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Roberto Saviano ad 'Amici': "Vi racconto le storie dei volontari che rischiano la vita"

In piena polemica sul lavoro delle Ong, sabato su Canale 5 lo scrittore racconta la storia di Khaled Omar, morto durante i bombardamenti in Siria. Aveva salvato un neonato sepolto dalle macerie. In studio la giovane Ileana Boneschi, ostetrica di Medici senza Frontiere

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L’audio di un bombardamento in Siria dopo gli applausi, le risate e il tifo. Sabato 29 aprile ad Amici, su Canale 5, Roberto Saviano porta il rumore della paura e della morte. Nello studio si crea un silenzio irreale. "È proprio questo" spiega "il momento in cui preferisco raccontare le mie storie, perché quando si è tristi, si è chiusi; quando si è felici invece si è più aperti a sentire".

Il suo intervento nel programma di Maria De Filippi parte da un frammento dal documentario premio Oscar Caschi bianchi, per parlare della guerra "a tre ore di volo da qui" che in sei anni ha causato oltre 450mila vittime, e dei migranti. Nei giorni della feroce polemica sul ruolo delle Ong (con il vicepresidente del Senato Di Maio che ha definito “taxi del Mediterraneo” le navi impegnate nel salvataggio), Saviano mette al centro del racconto due storie esemplari, quella di Khaled Omar, 31 anni, volontario dei caschi bianchi che ha salvato centinaia di vite – ed è stato ucciso durante un bombardamento – e quella di Ileana Boneschi, 28 anni, l’ostetrica di Medici senza frontiere che fa nascere i bambini in situazioni estreme. Sotto le bombe o nei villaggi, al fianco delle donne stremate.
  La vita vince su tutto. Bella, sorridente, Boneschi ospite nello studio del talent show, racconta che fino a qualche anno fa, quando guardava Amici dopo la scuola, voleva diventare anche lei una ballerina. "Pensavo di entrare in Accademia. Poi ho capito che la mia vera passione era un’altra. Sono diventata un'ostetrica e ora lavoro in Paesi in guerra per aiutare le donne a diventare madri. Sono tornata dall’Iraq poche settimane fa. Ogni notte c’erano bombardamenti e a ogni esplosione mi chiedevo cosa pensassero le donne incinte sotto quelle bombe, tra una contrazione e l’altra, quando iniziava il travaglio. Se riuscivano a raggiungere il nostro ospedale, cercavamo di tenerle il più a lungo possibile fuori dal raggio dei mortai. Se invece non riuscivano ad arrivare, partorivano da sole, al freddo, senza niente per tagliare il cordone ombelicale se non pezzi di lamiera".

"Il loro coraggio" continua Ileana "mi ha ricordato quello delle donne che in Sud Sudan, da anni, di notte, si nascondono nella palude per proteggersi dai soldati. Devono tenere i bimbi piccoli in braccio perché l'acqua arriva alle spalle, con il rischio di essere attaccate da serpenti e coccodrilli. Sono donne esauste, malnutrite, ma fortissime. Nonostante le difficoltà che queste mamme sono costrette a vivere in guerra, dopo il parto la prima espressione che vedi suoi loro volti e sui volti di tutte le persone che sono lì, è sempre di gioia. Perché è nato un bambino. È nuova vita e una speranza".
 
"Qui a casa abbiamo bisogni, ma abbiamo molte più risorse per soddisfarli. Mentre lì ci sono solo bisogni" risponde con semplicità a chi le chiede cosa la spinga a partire. "Quando sento che con il nostro lavoro riusciamo a fare la differenza, è lì che arriva l’energia per aiutare le mamme e i bambini. In guerra ancora più che altrove, sono veri eroi". Prima di entrare in scena era intimidita, poi appare, così minuta, forte di una forza vera. Il pubblico, commosso, non smette di applaudire.

Era un eroe anche Khaled, casco bianco che riporta alla luce, tra le macerie, un neonato di dieci giorni rimasto intrappolato. Scava a mani nude. "Dopo 16 ore, questo è quello che accade" dice Saviano e sul maxi schermo appare Khaled Omar con il bambino. E' salvo, come se fosse nato la seconda volta. Tutto il pubblico ha le lacrime agli occhi. "C’è una domanda che spesso viene posta ai migranti quando vengono soccorsi dai naufragi in mare: 'Ma lo sapevi che avresti rischiato la vita affrontando un viaggio del genere?'", spiega lo scrittore "e la risposta è quasi sempre la stessa: 'Tentando il viaggio sapevo di rischiare la vita, ma restando nel mio Paese ero sicuro di perderla'. C’è una frase che sentiamo ripetere quando si parla di immigrazione: 'Aiutiamoli a casa loro'. È diventata una specie di scudo per chi vorrebbe impedire l’arrivo degli immigrati, come dire: 'Non dico di non aiutarli, ma di aiutarli a casa loro'. È una frase che di per sé non sarebbe negativa, anzi. In fondo stiamo parlando di dare aiuto. Il problema è che nella stragrande maggioranza dei casi rimane una frase vuota, dietro a cui non c’è nulla. Ma aiutare significa collaborare, occuparsi del problema. Per capire cosa sta succedendo 'a casa loro', bisogna conoscere le storie".

Le storie parlano, i ragazzi ascoltano. De Filippi li ringrazia per il rispetto che dimostrano. Saviano saluta: "Per questo è bello rivolgersi ai più giovani e continuo a venire qui".