6 Giu 2018

Il nuovo Governo e l’agenda internazionale

L’agenda internazionale dei prossimi mesi è già fitta di impegni e imporrà al nuovo Governo di assumere, in tempi brevi, posizioni chiare su temi cruciali per l’interesse nazionale: dal ruolo in Europa a quello nella Nato, dalle migrazioni ai rapporti con la Russia, dalle missioni militari all’estero al commercio internazionale. Quali sono dunque i principali […]

L’agenda internazionale dei prossimi mesi è già fitta di impegni e imporrà al nuovo Governo di assumere, in tempi brevi, posizioni chiare su temi cruciali per l’interesse nazionale: dal ruolo in Europa a quello nella Nato, dalle migrazioni ai rapporti con la Russia, dalle missioni militari all’estero al commercio internazionale. Quali sono dunque i principali appuntamenti internazionali che attendono il nuovo Governo? Quali gli interessi nazionali in gioco? E con quali alleati poterli difendere al meglio?

Il commento di Paolo Magri:

 

GOVERNANCE GLOBALE

L’Italia tra i “grandi”: G7 primo banco di prova, in autunno il G20

Il G7 e il G20 rappresentano i due più importanti appuntamenti multilaterali dell’anno, anche se da qualche tempo appaiono in evidente declino. Nel maggio dello scorso anno il G7 italiano è solo parzialmente riuscito a frenare il “ciclone Trump”. Di lì a poco anche la dichiarazione congiunta dei capi di Stato e di Governo del G20 di Amburgo avrebbe adottato un linguaggio che metteva in luce le sostanziali divergenze tra i “grandi” soprattutto su commercio internazionale e lotta ai cambiamenti climatici.

Il G7 di quest’anno in Canada (8-9 giugno) è ospitato da un Trudeau che fa del multilateralismo il suo fiore all’occhiello. Purtroppo però le aspettative per il vertice sono tutt’altro che positive. Lo scorso 1 giugno infatti Trump ha esteso anche al Canada e ai paesi Ue i dazi americani su acciaio e alluminio. Per la prima volta nella sua storia, il G7 rischia dunque di non riuscire nemmeno ad adottare un comunicato finale congiunto. L’Italia, nono paese esportatore a livello mondiale, con un surplus commerciale da 42 miliardi di euro all’anno, l’Italia ha un chiaro interesse nazionale nel puntare a un commercio internazionale libero, equo e basato sul multilateralismo. Il Presidente Conte potrebbe esprimere l’intenzione di migliorare la percentuale italiana di implementazione degli accordi (in genere più bassa di quella degli altri membri), valorizzando i punti della sua agenda di governo più vicini ai 5 principali temi del summit: investimenti e crescita equa, lavori del futuro, uguaglianza di genere, energia pulita e ambiente, sicurezza mondiale.

Le divisioni del G7 si ripresenteranno con ogni probabilità anche nel più ampio contesto del G20 di Buenos Aires di fine novembre. Oltre alle spaccature sulle sanzioni alla Russia e all’Iran, a pesare sono le minacce di una guerra commerciale non solo tra Usa e Cina (le recenti concessioni da parte di Washington sono presto sfumate), ma anche tra Usa e Unione europea. Tensioni che difficilmente si stempereranno prima del Summit, tanto più che questo si terrà appena dopo le elezioni di mid-term negli Usa. L’Italia ha tutto l’interesse perché il Summit recuperi un ruolo più attivo su alcuni temi particolarmente sensibili per il nostro paese come la stabilità finanziaria (anche attraverso una maggiore collaborazione nell’ambito delle politiche monetarie) e lo stimolo agli investimenti produttivi, e affinché si punti con maggior forza a contrastare le disuguaglianze dei redditi e le disparità regionali. 

