definita “moda circolare”. L’espressione è stata coniata nel 2014 dalla fondatrice della Green Strategy

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Anna Brisman, molto più vicina al concetto di lusso che a quello di usato. Ma non è solo Anna Wintour ad aver indossato più volte lo stesso tailleur. Anche le mogli dei principi inglesi William e Harry, Kate Middleton e Meghan Merkle, si sono mostrate in pubblico con lo stesso outfit. Ha suscitato sorpresa vedere l’attrice Cate Blanchett e la cantante Cardi B indossare gli stessi abiti su diversi red carpet. Molte le ragioni che in quest’ultimo anno hanno contribuito a un vero e proprio boom del mercato di seconda mano. La produzione globale di abbigliamento è raddoppiata negli ultimi 15 anni. I numeri della moda di seconda mano sono difficili da quantificare. In alcuni Stati si è registrata una crescita circa 25 volte maggiore rispetto alla distribuzione classica: è il caso degli Stati Uniti dove nel 2017 sono stati destinati 23 milioni di dollari al mercato dell’usato. In Italia invece, secondo il report 2017 della piattaforma Subito.it, il giro d’affari del second hand ha toccato i 23 miliardi di euro. Questo significa che quasi un italiano su due ha acquistato un prodotto usato. I capi di abbigliamento si classificano al secondo posto tra i beni più comprati sia online che in negozio. “ReMode” è stata la parola chiave di un’importante conferenza, avvenuta nel novembre 2018 a Los Angeles, dove il mensile Vogue si è impegnato a discutere il problema della cir-

FASHION RENTING E DECLUTTERING

Le regole per un armadio eco-friendly Parola d’ordine è “decluttering”, ovvero liberarsi del superfluo senza sprechi. Regola numero uno, acquistare meno capi d’abbigliamento. Stando alle stime infatti, nel 2050 l’industria del tessile sarà responsabile di un quarto del consumo del carbon budget, causando un aumento della temperatura di ben 2°C. Regola numero due vendere o donare tutto ciò di cui non abbiamo più bisogno. Il miglior modo per assicurarsi che gli abiti non finiscano in una discarica è rivenderli, devolverli ad associazioni benefiche o partecipare ai clothes swap (scambio di abiti). Regola numero tre, riciclo. Dare una seconda possibilità ai vestiti, reinventandoli in maniera creativa secondo le tendenze del momento. Poche e semplici linee guida insomma, per avere un guardaroba “sostenibile” perfetto e la coscienza pulita. Dall’America arriva poi un nuovo trend, quello del “fashion renting”: la moda strizza l’occhio al noleggio, per coniugare armadio illimitato e salvaguardia dell’ambiente.


LIFESTYLE

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TENDENZE

Beauty sostenibile: il pianeta ringrazia Aziende sempre più sensibili al problema: make-up “zero waste”, formule cruelty free e packaging biodegradabili. La cosmetica “verde” fa passi da gigante sul fronte del rispetto all’ambiente Di Benedetta Piscitelli _

eleganti colarità identificando il mercato della moda come uno dei più inquinanti. Nello stesso anno, queste indagini avevano scoperto che meno dell’1% degli indumenti usati veniva riciclato. Diversi colossi della moda si sono impegnati in questo senso: il brand Levi’s ha iniziato a utilizzare filato rigenerato ricavato dagli scarti degli indumenti, mentre la stilista Stella McCartney ha creato vivaci calzettoni gialli zero waste per accompagnare gli inviti alle sfilate del 2018. Tanti anche i negozi nel mondo che hanno deciso di mettere in vendita abiti di seconda mano, come le tre boutique di Bivio a Milano. Cambia ora il ruolo del designer: non è più soltanto “creatore” di qualcosa di eccezionale, ma anche “ricercatore” di nuovi e altrettanto eccezionali modi per riutilizzare scarti e tessuti. La catena H&M è stato uno dei primi brand a introdurre all’interno dei suoi negozi la raccolta di qualsiasi tipo di indumento e tessuto, non necessariamente firmato da loro, che verrà poi riutilizzato nella produzione. Anna Gedda, la Head of Sustainability di H&M, afferma che ad oggi è stato raccolto l’equivalente di 89 milioni di t-shirt. E in un mondo dove la tecnologia cresce a dismisura non potevano mancare le app dedicate al “ReMode” come Good On You. Fondata in Australia nel 2013 e lanciata da poco in tutto il mondo, aiuta nello shopping etico, rispettoso di ambiente, uomini e animali.

Che cosa contiene il blush che stendi sulle Largo dunque al make-up riutilizzabile e soguance? Come è fatta la crema che utilizzi al prattutto massima attenzione allo “zero waste”. mattino? Più in generale, cosa c’è nel tuo ba- Il dubbio è lecito, è davvero possibile produrre gno? “What’s in Your Bathroom?” è lo slogan zero rifiuti? Il punto di svolta potrebbe essere del Programma delle Nazioni Unite per l’Am- non solo l’eliminazione di dispencer in plastica biente che esorta a un acquisto e utilizzo con- o packaging superfluo ma anche la trasformasapevole dei prodotti detergenti e di bellezza. zione di prodotti liquidi in solidi. Fino a qualche tempo fa, poco importava se C’è poi chi propone merce “alla spina”, da rinelle creme e saponi ci fossero microplastiche. caricare in negozio utilizzando sempre il meAdesso invece, c’è una maggiore consapevo- desimo contenitore. Se infine quello che si è lezza da parte del consumatore e questo im- costretti a buttare è anche biodegradabile, pone alle aziende di beauty care di iniziare a il gioco è fatto. Intanto tra i consumatori l’epensare in un’ottica eco-sosteco-bio fa sempre più tendenza nibile. nel campo del make up. Basta Ecco allora che in piena crisi dare uno sguardo a Instagram climatica ed ecologica, l’induper comprendere la portata ristria della bellezza si mostra voluzionaria del fenomeno. sempre più interessata a un Mai come in questo momento cambio di prospettiva in chiale piattaforme social pullulave green. no di beauty influencer che Il Climate Action Summit delle dispensano preziosi consigli Nazioni Unite ha acceso i rifletalle followers su come curare tori sull’esigenza di una svolta la propria pelle. «Le persoecologica anche nel settore ne chiedono sempre l’Inci - il della cosmesi, che in alcuni protocollo che classifica gli casi si è già tradotta in impeingredienti dei cosmetici - dei gni concreti di sostenibilità. È prodotti che promuovo e preil caso del Business Ambition diligono, soprattutto per lo for 1,5 ° C, promosso dal UN skin care, quelli senza siliconi, Per lo skin care Global Compact e firmato da parabeni e petrolati». L’Oréal o il “One Planet BusiA parlare è Marta Cerreto, meglio i prodotti ness for Biodiversity” (OP2B) make-up artist, youtuber da senza siliconi, per la protezione e il ripristino 28 milioni di visualizzazioni e della biodiversità, firmato da influencer con oltre 200 mila parabeni Unilever e L’Oréal . follower. e petrolati Anche la legge è attenta Quanto al problema delle miall’ambiente. Nel nostro Pamarta cerreto croplastiche, secondo Marta ese, ad esempio, la Manovra rappresentano valide alternadel 2018 ha stabilito che dal 1° tive gli esfolianti chimici, come gennaio 2020 sarà vietato mettere in commer- l’acido glicolico, privo di glitter o particelle. cio cosmetici da risciacquo ad azione esfolian- Ottimi anche i rimedi “home made”: gli scrub te o detergente contenenti microplastiche. naturali a base di zucchero e miele, per esemTuttavia non tutti i prodotti rientrano nella de- pio. Infine la detersione del viso, essenziale in finizione proposta dalla legge e quelli conte- una corretta beauty routine. Ma che fine fanno nenti glitter luccicanti, ad esempio, potranno i dischetti struccanti? Quanto poco sostenibile essere ancora commercializzati. è il rituale del démaquillage? Per questo è necessario un approfondimento Marta ci consiglia di optare per i dischetti riutinormativo a livello Europeo sul concetto di lizzabili, tool in microfibra o in fibra di bambù plastiche, partendo proprio dalla complessità che una volta lavati tornano come nuovi. dello scenario di riferimento. È evidente che la risposta all’emergenza ambientale non può che essere green oriented.

