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Tra catarsi mediale e resistenza attiva

03 Novembre 2010

Tra catarsi mediale e resistenza attiva

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Analizzare come abbiamo reagito all'affaire Bunga bunga può raccontare molto della nostra società, soprattutto negli interstizi sociali antagonisti del web

Ci sono modi diversi in cui la realtà del mondo, quella raccontata dai sistemi dell’informazione, impatta con la rete. Blog, siti di social network, forum di discussione, sono luoghi in cui questa realtà viene messa a tema, discussa, rilanciata, “trattata” come materia conoscitiva da ampliare e approfondire, come un’occasione, anche, di mettere in risonanza e connessione valori e modi di osservare il mondo. Ci sono poi modi che utilizzano la parodia, il plagiarismo, le forme di decostruzione e détournement del senso, eredità delle pratiche situazioniste e debitrici del lavoro di adbusting. Modi che mirano alla decostruzione dei linguaggi dominanti e alla stimolazione di una visione critica a partire da rielaborazioni comunicative e visive dei messaggi. Così almeno in teoria.

È anche qui che, sempre in teoria, troviamo forme interstiziali di una comunicazione antagonista che ha assunto forme adatte alla società dello spettacolo, alla nostra abitudine a informarci – e intrattenerci – attraverso luoghi social ad alto impatto comunicativo e audio-visuale. È così che le tracce del contropotere possono risiedere nelle pieghe dei video di YouTube, nella diffusione di immagini su Tumblr, nella condivisione di parodie e tormentoni sui profili di Facebook eccetera. Proviamo a dare un’occhiata prendendo come esempio una realtà recente del sistema dell’informazione che è sotto gli occhi di tutti, una vicenda complessa che mette in gioco feste notturne, possibili rivelazioni di una minorenne, un presidente del Consiglio che interviene direttamente per il rilascio della minorenne fermata dalla polizia, la partecipazione di uomini del sistema dell’informazione alle suddette feste… in poche parole: l’affaire Bunga Bunga.

Ironia

Nel contesto informativo accanto alla cronaca troviamo immediatamente il mondo dell’informazione che si dedica a pezzi di costume che ricostruiscono e definiscono i contorni culturali della semantica del Bunga Bunga, che dalle origini di fake culturale (Dreadnought hoax) che coinvolge Virginia Woolf , passa da pratiche etnografiche contro natura, trova probabile applicazione in un rito dell’harem di Gheddafi e approda alla formula di “barzelletteria” nostrana o che diventa lancio di una hit autunnale. La crudezza della vicenda (politica) trova un immediato correlato culturale che, nel denunciare da parte dei principali quotidiani italiani, depotenzia. Basta leggere l’attacco del pezzo del Corriere nella sezione politica del 28 ottobre:

Dopo il Tuca tuca spunta il Bunga bunga. Ma se il primo è un successo musicale tutto italiano, inventato dal caschetto biondo della Carrà, questo Bunga bunga non sembra essere «solo» un ballo sexy oppure un fiore indonesiano ma qualcosa di più.

«Dopo il Tuca tuca spunta il Bunga bunga»? Che cosa facciamo, troviamo analogie simpatiche? Creiamo un contesto adatto per veicolare in chiave ironica e di parodia? Spostiamo il focus dall’indignazione politica alla formula – tutto sommato giustificatrice – “o tempora, o mores!”? Se no alcuni titoli di giornali come “Mercato auto bunga bunga” Federauto lancia la polemica o Bunga Bunga Juve non si capiscono. Ed è, innanzitutto, proprio sul versante della parodia e del “motto di spirito” che troviamo la diffusione del Bunga Bunga in Rete.

Elio

Innanzitutto con il Bunga Bunga di Elio e Le Storie Tese, parodia musicale di Waka Waka che spopola su YouTube (oltre 600.000 visualizzazioni e sottotitoli in lingua inglese che esplicitano i significati – neanche troppo – sottesi) e che trova forme massicce di condivisione sui wall di Facebook. Spopola in rete, ma  è un prodotto televisivo della trasmissione Parla con me, programma condotto da Serena Dandini su Rai3, che ha vocazione, quindi, di approcciare un pubblico allargato e televisivamente coinvolto nelle forme di narrazione del Bunga Bunga. La natura virale di questo contenuto viene spiegata scientificamente da Mirko Pallera dei Ninja Marketing:

esiste una tensione culturale e psicologica latente, ovvero il disgusto –  io direi in qualche modo l’invidia (qualche psicoanalista ci potrebbe aiutare)  – relativa ai fatti di cronaca che coinvolgono Berlusconi e il suo entourage. Elio attraverso la parodia di Waka Waka  purifica, ovvero libera, questa tensione, attraverso il divertimento, il sorriso, la risemantizzazione delle emozioni positive associate al Waka Waka (musica e ballo).