 

EUROPA

Il Consiglio di giugno (e i bilanci alle porte)

I prossimi mesi sono densi di impegni per l’agenda europea e, per certi versi, potrebbero rivelarsi cruciali nel ridisegnare il futuro dell’Ue stessa. La scadenza più ravvicinata – e primo banco di prova per il Presidente Conte – è il Consiglio europeo del 28-29 giugno. Oltre ai delicati dossier sulle migrazioni, sulle sanzioni alla Russia e sul futuro dell’accordo sul nucleare iraniano (si vedano al riguardo gli altri contributi a questo ISPI Focus), un tema ‘caldo’ all’ordine del giorno è senza dubbio il bilancio Ue a 27 per il periodo 2021-2027. Nelle recenti proposte della Commissione vengono profondamente cambiati i criteri per l’assegnazione dei fondi di coesione in una direzione favorevole all’Italia. Alle nostre regioni verrebbero infatti assegnati 38,6 miliardi di euro al posto dei 36,2 del settennato precedente (un incremento di oltre il 6%). I paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) sarebbero i più colpiti dai tagli (-25%) e hanno già annunciato battaglia. Difficile che in questo Consiglio si facciano significativi passi avanti, ma sarebbe bene che il nuovo Governo iniziasse a delineare con chiarezza la propria strategia, appoggiando queste proposte della Commissione.

Il Consiglio di giugno avrebbe anche dovuto rappresentare l’occasione in cui lanciare il processo per il rafforzamento dell’Eurozona (Roadmap). Ma, oltre a una prima discussione tra i Capi di Stato e di governo, è molto probabile che il suo avvio venga posticipato più a ridosso delle prossime elezioni europee, previste per il maggio 2019. Serve infatti più tempo per valutare le proposte già avanzate dal Presidente francese Macron: bilancio dell’Eurozona (anche per finalità redistributive tra i paesi), creazione della figura del Ministro delle finanze e rafforzamento del fondo salva-stati. Tempo che sarà utilizzato anche per delineare meglio i contorni delle proposte che sembrano emergere da Germania e paesi ‘rigoristi’: parziale apertura sul completamento dell’Unione bancaria (ipotizzando anche la garanzia comune dei depositi bancari) ma a fronte di una sostanziale riduzione dei rischi (tramite maggiore disciplina dei mercati e disincentivazione dell’acquisto dei titoli del debito pubblico da parte delle banche dello stesso paese) fino alla possibile creazione di procedure per il ‘default ordinato’ dei paesi dell’Eurozona. Proposte potenzialmente destabilizzanti per l’Italia a cui il Governo dovrà in caso rispondere con contro-proposte solide, credibili e capaci di aggregare consenso. Questo anche nell’ottica della conclusione del quantitative easing, il programma di acquisto dei titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea (già dimezzato dallo scorso gennaio da 60 a 30 miliardi al mese), mentre si profila per il 2019 la sostituzione alla guida della Bce di Mario Draghi, che conclude il proprio mandato.

In quest’ottica bisognerebbe affrontare anche il cruciale dossier delle finanze dello Stato e il relativo rapporto con Bruxelles. Nelle raccomandazioni recentemente inviate dalla Commissione Ue all’Italia non si prevede l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo. Una buona notizia ma con l’avvertenza che bisognerà continuare nel percorso di riduzione del debito pubblico e nel monitoraggio dei crediti deteriorati delle banche. La Commissione non ha mancato inoltre di sottolineare le debolezze croniche della nostra economia come l’eccessiva tassazione su capitale e lavoro, la bassa produttività, la corruzione e il peso dell’economia sommersa. Ma l’appuntamento più importante su questo dossier sarà in autunno, quando il Governo dovrà presentare a Bruxelles la bozza di bilancio per il 2019, avviando così un negoziato con la Commissione che andrà chiuso entro fine anno. Nel frattempo dovranno essere trovate le risorse necessarie (circa 12 miliardi di euro solo per il 2019) per scongiurare l’entrata in vigore delle ‘clausole di salvaguardia’, che porterebbero all’aumento automatico di IVA e accise.

