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Matteo Rovai: l’importanza della pallavolo nell’educazione scolastica

Matteo Rovai ha 35 anni, allena una squadra di pallavolo in B2 ed insegna Scienze Motorie al Liceo Gobetti di Firenze. Grazie alla sua disponibilità, abbiamo cercato di capire perché la pallavolo sia tra gli sport più praticati nelle palestre scolastiche. 

Matteo, grazie per il tuo tempo e lo sguardo che ci permetti di avere sugli aspetti educativi dello sport nel contesto della scuola. Parliamo della pallavolo: perché è così diffusa a livello scolastico?

Da allenatore e appassionato, sono naturalmente portato a tifare volley e cercare di trasmettere questo interesse. Ovviamente promuovo e insegno tutte le discipline sportive; ma, aldilà delle propensioni personali, va sottolineato che dal punto di vista scolastico la pallavolo è uno degli sport più completi e inclusivi, che riesce ad abbracciare la maggioranza degli studenti. Intanto, non pone ostacoli di genere: attrae parimenti maschi e femmine, che possono anche giocarvi contestualmente in squadre miste. Dal punto di vista didattico, è uno sport che sviluppa capacità atletiche e tecniche utili per ogni sport. La pallavolo necessita di una preparazione fisica che copre più o meno tutte le fasce muscolari: piegamenti in ricezione e difesa, salti in battuta, schiacciata e a muro, movimenti in campo per coprire tutte le azioni di gioco. La pallavolo porta ad uno sviluppo armonioso nella costruzione del fisico. Gambe, braccia, dorsali, addominali …. è uno sport completo, che favorisce il coordinamento del proprio corpo e lo predispone a rispondere con estrema rapidità agli stimoli nelle varie azioni. La comprensione delle tattiche e delle azioni di gioco richiede infatti a chi pratica la pallavolo una notevole crescita psico-fisica: sul campo ci si deve muovere in sintonia, con movimenti coordinati, come si fosse tutt’uno col resto della squadra. Il tutto condito anche dalla necessità di individuare anzitempo quali saranno le mosse tattiche degli avversari. Ci sono poi anche ragioni più pratiche. Ad esempio, anche se in molte scuole la disponibilità di locali si limita a piccole palestre, è quasi sempre possibile attrezzare un campetto da pallavolo.

Ora insegni alle secondarie di secondo grado, ma hai insegnato anche alle medie inferiori. Quali le maggiori differenze?

Sì, fino a 7 anni fa insegnavo a studenti più giovani. La differenza fondamentale è che i ragazzi di 11, 12, 13 anni sperimentano ancora diversi sport, non hanno ancora compiuto la scelta definitiva. Il ruolo dell’insegnante, in questo caso, è quello di allargare gli orizzonti e cercare di individuare quali sono le propensioni e le caratteristiche psico-motorie di ciascuno studente per accompagnarli al meglio a quella che sarà la loro scelta.

Da insegnante, come vedi quello che è il passaggio dai primi rudimenti tecnici a scuola, che è all’insegna del puro divertimento, alla pratica agonistica?  Come accompagnate questo momento?  

Come dicevamo, c’è un primo filtro fra gli studenti in base alle loro capacità e caratteristiche, affinché vengano indirizzati agli sport che ci paiono i più idonei. Dopodiché, cerchiamo di mantenerci informati sulla conoscenza delle realtà territoriali così da suggerire l’approdo a società sportive che offrano vantaggi anche dal punto di vista logistico, con distanze che non ostacolino la continuità della pratica. Ma l’agonismo comincia già a scuola, anche se non è l’elemento centrale della nostra missione. Con la mia classe, ad esempio, partecipiamo ai campionati studenteschi. Pur potendo contare su un bacino di utenza molto vasto, che ci permetterebbe tranquillamente di mettere insieme una squadra di dodici elementi, riserviamo metà dei posti disponibili a quelli che non praticano già la pallavolo. Una scelta dettata dalla socialità e dalla voglia di inclusione e certamente non dagli obiettivi di competitività. L’anno scorso, per le limitazioni dovute alla situazione Covid, abbiamo optato per il beach volley e io ho portato alle fasi provinciali due squadre, una maschile e una femminile. Quest’ultima composta da pallavoliste, mentre la prima formata da non pallavolisti. 

La filosofia di Uisp opera proprio in questa direzione, lo sport come divertimento e inclusione. In questo caso, la pallavolo per tutti.

L’attività di enti come UISP, che riesce ad abbracciare tutti, è fondamentale per arginare fenomeni di dispersione sportiva e offrire contesti di socialità positiva. Penso a quei ragazzi che cominciano la pallavolo con qualche anno di ritardo rispetto all’agonismo, o che non hanno tanta disponibilità di tempo per gli allenamenti e hanno necessità di orari più flessibili, o a tanti altri giovani - e meno giovani - che amano questo sport ma non potrebbero praticarlo nella dimensione agonistica professionistica. Compresi quelli che sono meno bravi.  Poi, se si migliora, si potranno fare scelte più adeguate alle proprie capacità. L’importante è fare sport. Ed in questo senso va riconosciuto a Uisp anche il merito di inventare formule che incentivano l’ingresso in campo del maggior numero di giocatori possibile.  Nessuno vuole negare l’importanza della ricerca della vittoria, ma la primaria utilità dello sport e di chi vi opera è consentire alle platee più ampie di praticare e scendere in campo.

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