FARE SPORT MI SCARICA IL FISICO E MI RICARICA LA MENTE, SVUOTANDOLA

 

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Non sono sempre stato uno sportivo, anzi, fare sport mi creava una sorta di ansia da prestazione che non permetteva di godere a pieno del momento; ho passato gran parte della mia adolescenza a maltrattare il mio corpo, lo sport lo trovavo una fatica inutile, un metodo di aggregazione sociale che disgregava la mia anima, una sorta di sacrificio in cui non gareggiavo con gli altri ma solo e puramente con me stesso e le mie presunte incapacità.

Gli sport che ho praticato da piccolo sono sempre stati di squadra, resistevo pochi giorni e poi abbandonavo miseramente l’impresa colpevolizzandomi di non essere capace e vedendo troppa (inesistente) bravura negli altri.

 Dalla pallavolo, al Karate fino ad arrivare al pattinaggio non sono mai stato a mio agio nel lavoro di squadra soprattutto quando si trattava di fare uscire la competizione, cosa che non ho mai sopportato, anche quella sana del cosiddetto Fair play, forse perché non ero consapevole delle mie capacità o forse perché la fiducia in me stesso è sempre stata minata da qualcuno o qualcosa.

 Mi sentivo giudicato, incapace, goffo e troppo non competitivo per poter portare a casa i risultati sperati (dagli altri).

Ho iniziato a gettare la spugna con lo sport di squadra quando ero poco più che un bambino per poi riprenderlo in modo individuale poco più tardi e innamorarmene perdutamente.

Nel frattempo maltrattavo il mio corpo, prima in senso bulimico (ma senza provocarmi il vomito) e poi dopo qualche anno dell’esatto opposto, in senso anoressico.

Mangiavo qualunque cosa, tutto era commestibile e più mangiavo e più avevo fame; probabilmente (lo capii dopo qualche anno) dovevo compensare più di qualche carenza, d’affetto (in primis verso me stesso), d’amicizia, d’amore e semplicemente accettare il mio vero essere e fare la pace.


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Tutto questo dagli 8 ai 13 anni,  periodo in cui tutti mi dicevano: “vedrai, con lo sviluppo come ti sfini”, a me non importava, i miei migliori amici erano i videogiochi, i gelati, il cibo e ultima ma non meno importante, la musica, forse è proprio lei ad avermi dato il più grande aiuto.

Bullismo, risatine e nomignoli da parte dei compagni di classe non facevano altro che acuire quel senso di inadeguatezza sempre in agguato, quel vuoto interno che dovevo colmare dall’esterno; presto arrivai a pesare 95 chili per una misera altezza di un metro e 40 mentre mi trovavo a dover relazionarmi per forza di cose e timorosamente con adolescenti belli, sportivi, sicuri e diciamolo… pure stronzi.

Le cose iniziarono a cambiare in un’estate, quell’estate di passaggio dalle scuole medie alle superiori in cui il mio corpo iniziò a ribellarsi a quella sofferenza crescendo di svariati centimetri in altezza (ricordo che passavo notti intere a posizionarmi impacchi di ghiaccio sulle gambe a causa delle fitte lancinanti che quell’allungamento osseo improvviso mi provocava) e quel grasso che mi aveva reso un fagotto insicuro, timido e perennemente sudaticcio cominciò a posizionarsi in modo più omogeneo nel corpo regalandomi una figura più snella e quasi normo peso.

Da lì, vedendomi migliorato, iniziò il calvario dell’anoressia nervosa, un periodo in cui quel poco che mangiavo non doveva essere assolutamente assimilato dal mio corpo, quindi le dita in gola e la genuflessione davanti al water erano prassi di ogni giorno.

Non contento, ogni sera, armato di cuffie nelle orecchie, macinavo una trentina di chilometri di corsa lungo gli argini dei fiumi e le stradine di campagna, meno persone vedevo e mi vedevano, meglio era.

Avevo bisogno di stare solo, concentrarmi a smaltire quella poca massa grassa che mi era rimasta addosso, dovevo essere magro e snello come i ragazzi che avevo nella mia classe con i loro fisici asciutti e composti solo da acerbi muscoli nervosi e guizzanti.


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La pressione di dover essere magro ed atletico per adeguarmi ai canoni estetici dell’esteriorità sociale mi condusse sempre più in un circolo vizioso, ansia = corsa / corsa = pensieri / pensieri = ansia che poi è sfociata in quello che è definito il disturbo ossessivo compulsivo (di cui potete leggere in quest’altro mio post) comunque ne uscii vincente e questo fu uno dei più grandi traguardi per me stesso.

Forse è per questo motivo che quando vedo una persona pesantemente obesa o in anoressia conclamata mi viene voglia di prenderla a ceffoni per farla reagire, si mi incazzo, perché la maggior parte delle volte (ho detto la maggior parte delle volte, non in tutti i casi) il nostro fisico è lo specchio della nostra sofferenza mentale e solo facendo un grande lavoro su noi stessi, conoscendoci in profondità e accettandoci se ne può uscire.

Passati quegli anni di sofferenza fisica ed emotiva, ora mi rendo conto che  non potrei vivere senza sport, è diventato la mia droga buona, mi serve per scaricare il fisico e ricaricare la mente e paradossalmente a svuotarla dai pensieri negativi ed arricchendola con nuove idee e sogni più freschi.

Lo sport è una sorta di regola per riequilibrare il tutto fuori e dentro di me, che si tratti di una pedalata in bici, di una corsa sotto il sole di Giugno o in mezzo alla nebbia invernale, di alzare qualche peso in palestra, di fare una quarantina di vasche in piscina, lo sport è un piacere, dona quell'euforia che mi serve, alleggerisce in tutti i sensi e mi diverte.


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Mi rattristo solo nel vedere invasati che lo prendono come se fosse un lavoro obbligatorio; contano calorie nel cibo, mangiano tristemente tutto pesato, sgrassato e filtrato e guai i carboidrati sono il male! Poveretti…

Indemoniati che sono perennemente con gli occhi sul cardio frequenzimetro per non perdere il ritmo nella corsa, con le vene in evidenza in cui scorre chissà quale bibitone trangugiato prima dell’allenamento, gente che pur di alzare l’equivalente del proprio peso in dischi di piombo rischiano di farsi venire un’ernia.


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Se non riesco a fare sport durante la settimana mi prende una sorta di isteria, mi sento nullafacente, forse lo sport più che una disciplina fisica per me è una disciplina mentale che riordina le idee con metodo, impegno e costanza dando anche una botta di vitalità al fisico, quel fisico che ho imparato a curare e ad amare.


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T shirt e pantaloncini: Kaleji

Scarpe: Everlast