Particolare attenzione merita infine il dossier Brexit. Formalmente Londra lascerà l’Ue nel marzo del 2019, ma i tempi del negoziato non dovranno andare oltre il prossimo Consiglio europeo del 18-19 ottobre per lasciare al Parlamento europeo e a quello britannico il tempo necessario per approvare l’accordo. Nella eventualità di un mancato accordo, i rischi per l’Italia non si limiterebbero all’impatto sugli scambi commerciali e gli investimenti, dato il probabile aumento dello spread sui titoli italiani, a seguito dell’accresciuta instabilità politica in Europa.

 

MIGRAZIONI

Ue sempre più divisa: su Dublino con chi starà l’Italia?

Nonostante il calo degli sbarchi sulle coste italiane continui da ormai undici mesi, gestire i flussi migratori irregolari nell’Unione europea diventa sempre più complicato. Negli ultimi anni il più importante banco di prova per la solidarietà europea – i ricollocamenti d’emergenza di richiedenti asilo da Italia e Grecia verso altri paesi Ue in deroga al Regolamento di Dublino – ha diviso ancora più profondamente l’Europa dai paesi di Visegrád, quasi del tutto inadempienti.

Nel 2016 la Commissione europea aveva avanzato una proposta ambiziosa: rendere permanente il meccanismo di ricollocamento dei richiedenti asilo ogni volta che i flussi migratori verso un paese Ue avessero superato una “soglia di sostenibilità”. A ottobre 2017 il Parlamento europeo si era detto favorevole alla proposta, aprendo la strada all’inizio del negoziato con il Consiglio dell’Ue. Tuttavia, dopo mesi di tentennamenti, il 4 giugno i governi europei hanno deciso di sospendere i negoziati.

L’Italia, in particolare, ha ritenuto le bozze in discussione persino peggiorative rispetto al sistema attuale, trovando una sponda nei paesi dell’Est anch’essi contrari, anche se per motivi differenti. Tra i punti criticati dall’Italia c’era la proposta secondo cui i ricollocamenti automatici sarebbero scattati solo in caso di grave e accertata emergenza. Inoltre, all’Italia e agli altri paesi di primo ingresso sarebbe stato imposto di fare una valutazione preliminare delle richieste, e di non conteggiare tra le persone ricollocabili quelle che avessero presentato richieste manifestamente infondate. Dal momento che nel 2017 solo l’8% delle richieste d’asilo ha condotto all’attribuzione dello status di rifugiato (un altro 33% è sfociato in protezione sussidiaria o umanitaria), l’Italia ha giudicato insufficiente una proposta di “solidarietà europea” che nella pratica avrebbe riguardato solo poche migliaia di migranti. Proprio per questo già a fine maggio i governi di Italia, Spagna. Grecia, Cipro e Malta avevano presentato un position paper in cui si ribadiva la posizione dei paesi più esposti ai flussi migratori mediterranei.

Le speranze di una ripresa dei negoziati sono purtroppo flebili. L’1 luglio inizierà il semestre di presidenza austriaca dell’Ue, e il governo di Vienna ha già annunciato di non avere in agenda la revisione del Regolamento di Dublino. A prescindere da questo, sembra comunque mancare una volontà politica di intervenire sul Regolamento da parte di molte cancellerie europee. Più probabile invece che Stati Membri, Commissione e Consiglio proseguano sulla linea della fermezza: per esempio scoraggiando ulteriormente le partenze, allungando i tempi di detenzione dei migranti irregolari e intensificando le trattative con i paesi terzi per aumentare il numero dei rimpatri.

