Milano, 16 dicembre 2011 - Aveva apostrofato il dipendente con uno degli insulti più diffusi ma un datore di lavoro non se lo può permettere. Il motivo? Il subordinato, di regola, non può rispondere "con linguaggio altrettanto offensivo, anche se molto diffuso". Per questo i giudici della corte d’appello di Milano, sezione lavoro, hanno accolto il ricorso presentato da un autotrasportatore e condannato il suo capo a un risarcimento di 500 euro per averlo definito ‘’testa di c...’.


Il tutto è avvenuto quando il capo, trovatosi di fronte alle dimissioni, si era abbandonato al poco riguardoso epiteto. Il lavoratore aveva dunque avviato la causa chiedendo sia il riconoscimento del suo status di dipendente, nonostante avesse contratti di lavoro autonomo, sia il risarcimento per l’aggressione verbale. In primo grado era stato negato il riconoscimento e stimato un risarcimento di 150 euro per l’espressione ingiuriosa. Troppo poco per i giudici di Milano, che hanno stabilito che gli vengano versati 11 mila euro come differenze retributive e inoltre corretto al rialzo il risarcimento per l’insulto scappato al capo.


Si può infatti considerare ‘’il fatto già evidenziato dal primo giudice che certa terminologia è molto diffusa in qualsivoglia ambiente sociale - è scritto nelle motivazioni -, ma che nel caso in esame la frase è stata pronunciata dal datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente, il quale si trova, di regola, nelle condizioni di non poter rispondere con un linguaggio altrettanto offensivo, anche se molto diffuso’’