Pedro Almodóvar e la forza delle donne

Il regista spagnolo si racconta su GQ di marzo, a 20 anni dal trionfo di «Tutto su mia madre» e poco prima dell'uscita di «Dolor y gloria», il suo 21esimo film. Ecco un estratto dell'intervista
Pedro Almodóvar i film e le donne

Colpo di teatro di Pedro Almodóvar. Che stesse girando il suo ventunesimo film, Dolor y gloria, si sapeva. Un po’ meno invece sulla storia e la data di uscita nelle sale. Ma all’improvviso annuncia che è tutto pronto, che il 22 marzo gli spagnoli potranno ammirare il suo lavoro, che a maggio sarà in Italia. Storiona di famiglia, molto autobiografica. Proprio 20 anni dopo (gli stessi che compie quest’anno GQ), quel Tutto su mia madre che gli fece vincere il premio per la miglior regia sulla Croisette.

Perché nel suo lavoro si è concentrato così tanto sulle donne forti e sui transessuali?

«Penso che questo derivi dalla mia biografia. Durante gli anni della mia formazione, sono vissuto circondato da donne, donne forti e combattenti. Le donne sono più sorprendenti e meno pudiche, due qualità che arricchiscono sempre i personaggi. Sono più poliedriche degli uomini, e in Spagna ci sono sempre state migliori attrici che attori, come diceva Lorca, e aveva ragione. Gli uomini sono più tutti d’un pezzo. I film che ho realizzato dove vi sono uomini come protagonisti sono più dark di quelli in cui i personaggi principali sono donne. Riguardo ai transessuali, fanno parte delle mie storie perché anche loro sono stati parte della mia vita. Sono persone che ammiro per il loro coraggio; fortunatamente la società spagnola si è evoluta molto al riguardo, i transessuali non vivono più emarginati come negli anni Ottanta e in generale possono gestire il loro cambiamento all’interno della famiglia. A eccezione dei settori più reazionari e della Chiesa, la famiglia spagnola sa come affrontare il problema se ci sono un figlio o una figlia transessuale, e questo è un cambiamento molto importante. Nei miei film compaiono perché, oltre a esercitare una sorta di giustizia poetica, il transessuale è un elemento che drammaticamente dinamizza la storia che stai raccontando».

Con Julieta, il suo ventesimo film, è tornato al cinema al femminile: perché l’affascina così tanto?

«Da due o tre anni stavo lavorando a tre racconti di Alice Munro contenuti nella sua raccolta In fuga (Runaway). Ci ho messo molto tempo per adattarli al cinema; nei racconti della Munro è più importante ciò che non viene detto o che si può leggere tra le righe. I racconti trattano del dolore di una madre davanti all’abbandono, senza alcuna spiegazione, da parte della sua unica figlia e del senso di colpa che questo le provoca. Ho trovato la chiave giusta quando ho deciso di ambientare la storia in Spagna, un Paese per alcuni aspetti molto diverso dal Canada in cui si svolgeva la vicenda originale, soprattutto per quel che riguarda la famiglia. Nell’adattamento alla geografia spagnola e alla nostra cultura mi sono discostato dai racconti, ma credo che il tono abbia rispettato lo spirito di Alice Munro. Ho deciso che sarebbe stato un film sobrio, molto contenuto; ho cercato di uscire dalla mia natura barocca. Niente canzoni, niente ironia. E per me è stato un cambiamento gradito».

Le donne hanno più carattere degli uomini?

«Le donne sono state ridotte al silenzio per secoli, perciò hanno molte più cose da dire rispetto agli uomini. Non so se abbiano più carattere (in spagnolo “avere molto carattere” è un’espressione negativa, si dice di persone che non sopportano chi non è d’accordo con loro). Credo che le donne (sempre parlando in termini generali) siano più aperte al dialogo, abbiano meno paura di riconoscere i loro errori ed entrano più facilmente in sintonia con il prossimo. Sono più tolleranti e hanno meno pregiudizi. Le donne hanno più registri emotivi perché hanno meno barriere degli uomini...»

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Foto di Nico Buscos. Abiti e accessori Givenchy. Stylist: James Valeri @ Artlist. Grooming: Pablo Iglesias @ Talents. Design: Toni Aragon @ Cobalto Studio