 

SICUREZZA E DIFESA

Summit NATO a luglio, nell’anno della Presidenza italiana OSCE

In tema di sicurezza, difesa e alleanze, un appuntamento centrale si terrà tra poche settimane: l’11-12 luglio, infatti, si riunisce a Bruxelles il Summit NATO. Al vertice prendono parte i capi di Stato e di Governo dei Paesi membri dell’Alleanza atlantica. L’occasione è importante, in quanto durante questi summit viene valutata e approvata la direzione strategica che la NATO seguirà nei prossimi anni. Tra i temi oggetto di discussione c’è anzitutto la necessità di sviluppare ulteriormente le capacità militari dei paesi membri. Infatti, nonostante entro la fine del 2018 il numero di paesi in linea con il target delle spese militari al 2% del Pil dovrebbe arrivare a otto, molti paesi – tra cui l’Italia – ne sono ancora lontani. Inoltre, dopo il caso Skripal, il focus sarà soprattutto sulle minacce legate alla crescente assertività internazionale della Russia, sulla sua strategia di hybrid warfare e su quali strumenti mettere in campo per contrastarla. Proprio riguardo alla linea da tenere sulla Russia, il Governo italiano sarà chiamato ad esprimere una posizione chiara, anche alla luce della volontà di apertura a Mosca espressa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al momento dell’insediamento. Altri temi rilevanti che potrebbero essere affrontati riguardano il ruolo della NATO nel contrasto al terrorismo, le missioni in capo all’Alleanza e i rapporti tra NATO e Unione europea. Più complessivamente, il vertice NATO potrebbe mostrare quale tipo di equilibrio e sintesi l’alleanza avrà trovato tra la politica di un’amministrazione Trump che non ha mai nascosto la propria simpatia per i partiti europei euro-scettici e le posizioni filo-russe di quest’ultimi, ora al governo in diversi paesi.

Il 2018 è anche l’anno di Presidenza italiana dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Spetta all’Italia ospitare e presiedere il Consiglio Ministeriale, che, quest’anno, sarà a Milano il 6-7 dicembre.Tra le diverse priorità dell’Organizzazione, rivestono ancora importanza le relazioni Occidente-Russia. Seppur con poteri limitati, l’OSCE resta infatti uno dei pochi fori di dialogo aperti con Mosca. L’azione dell’Italia alla guida dell’OSCE ribadisce la necessità di ricercare una soluzione alla crisi ucraina sulla base degli accordi di Minsk. Il compito italiano non appare affatto facile visto che la situazione in Ucraina risulta complicata ulteriormente dall’avvicinarsi delle elezioni presidenziali e politiche del 2019. Un’altra priorità d’azione del governo italiano in ambito OSCE è legata all’attenzione da dedicare al Mediterraneo, tema spesso considerato di secondaria importanza dai Paesi dell’Europa centro-orientale. Da sempre l’Italia punta a mostrare come la stabilità dell’Europa sia indissolubilmente legata a quella mediterranea.

 

SANZIONI

Russia in scadenza, Iran in partenza

Sul tema delle sanzioni, sono due i fronti con i quali anche l’Italia dovrà misurarsi, direttamente o indirettamente, nei prossimi mesi: la Russia e l’Iran. Le sanzioni europee verso Mosca, in vigore dallo scoppio della crisi ucraina del 2014, devono infatti essere rinnovate ogni sei mesi: la prossima scadenza è per il 31 luglio. Le sanzioni secondarie Usa legate al nucleare iraniano e reintrodotte da Donald Trump con il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo, invece, sollevano nuove incertezze anche per i paesi europei (tra loro i principali promotori dell’accordo) e le loro aziende, incluse quelle italiane.