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L’AMBIENTALISMO A MILANO In alto una foto della manifestazione dei Friday’s For Future a Milano. In basso, a sinistra i tetti verdi a cui sono stati destinati 70mila euro di incentivi, al centro il sindaco Beppe Sala nell’atto di ricaricare un bus elettrico e a destra i pannelli solari installati sui tetti della città.

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Quello che (forse) i Fridays

non ci dicono

Furbizia o disinformazione? La lettera degli attivisti al sindaco di Milano Beppe Sala contesta le azioni del Comune in tema di emergenza ambientale. Che cosa ha fatto la giunta per rendere la città più green? Di Alessia Conzonato, Martina Soligo e Giulia Taviani _ Le numerose proteste del movimento dei ne ha pubblicato dei bandi a tema mobilità, Fridays for Future hanno portato il Comune offrendo degli incentivi ai cittadini disposti a di Milano a dichiarare lo stato di emergenza cambiare i veicoli più inquinanti con altri ad climatica e ambientale il 20 maggio 2019. No- alimentazione elettrica. nostante gli obiettivi proposti dal Piano Aria Clima, approvato dalla giunta il 4 ottobre inquinamento atmosferico 2019, gli attivisti, guidati da Joy Nosibor, han- Tutta l’area padana, per conformazione geno inviato al sindaco Giuseppe Sala una let- ografica, è soggetta all’accumulo delle poltera aperta per chiedere «una svolta radicale veri sottili, nocive alla salute, ed è noto che in favore della riconversione ecologica della il riscaldamento degli edifici contribuisce città». Negli ultimi anni l’attività dell’ammi- notevolmente alla loro emissione. I giovani nistrazione comunale ha deattivisti sottolineano come la dicato maggiore attenzione Lombardia sia la regione più al rispetto dell’ambiente e al inquinata d’Europa: «circa 10 miglioramento della qualimila persone ogni anno muoNecessario tà dell’aria. Il movimento ha iono prematuramente per sollecitato l’intervento del malattie riconducibili a queinformare Comune principalmente su sto fattore». Rispettando la la cittadinanza cinque aspetti. direttiva 2008/50/CE stabilita dal Parlamento europeo, sull’emergenza mobilità il Comune di Milano ha come ambientale Fridays for Future ha lamenobiettivo quello di ridurre del joy nosibor tato la mancata realizzazione 45% la diffusione di microdelle piste ciclabili promesse polveri entro il 2030 ed elie l’aumento del prezzo dei minare i combustibili fossili mezzi pubblici che disincentiva il loro utiliz- – diventando così “Carbon neutral” – entro zo da parte dei cittadini. il 2050. Per raggiungerlo l’amministrazione Tra i propositi di Milano c’è l’aumento di aree ha indetto un bando che mette 24 milioni di pedonali, già raddoppiato rispetto al 2011. euro a disposizione dei cittadini che voglioL’incremento del costo dei trasporti dipende no sostituire l’impianto termico delle proprie da modifiche apportate al sistema che consi- abitazioni con sistemi più sostenibili, quali stono nella realizzazione di una nuova linea teleriscaldamento, pompe di calore, pannelli metropolitana e di prolungamenti di quelle solari e riscaldamenti a pavimento. Nell’amgià esistenti anche verso Comuni limitrofi, bito del progetto europeo H2020 Clever come Monza, ma soprattutto nella sostitu- Cities, altri 70 mila euro sono destinati alla zione totale di bus a gasolio con veicoli elet- realizzazione di tetti e pareti verdi non solo trici - che al momento sono il 72% dei mezzi per gli edifici a residenza privata ma anche in circolazione - entro il 2030. Inoltre sono per edifici pubblici, quali ospedali, cliniche, in corso alcune sperimentazioni come il car attività ricreative e sportive, e per strutture pooling e lo sharing mobilty con auto e sco- adibite ad attività commerciali e uffici. oter a basso consumo e biciclette. Il Comu- Nell’ambito dell’inquinamento atmosferico, >

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> Milano è il primo comune in tutta Europa ad aver vietato la circolazione nel centro della città a veicoli Euro 4 diesel con l’istituzione dell’Area B. aree verdi

Tra i punti sottolineati nella lettera firmata da Joy Nosibor, c’è la questione del verde. «La giunta aveva promesso 3 milioni di alberi in 10 anni, fino a oggi ne sono stati piantati solo 200 mila» accusano i ragazzi di Fridays For Future. Il piano firmato dal Comune e dal Politecnico di Milano è a lungo termine, ma ciò non toglie la volontà di apportare novità già nell’immediato. Basti pensare alla promessa di piantare da novembre 2019 a marzo 2020 più di 20 mila alberi. Accanto a questo aspetto la creazione di 20 nuovi parchi entro il 2030, che andranno ad affiancare i 60 già esistenti. Tra questi è da ricordare la Biblioteca degli Alberi inaugurata il 27 ottobre 2018. Si tratta del primo grande parco pubblico senza recinzioni, che consente di avere una gestione ottimale a costo zero da parte dell’amministrazione comunale, essendo sotto la direzione di un operatore privato. L’area verde nella zona di CityLife è vicina alla conclusione e più di un anno fa è stato inaugurato il parco di Cascina Merlata. Del progetto farà poi parte la rinascita dei sette scali ferroviari dismessi, di cui il 65% delle aree sarà riservato a spazi verdi.

La Milano che

urbanistica

Nella lettera inviata al sindaco Sala, gli attivisti evidenziano come gran parte del territorio sia destinato alla costruzione di nuovi edifici. Ne è un esempio il progetto di realizzare un nuovo stadio per le squadre Inter e Milan senza però demolire San Siro. Dal 2010 nel comune milanese è in vigore il Piano di Governo del Territorio, che riduce il consumo di suolo del 4% rispetto a quello precedente, salvaguardando 3,2 milioni di metri quadrati di aree che sono state destinate a uso agricolo. Introduce l’obbligo per le nuove costruzioni di essere Carbon neutral. Milano è una delle prime cinque città in Europa per numero di edifici sostenibili progettati, costruiti e gestiti secondo lo standard internazionale LEED. informazione

L’aspetto fondamentale su cui preme in particolar modo il movimento dei Fridays for Future è una migliore comunicazione riguardo la crisi ambientale tra l’amministrazione e i suoi cittadini. «È assolutamente necessario coinvolgere tutti» e per questo chiede di «informare la cittadinanza attraverso tutti i mezzi disponibili (giornali, radio, cartelloni luminosi, lettera a ogni famiglia) sullo stato di emergenza; convocare i cittadini in assemblee periodiche di municipio e di quartiere per avviare un sistema di democrazia partecipata». Al momento sul sito web ufficiale del Comune di Milano si trova un’intera area tematica dedicata all’ambiente e alle problematiche che comporta, dove è possibile visionare gli obiettivi che la giunta si è posta e i metodi a disposizione di tutti i cittadini per poterli concretizzare.

