2 agosto 2018 - 21:59

Foodora dice addio all’Italia: «È difficile, meglio vendere»

«La nostra strategia è quella di operare in modo economicamente efficiente - ha fatto sapere il cofondatore Emanuel Pallua - con focus su crescita e posizione di leadership in tutti i mercati in cui opera. In Italia questo obiettivo è ora difficile da raggiungere»

di Corinna De Cesare

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Foodora lascia l’Italia. E il tema su cui ha insistito sin da subito il ministro Luigi Di Maio facendo diventare, quello dei rider, l’argomento d’attualità dell’agenda politica dell’ultimo mese e mezzo, si incrina sui numeri. Perché se è vero che il business del «food delivery» ha grosse potenzialità (un mercato di 83 miliardi di euro a livello mondiale secondo una ricerca McKinsey), si scontra in alcuni paesi con una diffusione limitata e con pochissimi margini di guadagno: in Italia si tratta di un mercato da 2 miliardi di euro, penetrato soltanto del 3% e con moltissima concorrenza. Foodora dunque lascia e a ufficializzarlo ieri è stata una nota della capogruppo Delivery Hero.

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«La nostra strategia è quella di operare in modo economicamente efficiente — ha fatto sapere ieri il cofondatore Emanuel Pallua — con focus su crescita e posizione di leadership in tutti i mercati in cui opera. In Italia questo obiettivo è ora difficile da raggiungere con investimenti ragionevoli». Dichiarazioni che non fanno riferimento al quadro normativo italiano e al tavolo di lavoro aperto con il governo per maggiori tutele contrattuali sui fattorini. E su cui, nei mesi scorsi, si era pronunciato in maniera molto critica l’amministratore delegato di Foodora Italia, Gianluca Cocco, parlando a proposito di una bozza del decreto Dignità: «Saremo costretti ad abbandonare l’Italia» aveva annunciato (qui, il servizio del Corriere della Sera sullo scontro tra il manager Foodora e il ministro Di Maio). I toni poi si erano smorzati eppure l’addio ci sarà davvero e non solo all’Italia ma anche ad Australia, Olanda e Francia. «Siamo consapevoli — ha aggiunto Pallua in una nota — dei risultati raggiunti finora (in Italia, ndr) per cui stiamo valutando possibili acquirenti».

La vendita potrebbe riguardare la base clienti e i contratti con i ristoranti di Foodora, non il marchio e neanche la base rider. E a essere interessati all’operazione potrebbero essere proprio i servizi di consegna concorrenti, da Deliveroo a Glovo, che in questo modo riuscirebbero a consolidare la propria fetta di mercato italiana. Nel frattempo la piattaforma continuerà a funzionare anche se a questo punto bisognerà vedere come si comporteranno i rider vestiti di rosa. Se dietro l’addio di Foodora ci sia o meno l’inizio di uno scricchiolamento della cosiddetta «gig economy», l’economia dei lavoretti su cui il ministro Di Maio ha aperto un tavolo di confronto, si vedrà. «Il food delivery è un servizio di fattorini, un lavoro vecchissimo a cui è stata data un’enfasi ingiustificata come se fosse il lavoro moderno — spiega Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategia alla Sda Bocconi — è un business in forte crescita ma solo in alcune aree metropolitane e ha bisogno di volumi di traffico elevati per giustificare i costi fissi. Evidentemente in questo caso non sono stati raggiunti».

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