SANZIONI/1 – Russia: riconfermarle? Il ritiro di Trump dall’accordo sul nucleare con l’Iran e le guerre commerciali da lui innescate stanno aprendo spazi per il dialogo tra l’UE e la Russia, anche se le relazioni restano attualmente molto tese. Come delineato in un recente dossier ISPI, i forti interessi economici ed energetici dell’Italia fanno sì che un rilancio del dialogo con Mosca sia preferibile a uno scenario di crescente scontro diplomatico e commerciale. D’altronde, come già accennato, l’apertura alla Russia rientra tra le priorità del Contratto di Governo. Sarebbe comunque opportuno che tale politica di apertura sia discussa in sede Ue con gli altri Stati membri. Il rischio per l’Italia, infatti, è che un rilancio meramente “bilaterale” delle nostre relazioni con Mosca possa tradursi in una posizione di isolamento sulla questione, che indebolirebbe la stessa forza negoziale di Roma. Anche in questo ambito, l’appuntamento decisivo sarà certamente il Consiglio europeo del prossimo 28-29 giugno: sarà infatti probabilmente in questa sede che i membri Ue discuteranno il rinnovo delle sanzioni economiche (in vigore fino al 31 luglio 2018) che limitano gli scambi con la Russia in specifici settori economici (essenzialmente energetico, finanziario e di difesa) e che sono rinnovate ogni sei mesi a seguito della valutazione dello stato di attuazione degli accordi di Minsk sul cessate il fuoco in Ucraina. La decisione sul rinnovo del congelamento dei beni e del divieto di viaggio alle 150 persone e 38 entità russe accusate di essere coinvolte nella crisi ucraina avverrà invece il prossimo 15 settembre.

SANZIONI/2 – Iran: come evitarle? Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) e il contestuale lancio di una nuova strategia statunitense verso l’Iran che intende fare delle sanzioni il proprio strumento principale gettano pesanti incognite sulle relazioni economiche e commerciali tra Bruxelles e Teheran. L’Unione europea ha espresso la forte volontà di tutelare l’accordo, non unendosi dunque alla nuova ondata sanzionatoria in arrivo da Washington, ma ciò potrebbe non essere sufficiente: le sanzioni statunitensi hanno infatti portata extraterritoriale, colpendo di fatto anche i soggetti non Usa. Dal prossimo 6 agosto rientreranno in vigore, tra le altre, le sanzioni sul settore dell’automotive e sulla vendita di alluminio e acciaio, mentre dal 5 novembre saranno nuovamente sanzionati i settori navale, petrolifero e petrolchimico; nelle intenzioni, gli Usa vorrebbero inoltre completare l’isolamento finanziario dell’Iran, rendendo molto difficile effettuare o ricevere pagamenti. A queste sanzioni – che erano state sospese nel 2016 in seguito all’entrata in vigore del JCPOA – potrebbero aggiungersene di ulteriori nei prossimi mesi. In questo contesto, per l’Italia si pone l’urgenza di discutere la strategia da adottare per tutelare le aziende che in questi anni hanno individuato in Teheran un partner economico. Come evidenziato in una recente analisi ISPI, nel 2017 l’Italia si è affermata come primo partner commerciale dell’Iran tra i paesi Ue, seguita da Francia e Germania. L’interscambio tra Italia e Iran è cresciuto del 97% rispetto al 2016 arrivando a quota 5 miliardi. Dal 2015 a oggi sono stati inoltre firmati Memorandum of Understanding (MoU) per un valore superiore a 20 miliardi di euro. È in corso un tentativo a livello Ue di introdurre misure che possano porre le aziende europee al riparo dalle sanzioni Usa: il prossimo 4 agosto dovrebbe rientrare in vigore una versione aggiornata del Regolamento di blocco del 1996, che in linea teorica servirebbe proprio a “bloccare” l’effetto extraterritoriale delle sanzioni statunitensi. Molto, però, verrà deciso e plausibilmente ottenuto attraverso negoziato bilaterale, sia tra Washington e Bruxelles, sia tra Washington e i singoli stati membri. L’Italia dovrebbe pertanto mettere in atto quanto prima una strategia che le permetta di negoziare e ottenere esenzioni nei settori di proprio interesse, prima del rientro in vigore delle rispettive sanzioni.