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Lo smaltimento dei rifiuti tocca anche la Lombardia, colpita da incendi tossici dolosi. Tutto a discapito della salute di (ignari) cittadini Di Carolina Zanoni _ Il fenomeno dello smaltimento abusivo di rifiuti non riguarda solo il Sud Italia. È una piaga che dalla Terra dei Fuochi, area della Campania nota per l’interramento dei rifiuti tossici, arriva fino alla nordica Milano. La città della Madonnina è stata negli anni lo scenario di diverse operazioni illecite nella gestione dei rifiuti. Nel 2010 la Guardia di Finanza ha messo i sigilli nell’area Montecity-Rogoredo, successivamente battezzata con il nome di “Santa Giulia”. Le indagini hanno appurato la presenza di sostanze altamente cancerogene e dannose per la salute. La notizia, balzata sulle pagine di cronaca, è diventata un caso mediatico. L’inchiesta Montecity è riuscita a fermare la truffa sui lavori di bonifica, illegalmente maggiorati del 30%, che avrebbero arricchito le tasche di alcune persone, poi arrestate. Un giro di affari pari a 14 milioni di euro. milano, tra falò tossici e incendi dolosi

A Milano, almeno due volte al mese, si veri-

ficano focolai tossici e quasi sempre dolosi. Nell’ottobre 2018 un incendio è divampato in via Dante Chiasserini, nei quartieri di Quarto Oggiaro e Bovisasca. Le fiamme alte 40 metri hanno invaso un intero capannone industriale di tremila metri cubi di rifiuti smaltiti abusivamente, tra carta, plastica, pneumatici, scarti di edilizia, furgoni e materiali che provenivano dal Nord e Centro Italia. Un profitto di oltre un milione di euro nel giro di pochi mesi. La vicenda ha portato a 15 arresti. Il gip di Milano Giusy Barbara ha parlato di «organizzazione di tipo imprenditoriale» nell’ordinanza di custodia cautelare. I produttori di rifiuti avrebbero delegato il trattamento dei rifiuti ad aziende formalmente autorizzate, ma in realtà «operanti in un regime di illegalità». I rifiuti sarebbero stati illegalmente stoccati nei capannoni di Meleto, Pontevico, Gessate, Torbole Casaglia, Tabellano, Verona, per un totale, secondo gli inquirenti, di 10mila tonnellate. come funziona lo smaltimento dei rifiuti: trasferimento e stoccaggio

Quello di via Chiasserini non è stato l’unico caso: ad Arese, Cinisello Balsamo, Mariano Comense, Cassano Brianza, Cologno Monzese, Alzano Lombardo, Chiari, Cremona, Corteolona, Lainate, Mortara, Novate Milanese, Pioltello sono scoppiati incendi di uguale natura. Sulla base di quanto emerge nelle varie sentenze e indagini, lo smaltimento dei rifiuti sarebbe eseguito da titolari di società che ritirano gli scarti, si affiderebbero a intermediari per il trasferimento dai siti di raccolta a cave abbandonate che sarebbero trasformate in aree di stoccaggio. I corrieri trasporterebbero migliaia di tonnel-


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Rock e motori, rumori e dolori

L’ondata green ha colpito grandi eventi come concerti e gare automobilistiche. Il motivo? L’inquinamento acustico. Ma gli organizzatori non ci stanno Andrea Bocelli è più tollerato dal cittadino medio rispetto a quello rock o rap». I promoter dei festival non si oppongono alla tutela della quiete pubblica o dell’ambiente, Per alcuni è musica, per altri inquinamento. ma chiedono una riforma dei parametri. Ci Sembra paradossale pensare ad un assolo di sono infatti aree che sono sovraesposte al ruSlash come causa di un danno ambientale, ep- more anche in condizioni normali. pure l’inquinamento acustico è uno dei pro- Secondo i dati dell’Arpa Lombardia una strablemi piú sottovalutati quando si parla di eco- da trafficata impatta su un più elevato nusostenibilità. Se da una parte infatti migliaia mero di persone rispetto alle altre cause di di fan aspettano trepidanti i live dei loro arti- inquinamento acustico, in quanto il traffico sti preferiti, dall’altra i residenti di aree come veicolare è la sorgente di rumore più diffusa. San Siro non nutrono lo stesso entusiasmo. E se si parla di limite alle emissioni acustiche, L’esposizione prolungata a rumori comporta non si può non parlare del mondo dei motori. infatti diversi disturbi, che possono causare In Formula 1 si è passati dai tanto amati motori stress e ipertensione. composti da 8 cilindri e che hanno reso celePer questo motivo l’attenzione delle asso- bre questo sport per il loro invidiabile rumore, ciazioni ambientaliste si sta alle power unit turbo ibride, concentrando su queste madefinite quasi “silenziose”. nifestazioni, mentre le ammi«La F1 deve essere spettanistrazioni sono sempre più colare e il suono è una delle determinate a far rispettare i cose più importanti. Ero al limiti imposti dalla legge. muretto in Australia, c’è più A Milano, per esempio, il corumore al bar» aveva addimune è stato suddiviso in rittura dichiarato Sebastian zone, che in base ad alcuni criVettel ai tempi della Red Bull. teri come la vicinanza ad aeroLa riduzione dei decibel e, di porti o aree industriali, hanno conseguenza, del suono tipico un limite massimo di decibel della Formula 1, ha portato poche non può essere superato. lemiche e malcontenti. L’inPer quanto riguarda i controduzione di novità, come lo certi, gli organizzatori posscarico non più a un’uscita ma sono chiedere una deroga a due ha però permesso di recuche permette il superamento perare quei decibel persi. Alcuni festival di queste soglie, ma il limiCon l’avvento delle power unit te alle emissioni acustiche ibride, i decibel erano scesi sotsono scomparsi viene percepito come un to i 130. Le lamentele dei fan per i limiti ostacolo al libero svolgihanno permesso di riavvicinarsi mento della propria attività. ai 140 del motore a otto cilindri. sui decibel Fulvio De Rosa, direttore ge140 decibel che però, teoricafulvio de rosa nerale di Shining Production, mente, non sono a norma, almeorganizza eventi da molti anni no in Italia, per le corse internae spiega le problematiche che zionali negli autodromi. deve affrontare: «Considerando i parametri La legge n. 447 del 26 ottobre 1995, infatti, stabiliti per tutelare la salute degli utenti, si stabilisce che gli autodromi possono raggiunchiede una deroga agli enti di riferimento. Chi gere una soglia di 70 decibel leq, ovvero coorganizza i concerti oggi preferisce scegliere stanti. Questo però non deve essere il livello la location giusta piuttosto che cercarne una percepito all’interno del luogo della gara, ma nuova. È difficile pensare di valorizzare piaz- udibile a finestre aperte da abitazioni poco ze diverse senza avere la certezza che nessuno distanti. Il motivo principale per cui Imola, poi ti farà causa. Alcuni festival sono letteral- storico circuito intitolato a Enzo e Dino Fermente scomparsi perché era impossibile ri- rari, rischia la chiusura dei battenti. Stando spettare i limiti imposti. Altri invece avrebbero alla normativa, infatti, gli inquilini delle abipotuto fare degli accorgimenti tecnici ma il tazioni costruite troppo a ridosso del circuito costo economico era troppo elevato e quindi hanno sollecitato l’amministrazione comunasono stati costretti a rinunciare. le a prendere provvedimenti. Ora, una pista Il problema è anche legato al genere mu- storica come Imola rischia di spegnere i mosicale. A parità di volume, un concerto di tori per sempre. Di Roberto Balestracci, Valentina Gavoni e Benny Mirko Procopio _

brucia late di rifiuti, per una paga che può toccare i 2000 euro al giorno. le conseguenze sulla salute dei cittadini

Mentre i cittadini pagano la Tari, il prezzo di mercato per lo smaltimento di rifiuti aumenta di continuo. Secondo il settimanale Panorama oggi arriva a toccare i 280 euro a tonnellata mentre i trafficanti ne chiedono 180: un risparmio che nasconde il malaffare. Parte della plastica, magari riposta con minuzia dal cittadino nel cestino adibito alla differenziata, finirebbe poi in capannoni abusivi, alcuni dei quali sottoposti a sequestro. È difficile calcolare l’entità del danno sulla salute. Gestioni illecite di siti di stoccaggio avrebbero portato nel corso degli anni a contaminazioni di ettari di territorio agricolo, situati nelle province lombarde. Spesso questo avrebbe portato a inquinamento e conseguenze deleterie per la salute di migliaia di consumatori. Gli incendi hanno spesso riguardato capannoni stracolmi incapaci di contenere la montagna di rifiuti. Questi rilasciano nel terreno una grande quantità di sostanze dannose. Fiamme che potrebbero apparire agli occhi di chi guadagna in questo giro di affari come un atto liberatorio e purificatore, da cui emerge “l’araba fenice” di soldi sporchi di illegalità. Si tratta di incendi tossici, causa di pericolose complicanze per la salute di cittadini che credono di abitare in quartieri e città sane. La realtà, a volte, è ben diversa: i traffici illegali mettono a rischio la vita di tantissime persone e spesso l’impegno delle istituzioni non è abbastanza.

