Cronaca

Consulta: decida il Parlamento sui figli di due mamme

Ancora un no dalla Corte costituzionale sulla doppia maternità: "Scelta di così alta discrezionalità da essere riservata al legislatore, quale interprete del sentire della collettività". Inammissibile la richiesta dei giudici di Venezia sul caso di due donne che volevano registrare all’anagrafe come proprio il figlio nato in Italia dopo la fecondazione all’estero
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ROMA - È lo stesso presidente della Corte costituzionale Mario Rosario Morelli a leggere, per la prima volta in un podcast, il comunicato che boccia la richiesta dei giudici di Venezia di fare un passo avanti su due madri che vogliono iscrivere all’anagrafe il figlio, nato in Italia da una delle due, dopo una fecondazione avvenuta all’estero. Morelli, un esperto di queste temi che ha affrontato molte volte nei suoi anni alla Corte, scandisce la frase chiave: “Il riconoscimento dello status di genitore alla cosiddetta madre intenzionale - all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente - non risponde a un precetto costituzionale, ma comporta una scelta di così alta discrezionalità da essere per ciò stesso riservata al legislatore, quale interprete del sentire della collettività nazionale”.
 

Dunque la Consulta fa un passo indietro. O meglio, si ferma sulla soglia di una decisione che, per la sua delicatezza, non può a suo avviso che essere politica. Perché “su temi così eticamente sensibili” non può che spettare al legislatore “di ponderare gli interessi e i valori in gioco, tenendo conto degli orientamenti maggiormente diffusi nel tessuto sociale in un determinato momento storico”. La Corte si è anche preoccupata del bambino e ha ritenuto che “la protezione del miglior interesse del minore in simili situazioni – oggi affidata dalla giurisprudenza all’attuale disciplina sull’adozione in casi particolari - può essere assicurata attraverso varie soluzioni, tutte compatibili con la Costituzione, che spetta sempre al legislatore individuare”.

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Una decisione prevedibile, visto il caso che si era materializzato sul tavolo della Consulta a seguito dell’ordinanza di rimessione del tribunale di Venezia dove veniva affrontato il caso di una donna unita civilmente a un’altra che a sua volta aveva concepito all’estero, con la fecondazione eterologa, un figlio nato però in Italia. I giudici di Venezia contestavano due norme, la prima contenuta nella legge sulle unioni civili, l'altra nel decreto del presidente della Repubblica riguardante l'ordinamento dello stato civile, che limiterebbero i diritti e gli obblighi delle parti di un'unione civile precludendo la formazione di un atto di nascita con l'indicazione congiunta, come genitori, di due donne.
 

Il tribunale aveva ritenuto che le attuali norme, nell’escludere la registrazione nell’atto di nascita del bambino come figlio di entrambe, violerebbero i dritti della cosiddetta madre intenzionale e quelli del minore, e determinerebbero di conseguenza un’irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale.
 
Ad avviso dei giudici il rifiuto all’iscrizione anagrafica viola l’articolo 2 della Costituzione perché nega “il diritto fondamentale alla genitorialità dell'individuo, sia come soggetto singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità". Violato anche l’articolo 3 della Carta perché la decisione provoca “una disparità di trattamento basata sull'orientamento sessuale e sul reddito, laddove privilegia chi dispone dei mezzi economici non solo per concepire, ma anche per far nascere il figlio all'estero e richiedere la trascrizione in Italia dell'atto di nascita straniero". Violato anche l’articolo 30 perché “l'attuale impossibilità di indicare due madri unite civilmente nell'atto di nascita formato in Italia non rispetta il principio di tutela della filiazione”. Infine, secondo i giudici veneti, il divieto di iscrizione viola anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e la Convenzione di New York sui Diritti del fanciullo. Ma a tutto questo la Consulta ha risposto rinviando al legislatore e alla sua discrezionalità una decisione così delicata.