 

MISSIONI ALL’ESTERO

Rifinanziamento: countdown verso il 30 settembre

Nel Contratto firmato dai due partiti di maggioranza di governo si ritiene “opportuno rivalutare la presenza dei contingenti italiani nelle singole missioni internazionali geopoliticamente e geograficamente, e non solo, distanti dall’interesse nazionale italiano”. Le informazioni al momento disponibili sembrano presupporre un riorientamento delle nostre missioni all’estero. Lo scorso gennaio buona parte delle missioni italiane sono state rifinanziate per ulteriori nove mesi. Pertanto, entro il prossimo 30 settembre il Parlamento dovrà tornare a discuterne, per decidere se rifinanziarle e in quale misura. Attualmente le missioni più impegnative, in termini economici, sono: Iraq, Libano, Afghanistan, Mare Sicuro e Sophia. Dal 2018, poi, si sono aggiunte altre sei missioni, tutte tranne una su territorio africano: Libia, Niger, Marocco, Tunisia, Repubblica Centrafricana e Air Policing Nato. In vista dell’aumentato impegno italiano in Africa, il Governo Gentiloni aveva già deciso di ridurre di 200 unità la missione in Afghanistan e di 650 quella in Iraq (contro Daesh). Particolarmente critica appare la decisione in merito alla missione in Niger, finanziata a gennaio senza il sostegno degli attuali partiti al governo e non ancora avviata (soprattutto a causa di incertezze da parte del governo nigerino). La missione avrebbe sulla carta una duplice funzione: potenziare i controlli al confine tra Niger e Libia e contrastare i traffici illeciti, di cui si sostentano le organizzazioni terroristiche e quelle legate alla criminalità organizzata.

 

COMMERCIO INTERNAZIONALE

Arrivano i dazi USA, anche l’Italia a rischio

Quello del commercio internazionale è uno dei campi in cui il sistema multilaterale appare maggiormente in difficoltà. Gli Stati Uniti di Donald Trump fanno pressione affinché i rapporti commerciali tra Paesi vengano sempre più regolati da relazioni bilaterali, perché non credono più che il sistema di regole vigenti, che loro stessi hanno contribuito a creare nel secolo scorso, riesca a tutelare ancora gli interessi dell’economia statunitense. Questo nuovo approccio di Washington contribuisce oggi alla frammentazione delle storiche alleanze commerciali e produce nuove partnership, modificando così gli equilibri del sistema di scambi mondiale.

Di fronte a questa frammentazione, il nuovo governo dovrebbe confermare la centralità del progetto europeo e l’adesione dell’Italia alla politica commerciale comune, senza la quale il nostro Paese difficilmente riuscirebbe a far fronte ai nuovi equilibri e alle nuove incertezze della competizione commerciale globale. Naturalmente, all’interno di questo quadro, il nuovo esecutivo dovrà anche essere capace di promuovere le istanze italiane nei numerosi tavoli negoziali aperti. Già nei suoi primi giorni, il nuovo governo dovrà contribuire ad elaborare una risposta europea ai dazi Usa annunciati il 31 maggio sulle produzioni europee (e italiane) di acciaio e alluminio. Per l’Italia il rischio è quello di perdere 760 milioni di euro annui di export.

I partner europei osserveranno con estrema attenzione le nostre prime mosse in seno al Consiglio europeo del 28-29 giugno, e lo faranno anche quando si discuterà dell’opportunità di aprire nuovi tavoli negoziali. Infatti, sebbene il Contratto di Governo sottoscritto dai partiti di maggioranza rivendichi la contrarietà verso l’accordo tra Unione europea e Canada (Ceta) e verso i trattati di medesima ispirazione (Ttip, Giappone, Mercosur), questi rappresentano la massima espressione dell’azione di Bruxelles nel campo del commercio dal 2014 ad oggi, nonché uno dei campi nei quali gli Stati Membri hanno trovato un accordo.

Infine, il nuovo Governo dovrà decidere come posizionarsi nei confronti della Cina, anche nel tentativo di ricucire con gli Usa su temi di comune interesse per le due sponde dell’Atlantico, come lo screening degli investimenti cinesi nei settori strategici, la difesa della proprietà intellettuale e le regole di accesso al mercato cinese.

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