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INNOVAZIONE SOCIETÀ |

| TECNOLOGIA VITA QUOTIDIANA

Right to repair: come si aggiusta il mondo Ogni anno vengono prodotti 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici e solo il 20% viene riciclato. Riparare i device sarebbe una soluzione, ma le multinazionali si oppongono

reperibili. Il problema più importante è però a monte: gli oggetti elettronici non sono progettati in modo da essere facilmente riparabiNegli ultimi mesi si è svolto un contenzioso li, spesso non si possono neanche smontare. legale che ricorda la battaglia tra Davide e La conseguenza è che quando uno smartphoGolia. I protagonisti sono Henrik Huseby, un ne non si accende più o un aspirapolvere si ragazzo norvegese che ha aperto un nego- blocca di continuo, ci limitiamo a gettarli via zietto di riparazioni, e il gigante tecnologico per comprarne di nuovi. I danni per l’amApple. biente sono però notevoli: ogni anno vengoHenrik da qualche anno si occupava di aggiu- no prodotti 50 milioni di tonnellate di rifiuti stare oggetti elettronici nella sua bottega di elettronici e solo il 20% viene riciclato. Ski, il paese in cui è cresciuto. Molti dei clien- I rifiuti non sono l’unico problema, soprattutti portavano il proprio iPhone con lo schermo to se prendiamo in considerazione gli smarrotto, chiedendo di sostituirlo. Huseby utiliz- tphone. zava dei prodotti importati da Hong Kong, si L’80% dell’impatto ambientale di uno di quetrattava di schermi usati e ricondizionati. Ed sti device avviene durante la fase di produè proprio questo il motivo per zione, quindi consiste nelle cui Apple lo ha portato in triemissioni rilasciate per reaSe ogni smartphone lizzare i diversi materiali di bunale: il colosso americano sostiene che questi pezzi di cui è composto. La fase d’uso fosse usato per ricambio siano da consideinfatti ha un impatto ridotto, un anno in più rarsi “di contrabbando” e che dato che si limita al consumo ai clienti non fosse chiaro che di energia necessaria per casi risparmierebbe non si trattasse di originali. In ricare la batteria. I membri di anidride carbonica primo grado, il “fixer” norveThe ReStart Project, progetto gese ha vinto, ma in appello è di ricerca internazionale sulstato condannato e la vicenda le potenzialità del riuso, sopotrebbe arrivare alla Corte Suprema. stengono che «nel 2018 sono stati prodotti nel Il motivo per cui Apple non ha chiuso un oc- mondo 1,9 miliardi di smartphone della duchio nei confronti del proprietario del picco- rata media di 3 anni: se ciascuno di essi fosse lo negozio di Ski è chiaro: se gli smartphone utilizzato per un anno in più, il risparmio di potessero essere riparati con facilità, il loro anidride carbonica compenserebbe le emisciclo di vita si allungherebbe e le società che li sioni di un anno di un Paese come l’Irlanda». producono vedrebbero diminuire il fatturato. In altre parole, se la durata media passasse In gioco però non c’è solo il futuro di Henrik dai 3 ai 4 anni, grazie a interventi di riparama più in generale il “right to repair”, il dirit- zione, si ridurrebbe la domanda e di conseto ad aggiustare gli oggetti elettronici. guenza l’impatto sull’ambiente. Aggiustare un device che non funziona non Questo scenario è ben chiaro a un piccolo e è infatti scontato, sia che si tratti di telefoni combattivo movimento, una rete di “riparatoche di frigoriferi, lavastoviglie, aspirapolvere, ri” che da ormai tre anni fa pressione sull’Ustampanti o frullatori. nione Europea per ottenere delle leggi che In primo luogo i pezzi di ricambio sono mol- rendano possibile aggiustare efficacemente to costosi e non accessibili a tutti, ma solo ai gli oggetti elettronici. Ogni anno si riuniscoriparatori professionisti. Neanche i manuali no al FixFest, il festival dei “fixer” per conper le riparazioni, che permetterebbero di la- frontarsi e aggiornarsi. Durante l’edizione del vorare in modo più rapido ed efficace, sono 2019 è stata lanciata la campagna Repair EU, Di Eleonora Fraschini _

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che ha il duplice obiettivo di sostenere coloro che svolgono il lavoro di riparatore a livello professionale e mostrare le potenzialità di un’economia virtuosa del riuso, che potrebbe creare nuovi posti di lavoro. L’idea è quella di trasformare e aggiornare le tre “erre” del movimento ambientalista: da “reduce, reuse, recycle” (riduci i consumi, riusa i prodotti e dopo riciclali), a “reuse, refurbish, repair” (cioé riusa i prodotti, ricondizionali come nuovi, oppure riparali). Tra i più attivi di questa “coalizione” c’è Ugo Vallauri, piemontese di stanza in Inghilterra, che ha scoperto il valore del riuso in Africa: «Anni fa, lavorando per una Ong inglese in Kenya, mi sono occupato del riuso dei prodotti informatici» ha spiegato a MasterX, «Nel nord del mondo assistiamo a una crescente voracità che spesso ci spinge a volere l’ultimo modello dei vari apparecchi senza essere coscienti del danno ambientale che provochiamo. In Africa invece mi sono accorto che le persone sono più portate a riparare e riutilizzare i prodotti piuttosto che buttarli e comprarne di nuovi. A essere diversa non è solo la disponibilità economica ma soprattutto l’attitudine. Abbiamo molto da imparare da questo tipo di mentalità».


INNOVAZIONE | SOCIETÀ

TECNOLOGIA | VITA QUOTIDIANA

IL RICERCATORE Ugo Vallauri Fondatore di The ReStart Project

Un italiano per il diritto a riparare _ Ugo Vallauri, nato a Bra (Cuneo) 42 anni fa, è uno dei ricercatori che si batte perché venga rispettato il diritto a riparare. Sei anni fa, a Londra, ha fondato il progetto The ReStart Project con l’obiettivo di far approvare, a livello europeo e nazionale, delle leggi che rendano effettivo il “right to repair”. Sono stati ottenuti dei risultati importanti fino ad ora? È stato approvato un Regolamento europeo, che entrerà in vigore nel 2021, che stabilisce che i pezzi di ricambio di alcuni elettrodomestici siano disponibili per 7 anni a partire dal momento in cui il modello va fuori produzione. Gli apparecchi dovranno essere progettati in modo da consentire il ricambio agevole dei diversi componenti. Questa regolamentazione per noi però è solo l’inizio: include infatti lavatrici, lavastoviglie, televisori e lampade ma non altri oggetti di uso comune come smartphone e aspirapolvere.

REPAIR CAFE’

Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si ripara! Molto diffusi in Europa, sono arrivati anche in Italia i Repair Café, luoghi di aggregazione dove bere una birra, discutere di sostenibilità e di ecologia e soprattutto riparare. Roma, Milano, Venezia sono solo alcune delle 15 città in cui i Repair sono presenti. Spesso un oggetto guasto viene buttato quando basterebbe poco per ripararlo. Gettarlo significa infatti produrre rifiuti e alimentare la logica consumistica industriale. Per contrastare queste dinamiche economiche e il conseguente spreco di risorse sono nati i Repair Café. Chiunque può portare il suo oggetto rotto: se torna nuovo e funzionante si lascia un’offerta per il lavoro. In più si ha la possibilità di scoprire come è stato riparato, sia in diretta che con l’ausilio di tutorial preparati appositamente. Riparare, riciclare e riutilizzare. Una pratica virtuosa dagli effetti benevoli sull’ambiente. Gli appuntamenti di riparazione insegnano a vivere gli oggetti sotto una luce diversa, apprezzandone ancora di più il loro valore.