Anche qui: ci troviamo di fronte a una elaborazione dello shock politico attraverso una risemantizzazione delle emozioni positive di natura culturale, che valgono un po’ come scostamento dal tema, come cura emotiva di una indignazione che ha matrice sociale collettiva più che come apertura conflittuale, come momento di rottura sociale. Così i percorsi del singolo cercano di dare “senso” e di trovare una “cura” del proprio stato attraverso le forme di connessione, con linguaggi che tutto sommato ricompongono e compattano emotivamente. Ecco che su Facebook viene timidamente proposto (una sessantina di friend)  Il partito del Bunga Bunga, anche qui come tentativo di demistificazione giocata sull’ironia e, in qualche modo, capace di sedare le inquietudini dietro una risata esplicita:

In Italia ci sono tanti partiti che in campagna elettorale e anche dopo cercano di prendere per i fondelli gli elettori. Da qui l’esigenza di colmare la lacuna con un partito che, senza mezzi termini e giri di parole, esplicitasse chiaramente sin dalla nascita i suoi intendimenti. Un ringraziamento particolare va all’ispiratore di questa nuova formazione.

Twitter

Oppure guardiamo lo stream di Twitter che oscilla tra natura informativa («Ruby, la egiziana del Bunga Bunga…. le foto: Questa ragazza, minorenne fino a Giovedì 11 Novembre, ha raccontato di…») e ironia da condividere («La Juve ha fatto bunga bunga alla squadra di Silvio”) fino alla sintesi di Beppe Severgnini: «Waka waka, bunga bunga, passo passo, lemme lemme, terra terra, santo cielo!» (Della serie: Storia sintetica dell’Italia contemporenea).

Pochissimi – o quasi assenti – invece post sui blog o commenti o gruppi che trattano il contenuto politico direttamente. I contenuti generati dagli utenti seguono quindi l’onda emotiva, la tensione sociale si incanala nell’adesione e diffusione di parodie, di calembour, retweetta le frasi ironiche, quelle più divertenti sul Bunga Bunga, simili a strizzatine d’occhio e poche forme si arrischiano a diventare veramente graffianti –  tra le poche cose pungenti vale la pena di segnalare la satira di riferimento per la Rete, quella di Spinoza: «La ragazza ha svelato che il dopocena erotico era chiamato “bunga bunga”. Con i più piccoli è consuetudine dare alle cose nomi più orecchiabili».

Liberazione emotiva

Alla fine la maggior parte degli user generated content lavora sulla liberazione emotiva della tensione sociale, sulla formula tensione-emozione-catarsi, paradigma del virale raccontato dai Ninja Marketing e sotto copyleft (le web oblige). Una forma di catarsi mediale che depotenzia il conflitto e trova, tutto sommato, una sua natura consolatoria. Diciamo che pur evidenziando l’errore di sistema si occupa più di individuare strategie di abbassamento della tensione (mentale) che di indicare la centralità delle forme di disturbo, che si concede più facilmente alle dinamiche di intrattenimento, alla semplice fruizione/condivisione che all’innesco conversazione, alla produzione di contenuti propri di una cittadinanza culturale.

L’errore di sistema di gran lunga più temibile è il collasso mentale della nostra specie: un’ansia strisciante, un crescente disordine della psiche, un involgarimento del discorso così graduale da non essere quasi percepito. Restiamo seduti, incantati dalla parata di bizzarrie televisive, con i suoi atti estremi, gli omicidi seriali, le irruzioni nelle case, gli assassini di celebrità, le guerre, i genocidi, senza nemmeno accorgerci dei dilaganti disturbi del comportamento, e di tutte le forme di dipendenza e di ecocidio che sono le vere notizie. (da Errore di sistema, di Kono Matsu contenuto su Adbusters 19, autunno 1997 e tradotto sul volumetto italiano)

Cortocircuito

Per questo le forme più interessanti mi sembrano essere quelle di resistenza attiva, di produzione di cortocircuiti tra pratiche di rete, di social networking, e diffusione di contenuti contro-culturali. Forme che non si adagiano sulla pura parodia e che compiono una doppia operazione critica: sul contenuto e sul nostro piegarci alle logiche di “sistema”, quelle stesse della Rete e del social networking. Ad esempio le pratiche di spoof che mirano a ridicolizzare istituzionalizzando, creando un cortocircuito tra insensatezza del messaggio proposto e contesto in cui lo si riconduce. Come il badge di Foursquare proposto da Vincenzo Cosenza: «I just unlocked the “Bunga Bunga” badge on @foursquare». Qualcosa che “ti arriva” se produce una certa consapevolezza, una consapevolezza che ti mette in gioco in prima persona.

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