Quali sono i prossimi obiettivi da raggiungere? Un’altra richiesta avanzata all’Unione Europea è quella di includere nella descrizione di un prodotto il “punteggio di riparabilità”, ovvero quantificare la possibilità di sostituire e aggiustare i componenti. In questo modo il consumatore potrebbe scegliere non solo in base alle prestazioni del device ma anche secondo questo importante parametro. Quali sono le altre iniziative di The ReStart Project? Promuoviamo i Restart Parties, eventi organizzati in 15 Paesi, tra cui l’Italia. In queste occasioni una comunità di volontari ripara e insegna a riparare diversi tipi di apparecchi elettronici, dai computer alle sveglie, dalle stampanti ai frullatori. Il 55% degli apparecchi è aggiustato al momento, nel 25% dei casi è necessario ordinare dei pezzi di ricambio e tornare dopo qualche giorno e solo il 20% degli oggetti non può essere riparato. L’obiettivo è principalmente educativo: questi volontari spiegano che riparare non solo è possibile ma è anche divertente, e soprattutto dovrebbe essere la prima opzione quando un oggetto non funziona più.

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IL MONDO DEL CAR SHARING SOSTENIBILE Il mercato della mobilità sostenibile continua a crescere in Italia, in Europa, nel mondo. Un sistema che permette di muoversi da un luogo all’altro all’insegna della condivisione dei mezzi con gli altri utenti. La reperibilità sempre più diffusa di cicli e motocicli a impatto zero, garantisce uno spostamento più efficiente tra i percorsi e gli spazi urbani, il tutto nell’ambito del rispetto ambientale. Oggi in Italia i servizi attivi, tra car sharing, scooter sharing, bike sharing e car pooling, sono ormai quasi 400, soprattutto grazie al boom registrato dal noleggio degli scooter (+285% nel 2018). Nel 2019 gli italiani ad aver scaricato app collegate a servizi di noleggio sostenibile hanno superato i sei milioni, un dato destinato ad aumentare nel 2020. Nell’analizzare il fenomeno al giorno d’oggi, si parla di un servizio che per crescere deve affrontare una questione imprescindibile:

sfruttare nel modo migliore le risorse disponibili cercando, al contempo, di abbattere l’impatto sull’ambiente. La tecnologia odierna detta quindi l’agenda delle opportunità, che nel 2020 si traducono in strategie imprenditoriali nel quadro sempre più variegato della green economy. La mobilità condivisa non fa eccezione, così come evidenziato anche dall’OCSE, che spiega come la pratica della condivisione sia fondamentale nel ridurre la circolazione dei mezzi privati, statisticamente più inquinanti. Oggi, in un’era in cui prendiamo un’auto con lo smartphone, controlliamo il traffico con le mappe di Google e personalizziamo i servizi attraverso le app, tante città si stanno adattando al modello green sostenibile.

1 MILANO Il capoluogo meneghino dispone del più ampio servizio di car sharing d’Italia e uno dei più competitivi in tutta Europa, con sei operatori in servizio e quasi 3mila auto in circolazione. Tra i noleggiatori di vetture elettriche spiccano Share‘Ngo e DriveNow, ma ci sono anche Ubeeqo ed E-Vai. Quest’ultimo è il primo servizio di condivisione auto elettrico regionale, integrato con il sistema ferroviario lombardo. 2 ROMA In una metropoli come Roma, dove la rete dei trasporti pubblici non è sufficiente a coprire l’intera area urbana, il Car Sharing

rappresenta sempre più una valida alternativa. A supporto della mobilità sostenibile è intervenuto il Piano Capitolino della Mobilità Elettrica 2017, con l’obiettivo di fornire entro il 2020 un numero di stazioni di ricarica adeguato a una domanda in continua crescita. 3 TORINO Il capoluogo piemontese offre molte opzioni per quanto riguarda il car sharing. Molto utilizzato è Car2Go che consente di noleggiare due modelli di Smart all’interno di un’area di circa 53 km quadrati. 100% elettrico è anche il servizio fornito da BlueTorino che permette di ricaricare l’auto direttamente dalle colonnine sparse per la città. Sono inoltre disponibili 150 scooter biposto completamente elettrici: è il servizio offerto da MiMoto. 4 PARIGI Nella metropoli francese il noleggio delle auto elettriche è dominato da Ubeeqo. Entro la fine del 2019 quasi 1.100 veicoli dovrebbero popolare l’area urbana parigina, con un totale di 850 parcheggi. Una crescita certificata dal lavoro di Europcar Mobility Group, che mira a offrire ai clienti un’ampia gamma di sevizi sia per quanto riguarda la mobilità urbana

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IDROGENO

ELETTRICO

che per gli spostamenti ad alto chilometraggio. 5 LONDRA Per le strade della capitale britannica è possibile spostarsi in maniera ecosostenibile con BlueCity. Basta iscriversi su app o sito e inserire la propria patente e carta di credito. A quel punto basterà recarsi in uno dei punti Bluecity della città e prendere l’auto. Inoltre, come a Parigi, anche a Londra è presente Ubeeqo: alcune auto sono al 100% elettriche. 6 BERLINO Volkswagen ha spedito a Berlino una flotta di 1500 e-golf, noleggiabili attraverso il progetto WeShare, un servizio di auto elettriche alimentato a energia verde. Entro metà 2020 saranno introdotte in città ulteriori 500 vetture che supportano l’innovativa elettrica ID.3. Oltre ai punti di ricarica standard, ne sono stati introdotti altri 70 in corrispondenza di negozi e supermercati per garantire l’utilizzo delle auto in tutta l’area urbana. 7 WASHINGTON La capitale americana offre una moltitudine di servizi di mobilità green. Uno di questi è Free2move, un marchio francese che dopo

essersi espanso in diverse città europee ha fatto il suo ingresso anche negli States. Basta essere in possesso di una patente di guida per abbonarsi al servizio, prenotare un’automobile ed effettuare il tragitto dal punto A al punto B con una tariffa a minuti. 8 PECHINO La Cina ha stanziato l’equivalente di quasi 90 miliardi di euro per combattere l’inquinamento nella sola capitale. In questa prospettiva nascono proprio a Pechino, tra il 2014 e il 2015, Ofo e MoBike: servizi di bike sharing poi estesi anche in alcune città d’Europa. L’obiettivo? Spingere i cittadini a spostarsi in bicicletta, lasciando in garage l’automobile inquinante. 9 MELBOURNE Nella città australiana è molto diffuso GreenShareCar che mette a disposizione auto rigorosamente a impatto zero. Anche in questo caso basta iscriversi su sito o app e il servizio è attivo anche a Perth. L’azienda PopCar invece sta puntando molto sul “carbon neutral”: un car sharing che si propone di collaborare con progetti locali sulla compensazione del carbonio australiano. Secondo uno studio, auto e utenti PopCar riducono le loro emissioni del 10%.

Ma dove finiscono le batterie?

La nuova sfida ecologica

A cura di Ilaria Quattrone _

A cura di Ilaria Quattrone _

Auto elettriche, a metano o a idrogeno. In Italia e nel mondo il tema della mobilità sostenibile è ampiamente discusso e studiato. Ma quali sono le differenze e soprattutto quale inquina meno? Nei primi anni 2000, i veicoli elettrici erano considerati mezzi puliti ed ecologici. E in parte è così. Peccato che, esistano due grandi problemi: lo smaltimento e il possibile riutilizzo delle batterie a litio. L’attività non è molto semplice, sussiste una complicazione importante: la sicurezza. Cobat, piattaforma italiana di servizi per l’economia circolare, sta lavorando a tal proposito con il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco e i ricercatori del Politecnico di Milano. Le batterie contengono sostanze infiammabili che se non trattate adeguatamente possono causare esplosioni violente. Il riciclo è quindi difficile e ancora in fase di studio. Altra sfida importante è quella relativa alla capacità di soddisfare in maniera più ampia la richiesta degli utenti. Per poter rendere tutto più elettrico, secondo il professore del Politecnico di Torino del dipartimento di Ingegneria Elettrica Giovanni Belingardi è necessario creare «più centrali, ma è un problema troppo ampio e di difficile realizzazione perché queste andrebbero pensate, localizzate e costruite. Dover immaginare la localizzazione di una nuova centrale richiede qualche anno di studio».

La sfida tra metano ed elettrico è resa ancora più complicata dall’arrivo dell’idrogeno. Energia totalmente pulita e a impatto zero: è ancora scarsamente incentivata e utilizzata nel nostro Paese. Sono tante le aziende che stanno investendo, ricercando e studiando questo elemento. Tra queste c’è Snam, principale filiera di gas in Europa, che ad aprile 2019 ha sperimentato l’immissione di un mix idrogeno al 5 per cento e gas naturale. La sperimentazione è avvenuta a Contursi Terme, in provincia di Salerno. Applicando questa percentuale al totale del gas trasportato annualmente se ne potrebbero immettere ogni anno in rete 3,5 miliardi di metri cubi, un quantitativo che corrisponde ai consumi annui di 1,5 milioni di famiglie e che consentirebbe di ridurre le emissioni di anidride carboniche di 2,5 milioni di tonnellate, corrispondenti al totale delle emissioni di tutte le auto di una città delle dimensioni di Roma o della metà delle auto di una Regione come la Campania. Ma idrogeno, metano ed elettrico possono convivere? La risposta è sì. L’elettrico potrebbe infatti essere utilizzato per i mezzi leggeri e di breve percorrenza, il metano per i mezzi pesanti a lunga percorrenza e l’idrogeno per i mezzi leggeri e pesanti a breve percorrenza. Per tutti e tre esiste un unico problema: gli incentivi alle aziende e alla ricerca dallo Stato.

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DILEMMI

Quali sono gli ostacoli al riciclo?

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La plastica comprende materiali composti da polimeri derivati dal petrolio, ma con proprietà e caratteristiche differenti. Si dividono in termoindurenti e termoplastici. Solo i secondi si possono riciclare applicando calore in modo sostenibile; i primi sono più resistenti e richiedono una temperatura più elevata e dunque maggiormente impattante.

La combinazione di diversi polimeri in singoli oggetti, ad esempio nelle bottiglie di plastica. I diversi materiali devono dunque essere separati e necessitano di trattamenti differenti per poter essere rigenerati. Alcuni prodotti contengono invece additivi per migliorarne le prestazioni, come i ritardanti di fiamma, che però rendono ancora più complicato questo processo.

La prestazione. Ogni volta che si applica calore per ridere forma alla plastica avviene un leggero degrado, diminuendo di volta in volta la sua qualità. Per questo i sacchetti di plastica possono essere riutilizzanti fino a un massimo di quattro volte.

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Plastica, le alternative non convincono Carta, cotone, bioplastiche. Sono tante le soluzioni adottate per cercare di eliminare l’inquinamento da plastica. Ma nessuna di queste si può definire ecosostenibile

Di Andrea Bonafede e Federica Ulivieri _ Giulio Natta vinse il Premio Nobel per la Chimica nel 1963 per averla inventata. Oggi è uno dei più grandi problemi per il nostro ecosistema. Da scoperta del Novecento, in mezzo secolo l’uso della plastica è diventato uno degli argomenti più discussi e dibattuti del nostro tempo. Non certo per la sua utilità, che la rende il materiale più utilizzato dalle industrie, bensì per le sue proprietà e soprattutto per le conseguenze sull’ambiente. Nel report “Improving markets for recycled plastics: trends, prospects and policy responses”, pubblicato nel maggio 2018, l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha segnalato come la maggior parte dei materiali in plastica venga incenerita, bruciata a cielo aperto, abbandonata in discarica o, ancora peggio, nell’ambiente, mentre una percentuale tra il 14 e il 18 per cento viene effettivamente riciclata. Sono infatti note le difficoltà nel ridare nuova vita alla plastica e i motivi sono di diversa natura. Primo fra tutti la composizione della stessa. Per plastica si intendono materiali composti da polimeri derivati dal petrolio, ma con proprietà e caratteristiche differenti.

OBIEZIONI

Perché carta e cotone non funzionano?

Per questo si dividono in due grandi famiglie, distinte dal metodo di lavorazione che subiscono: termoindurenti e termoplastici. Solo i secondi si possono riciclare applicando calore in modo abbastanza sostenibile, mentre i primi sono più resistenti e richiedono una temperatura più elevata e dunque maggiormente impattante a livello ambientale. Una seconda caratteristica che rende difficile il riciclo della plastica è la combinazione di diversi polimeri in singoli oggetti. Ad esempio, nelle comuni bottiglie il tappo è di plastica, ma di un tipo differente rispetto al resto del contenitore. I diversi materiali devono dunque essere separati e necessitano di trattamenti differenti per poter essere rigenerati. Alcuni prodotti contengono invece additivi per migliorarne le prestazioni, come i ritardanti di fiamma, che però rendono ancora più complicato questo processo. Come se non bastasse, i costi e le disponibilità delle realtà che si occupano di riciclare la plastica costituiscono un problema in più. Non è semplice e soprattutto economico disporre di tutti i macchinari necessari per smaltire ogni tipologia di plastica. Le spese derivanti dalla rigenerazione impallidiscono ulteriormente di fronte a quelle della produzione di plastica vergine, la quale dipende dal prezzo di mer- >

PLASTICA BIODEGRADABILE

CARTA

COTONE

Composta in buona percentuale da quella tradizionale, quindi di origine fossile. Possono essere riciclati in ambienti controllati, a determinate condizioni di temperatura difficilmente riscontrabili in natura. Inoltre, provenendo da colture agricole possono causare cambiamenti nel suono e l’emissione notevole di gas serra.

Sebbene si decomponga più rapidamente della plastica e sia un rischio minore per la fauna, la sua produzione richiede un grande sforzo agli ecosistemi e alle foreste, fondamentali per l’ecosistema. Il processo di produzione inoltre, produrrebbe una maggiore concentrazione di sostanze chimiche tossiche rispetto alla plastica.

Nonostante le borse composte da questo materiale garantiscano il riutilizzo fino a 131 volte, rispetto alle quattro della plastica e alle tre della carta, la loro produzione comporta costi ambientali molto elevati, soprattutto in termini di emissioni di anidride carbonica.

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Le lenticchie che depurano l’acqua Il nome scientifico della lenticchia d’acqua è Lemma minor, si tratta di una pianta acquatica diffusa in tutto il mondo e capace di adattarsi a climi diversi. La sua caratteristica è quella di riprodursi per scissione a una notevole velocità fino a formare un tappeto ondeggiante sulla superficie dell’acqua. Lo strato formato da queste piante ha la particolarità di assorbire grandi quantità di

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sostanze eutrofizzanti. Le diverse azioni combinate delle lenticchie d’acqua innescano infatti una reazione efficace di contrasto all’inquinamento delle acque perché, senza causare cattivi odori, eliminano rapidamente i materiali organici e i nutrienti. In questo modo pongono le premesse di un processo di depurazione che può proseguire fino alla potabilizzazione dell’acqua. (Foto di Marco Capovilla)

> cato del petrolio: se questo si abbassa, diminuisce anche il costo della plastica, mentre rimane inalterato quello del suo riciclo. In ultima istanza, il recupero della plastica porta con sé anche un problema di prestazione. Ogni volta che si applica calore per ridarle forma avviene un leggero degrado, diminuendo di volta in volta la sua qualità. Ma le alternative alla plastica monouso sono abbastanza credibili e sostenibili? “Packaging sostenibile in carta”, “Plastica biodegradabile”, “100% riciclabile”, sono le etichette che si trovano sempre più spesso negli imballaggi promossi come sostenibili. La sensibilità sempre maggiore del consumatore ha fatto sì che il mercato si adeguasse. Per questo i produttori si sono mossi per utilizzare sempre più le bioplastiche e farne un motivo di marketing. Ma queste sono essenzialmente costituite di plastica tradizionale, quindi di origine fossile. E sebbene siano biodegradabili, lo sono solo in ambienti controllati, in determinate condizioni di temperatura e umidità raramente riscontrabili in natura, risultando così poco ecologiche. Inoltre, la maggior parte della plastica a base biologica proviene da colture agricole che hanno come pericolose conseguenze il cambiamento nell’utilizzo del suolo e l’aumento delle emissioni di gas serra. La carta è il primo materiale a essere presentato come alternativa alla plastica. È green, biodegradabile e agli occhi del consumatore etico e attento risulta un prodotto ideale. Ha il pregio di decomporsi molto più rapidamente rispetto alla plastica, presentando meno probabilità di essere una fonte di rifiuti e dunque di rappresentare un rischio per la fauna selvatica. Ma la carta ha comunque un grande impatto sulla biodiversità: la sua produzione richiede un grande sforzo agli ecosistemi e alle foreste, di fondamentale importanza nella lotta al cambiamento climatico. Il processo di produzione della carta, inoltre, produrrebbe una maggiore concentrazione di sostanze chimiche tossiche rispetto alla realizzazione di sacchetti di plastica monouso. Un’ulteriore criticità di questo materiale risiede anche nel singolo utilizzo: le borse di carta, ad esempio, hanno più probabilità di spaccarsi o di strapparsi, soprattutto se si bagnano, rispetto a quelli di plastica. Inoltre, secondo uno studio condotto da “Enviroment Agency”, le buste di carta possono essere riutilizzate solo tre volte, una in meno rispetto a quelle di plastica. Un dato troppo basso per raggiungere il fine a cui l’ecologismo sta puntando negli ultimi anni. In questo senso le borse di cotone sono le migliori, garantendo il riutilizzo fino a 131 volte. Nonostante questo, tuttavia, produrne una comporta elevati costi ambientali, specialmente in termini di emissioni di CO2. La risoluzione della questione plastica passa anche attraverso il comportamento dei consumatori, spesso colpevoli perché disattenti e disinteressati all’attività di riciclo. Una criticità che si aggiunge a quelle già numerose nel trovare un’alternativa credibile a questo materiale e che non fa altro che alimentare uno dei più grandi problemi del nostro ecosistema.


TECNOLOGIA

| IL PERSONAGGIO INNOVAZIONE

Ma il cielo è sempre più green Sostenibilità ambientale e integrazione territoriale. Questi gli obiettivi perseguiti dagli esperti del settore. Arup e Adr si stanno confermando leader nel campo Di Federica Grieco _ 60 milioni gli occupati a livello globale, 650 milioni i dollari di fatturato, 2% le emissioni di gas climalteranti e una domanda in costante aumento per il trasporto aereo. Sono i numeri riportati dal Sole24Ore che riguardano il settore degli aeroporti, centri nevralgici per gli scambi commerciali e per il turismo di massa, nel mondo. Le società che investono in questo ambito stanno prestando sempre più attenzione all’effetto che le strutture hanno sui territori. Puntare alla sostenibilità ambientale significa rivoluzionare l’approccio di progettazione, costruzione e manutenzione degli edifici. Multidisciplinarietà, innovazione e impatto zero sono i concetti chiave che guidano gli esperti nel loro lavoro. Altro importante obiettivo è l’integrazione territoriale degli aeroporti. In altre parole, lo scopo per gli esperti del settore è coniugare la possibilità del territorio di beneficiare delle ricadute positive in ambito economico dovute alla presenza di questi snodi strategici per il trasporto nazionale e internazionale, con la riduzione al minimo degli effetti dannosi per l’ambiente.

Per perseguire questi obiettivi, i tecnici lavo- mate Group”, un’associazione che riunisce rano secondo i principi di resilienza e fles- le imprese che si impegnano a utilizzare l’esibilità. «Il difficile equilibrio tra impatti e nergia in maniera più produttiva, a ridurre le benefici alle comunità locali – spiegano da emissioni di gas serra e ad accelerare un’ecoArup, una società con oltre cinquanta anni di nomia pulita. L’obiettivo prefissato da Adr è esperienza e più di cento aeroporti progettati quello di incrementare, dal 2006 al 2026, del nel mondo - è spesso motivo di contrappo- 150% l’indice di produttività energetica. sizione piuttosto che di approcci integrati e Per la nuova Area Imbarco A a Fiumicino, per condivisi, pertanto proprio gli aeroporti po- il terminal dell’Aviazione Generale dello scatrebbero avere un ruolo strategico nel ride- lo di Ciampino e per la nuova Buisness City finire piani sulla scala più ampia, insieme ai non sarà aumentato il consumo di suolo che territori interessati». «parametrato per ogni passeggero servito di La stessa azienda a luglio Fiumicino, è uno dei più bas2019 ha inaugurato a San si al mondo», commentano Le società Francisco le prime aree rida Adr. prestano sempre più I lavori prevedono la rigenestrutturate del Terminal 1. Questo progetto, per cui Arup attenzione all’effetto razione del suolo, con diversi si è occupato degli aspetti ininterventi di bonifica, la riche le strutture gegneristici, prevede investiqualificazione del territorio menti per 2,5 miliardi di dole la realizzazione di 41mila hanno sui territori lari e la creazione di 23 nuovi metri quadri di aree permeagates. bili con una superficie verde Tra gli elementi di innovazione introdotti in di circa 16mila metri quadri. Sarà inoltre prequesto scalo troviamo vetrate elettrocromi- vista una rete di percorsi dedicati alla mobiche che riducono i consumi energetici e le lità lenta, che collegheranno il nuovo centro miscele cementizie e un sistema di alimenta- dell’aeroporto alla vicina area archeologica e zione per rendere gli aerei elettrici. «La pri- ai parchi naturali. La limitrofa stazione ferroorità – raccontano dalla società milanese – è viaria consentirà di raggiungere velocemente realizzare infrastrutture che vedano applica- il centro di Roma. te le ultime tecnologie e approcci integrati di Per quanto riguarda i rifiuti, «lo scorso anno sostenibilità, pensando allo sviluppo futuro». – afferma la stessa società - sono stati avviati In Italia, questa attività si sta occupando ad impianti di recupero quasi il 90% dei ridell’aeroporto Fontanarossa di Catania e di fiuti totali prodotti a Fiumicino e oltre il 60% quello di Marco Polo di Venezia per Save, che di quelli prodotti a Ciampino, in rapido e cogestisce lo scalo. Anche la società Aeroporti stante aumento rispetto agli anni precedendi Roma (Adr) del Gruppo Atlantia, che gesti- ti». Infine, anche il consumo di energia per sce gli scali di Fiumicino e Ciampino, punta ogni passeggero transitato risulta dimezzato sulla svolta green. se si considera l’arco di tempo che va dal 2007 L’azienda ha aderito all’EP100 di “The Cli- al 2018.

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ARCHITETTURA | QUOTIDIANA IL FENOMENO SOCIETÀ | VITA

Edilizia a impatto zero Costruire il domani nel rispetto dell’ambiente: nasce l’architettura sostenibile, un approccio green alla ridefinizione degli spazi urbani Di Ivan Casati _ “Città Eternit”: era il 10 dicembre del 1963 e il giornalista Antonio Cederna raccontava Roma con queste due parole sulle pagine del settimanale Il Mondo. Una fotografia cruda e graffiante, fermo immagine di una bellezza eterna stritolata nella morsa del cemento. Un’urbanizzazione frenetica erodeva il verde nel cuore della capitale: metallo e calce soffocavano i pochi angoli di natura che ancora sopravvivevano all’asfissiante evoluzione della metropoli. Fast Forward, anno 2020. La piramide si è capovolta: con oltre 50 anni di ritardo, l’attenzione del mondo si è finalmente spostata sulla questione ambientale e su ogni sua possibile declinazione. “Sostenibilità” è la parola d’ordine, l’“Apriti Sesamo” del nuovo decennio, la starting line di ogni progetto in divenire. Inevitabilmente, il tema del “Green” sta dilagando anche tra architetti e designer, ritagliandosi uno spazio sempre più rilevante in cima all’agenda di imprese e comunità, locali e internazionali. Il tempo dell’eternit è finito: l’era dell’architettura sostenibile è alle porte. Gli obiettivi sono molteplici: limitare l’impatto ambientale, mirare all’efficienza energetica, migliorare salute e comfort degli abitanti. La strada per raggiungerli, invece, è una soltanto: integrare nuove tecnologie e strutture in un processo di costruzione armonioso, che poggi sull’uso di biomasse, sistemi domotici, energia rinnovabile. Realtà come queste esistono già e si trovano

EDILIZIA GREEN

Altri esempi di eccellenze sostenibili nel mondo A cura di Ivan Casati

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Bosco Verticale. Uno dei migliori esempi di architettura sostenibile sorge nel quartiere Porta Nuova di Milano

sotto ai nostri occhi. Per esempio, da ormai qualche anno, chi si ritrova a osservare lo skyline meneghino non potrà fare a meno di notare due torri verdeggianti che si stagliano contro la modernità del quartiere di Porta Nuova. Si tratta del Bosco Verticale, un complesso di due palazzi progettato da Boeri Studio è già divenuto simbolo universalmente riconosciuto del capoluogo lombardo: oltre sedicimila essenze arboree tra alberi, arbusti e piante floreali perenni, distribuite sulle due strutture di 26 e 18 piani. «L’edificio-prototipo di una nuova architettura della biodiversità, che pone al centro non più solo l’uomo, ma il rapporto tra l’uomo e le specie viventi», si legge sul sito web dei progettatori. 20.000 metri quadrati di bosco e sottobosco, concentrati su 3.000 metri quadrati di superficie urbana. Un ambizioso progetto di riforestazione urbana che sfrutta la vegetazione per apportare numerosissimi benefici all’ambiente circostante:

il Bosco Verticale contribuisce alla costituzione di un microclima che genera umidità, filtra le polveri sottili, attenua l’inquinamento acustico, depura l’aria, protegge dall’irraggiamento solare e ripara dal vento. Insignito di numerosi premi, il progetto è diventato il trampolino di lancio per Urban Forestry, una campagna di portata globale che mira a tutelare l’ambiente moltiplicando la presenza di foreste e alberi nelle città di tutto il mondo. Il caso del Bosco Verticale è sicuramente un’eccellenza italiana e mondiale nel suo campo, un esempio iconico di ciò che l’architettura sostenibile mira a diventare: un approccio culturale interamente nuovo, più che un ramo dell’edilizia tradizionale. Non mancano i passi nella giusta direzione. Dal 1° gennaio 2021, per direttiva dell’Unione Europea tutti gli edifici di nuova costruzione o che siano oggetto di importanti ristrutturazioni dovranno rispettare determinati standard di sostenibilità ambientale. Una prima

1. FIORITA PASSIVE HOUSE

2. L’ASILO DI FELD72

3. LA SMART CITY DI CANCÙN

La prima multiresidenza in Italia, a Cesena, certificata al Passive Hause di Damstraat. Otto appartamenti dotati del solo impianto di ventilazione meccanica, indipendenti dalla rete del gas: una costruzione di legno e metallo che è già un punto di riferimento internazionale per gli standard delle “case passive”.

In Alto Adige, a Trento, gli architetti dello studio austriaco Feld72 hanno realizzato una scuola per l’infanzia in piena armonia con il contesto naturale in cui è collocata: materiali, forme e colori si fondono armoniosamente con lo skyline alpino che contraddistingue le bellezze naturali della Regione.

Gli autori del Bosco Verticale hanno già in cantiere un altro ambizioso progetto: una città foresta che sorgerà in Messico e ospiterà 130mila abitanti su una superficie di 557 ettari dove sarebbe dovuto sorgere un centro commerciale. Grandi parchi, tetti giardino e verdi facciate restituiranno alla natura le superfici inutilizzate.

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L’incontro. All’Università IULM il Rettore Gianni Canova conferisce la laurea al regista Marco Bellocchio.

Bellocchio ad honorem All’età di 80 anni, il regista di fama internazionale ha ricevuto la Laurea Magistrale in Televisione, Cinema e New Media. Il Rettore Gianni Canova ha condotto l’evento Di Daniela Brucalossi _ Il 9 dicembre 2019, l’Università IULM di Milano ha ospitato il regista di fama internazionale Marco Bellocchio e gli ha conferito la Laurea Magistrale Honoris Causa in Televisione, Cinema e New Media. Alla veneranda età di 80 anni, Bellocchio ha alle sue spalle una carriera costellata da premi e riconoscimenti per la regia di una lunga serie di lungometraggi che hanno segnato la storia del cinema italiano. Dall’esordio con il suo film-manifesto I Pugni in Tasca (1965), all’ultima pellicola del 2019, Il Traditore, il cinema di Bellocchio ha sempre avuto al suo epicentro la documentazione del dato storico e la narrazione delle zone d’ombra delle vicende italiane, pur approfondendo anche dimensioni più introspettive e private. Il Traditore, presentato al Festival del Cinema di Cannes lo scorso maggio, è un ritratto più che riuscito della lotta fratricida tra le grandi famiglie mafiose di Cosa Nostra, quelle palermitane e quelle corleonesi. Il protagonista indiscusso, colui che si rivelerà essere “il traditore” e il primo mafioso collaboratore di giustizia, è il palermitano Tommaso Buscetta, interpretato da uno strepitoso Pierfrancesco Favino. «Non volevo fare l’ennesimo film su Cosa Nostra», ha rivelato Bellocchio alla platea della IULM. «Ho provato preoccupazione e angoscia durante le riprese proprio perché desideravo realizzare immagini e sequenze che non fossero

convenzionali e, soprattutto, superficiali». Il 9 febbraio 2020, Il Traditore ha registrato uno dei migliori incassi in Italia nel 2019, oltre a essere stato distribuito anche in ben 68 Paesi. la lettera di bellocchio all’università iulm «Intanto vi ringrazio per questa Laurea. Da giovane mi sono diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia. Voto 25 su 30, a conferma della mia mediocrità scolastica. Questa è, quindi, la prima volta che mi laureo. Le prime volte sono sempre indimenticabili. Inizialmente, entrai al Centro Sperimentale di Cinematografia come attore. Mi ispiravo a Marlon Brando. Un giorno, durante una lezione, il professore propose un’improvvisazione che i registi avrebbero dovuto inventare e gli attori interpretare: il soggetto era un uomo che, fumando, aspettava con impazienza qualcuno sul marciapiede. Io ebbi una piccolissima idea e il coraggio di esprimerla. Cambiai l’immagine che il professore aveva suggerito: misi una donna che fumava passeggiando nervosamente sul marciapiede e un uomo nascosto, intento a guardarla dall’altro lato della strada. Poi, l’uomo si allontanava velocemente, come spaventato dalla donna, e si accendeva anche lui una sigaretta, aspirando profondamente. Il professore scelse quell’improvvisazione, pur essendo io uno degli allievi di recitazione. Fu così che tentai la regia e su-

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IL PERSONAGGIO

Ogni anno tra i 3 e i 4 milioni di automobili, che dovrebbero essere rottamate, scompaiono dai registri delle motorizzazioni di tutta Europa. Questo significa che milioni di tonnellate di metallo, plastica, gomma e vetro non vengono riciclati correttamente e che tra i 20 e i 55 milioni di litri di liquidi pericolosi (ad esempio benzina e fluido del condizionatore) finiscono per inquinare l’ambiente. La Polonia è il Paese dell’Unione Europea in cui il fenomeno si presenta in modo più evidente, con oltre un milione

di automobili scomparse. L’allarme è stato lanciato in un report del 2018 dalla Commissione Europea (Assessment of the implementation of Directive 2000/53/EU on end-of-life vehicles) che sancisce la necessità di aggiornare la normativa relativa ai veicoli giunti “a fine vita”: la direttiva sarà rivista proprio quest’anno. Ad oggi la legge prevede che queste automobili debbano essere private delle sostanze pericolose nei centri di rottamazione autorizzati e che l’85% del peso della vettura sia riciclato. photo © Marco Capovilla GENNAIO 2020

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