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LA «GUERRA IN CASA» Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento ERMINIO FONZO Nella provincia di Benevento1, come in molte altre località italiane, la guerra arrivò nell’estate del 1943, dopo lo sbarco alleato in Sicilia. Il capoluogo sannita si trovava in una posizione strategicamente rilevante, perché posto sulla linea stradale e ferroviaria che collega Napoli alla Puglia, e nel luglio del ’43 molti reparti della Wehrmacht transitarono sulle strade vicine al centro urbano. Vi si trattenne un piccolo nucleo, che si unì al debole presidio del Regio Esercito comandato dal colonnello Francesco Moccia, il quale dal 1941 era alla testa della scuola militare «Nunziatella», trasferita provvisoriamente da Napoli a Benevento. Prima dell’armistizio la presenza dei soldati tedeschi, anche a causa del loro esiguo numero, creò pochi problemi. Il 25 luglio, anche nel Beneventano, la caduta del fascismo fu salutata con manifestazioni di giubilo e devastazioni delle sedi del PNF. Sin dal 1940, smaltito l’entusiasmo per la «proclamazione dell’impero», il consenso per il regime era iniziato a diminuire e nel 1943, in seguito alle disastrose sconfitte militari, si era completamente eroso. La caduta di Mussolini fu accolta ovunque con soddisfazione e in molti paesi i cittadini scesero in piazza per festeggiare2. Il fascismo si dissolse come neve al sole: a Benevento, come in altre realtà dell’Italia meridionale, esso era stato un movimento «importato» dall’esterno, al quale la popolazione e la classe dirigente si erano adeguate per necessità e per conformismo; era stato per lo più un’operazione trasformistica, grazie alla quale molti esponenti della vecchia élite, che già avevano dominato la vita sociopolitica negli anni dello Stato liberale, conservarono le redini del potere3. Pertanto la caduta del Duce non creò rimpianti in nessuno, tranne che nei gerarchi locali che fino ad allora avevano spadroMERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 71 Erminio Fonzo neggiato. Il 25 luglio, però, non rappresentò la fine delle angosce per i cittadini sanniti. Il 20 agosto, dopo che gli anglo-americani avevano conquistato la Sicilia e si apprestavano a invadere l’Italia meridionale, Benevento fu bombardata per la prima volta. L’obiettivo degli aerei alleati era la stazione ferroviaria, ma fu colpita tutta la parte bassa della città e 140 persone persero la vita. La stessa zona fu bombardata nuovamente il 27 agosto e il 7 settembre4. Nel tardo pomeriggio dell’8 settembre, quando fu annunciata la fine delle ostilità, la popolazione festeggiò fino a tarda notte in tutta la provincia, convinta che la guerra fosse finita, ma dovette presto disilludersi, perché stava per iniziare la terribile occupazione tedesca. Numerosi reparti dell’esercito germanico, appartenenti alla divisione corazzata Hermann Göring, attraversarono Benevento e le zone limitrofe. In un primo momento non occuparono la città, ma assunsero immediatamente un atteggiamento ostile verso la popolazione e iniziarono a compiere furti e saccheggi. Improvvisamente il «camerata Richard» si era trasformato in nemico, un nemico particolarmente infuriato perché riteneva gli italiani colpevoli di tradimento. In alcuni casi i militari del Regio Esercito tentarono di opporsi e nella giornata del 9 settembre si scontrarono tre volte con la Wehrmacht nel capoluogo: due conflitti a fuoco avvennero nel centro cittadino, perché i tedeschi avevano iniziato a requisire indebitamente le autovetture, e uno al di fuori dell’abitato, all’incrocio delle strade per Napoli, Foggia e Campobasso. L’episodio più rilevante dei tre avvenne nel pomeriggio sul corso Garibaldi, la strada principale di Benevento, dove un manipolo di tedeschi, che stava andando a impossessarsi del garage Zoppoli, fu affrontato da un plotone del Regio esercito. I militari italiani ebbero la meglio e, pur avendo subito una perdita, riuscirono a impedire la requisizione degli automezzi5. Nonostante questi tentativi di resistenza, l’esercito del Terzo Reich occupò facilmente tutta la provincia, poiché la maggior parte dei militari italiani abbandonò le proprie postazioni all’annuncio dell’armistizio6. Dopo l’8 settembre, com’è noto, la Wehrmacht iniziò a disarmare l’esercito italiano sia in Italia sia nei territori dove era presente come forza d’occupazione. Nel Sannio, come in tutta l’Italia meridionale, la maggior parte dei soldati ebbe la possibilità di sottrarsi alla cattura e al conseguente internamento in Germania, giacché le truppe tedesche erano impegnate a contrastare l’avanzata degli Alleati7. Non fu possibile, però, impedire l’occupazione del territorio. A Benevento già la sera del 9 settembre i militari italiani non poteMERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 72 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento rono impedirono tutte le razzie. I tedeschi saccheggiarono la ditta Alberti, lo stabilimento aeronautico, varie oreficerie e alcune autorimesse, giovandosi anche del sostegno del pregiudicato beneventano Amedeo Manna che, indossata la camicia nera, prese a scorrazzare per il corso Garibaldi per vantare la sua fedeltà ai nazisti e minacciare la popolazione. Manna trovò anche il modo di guidare la Wehrmacht al saccheggio della ditta Alberti, ma poco dopo fu arrestato dall’esercito italiano8. Nel pomeriggio del giorno 10 vi fu un’altra sparatoria tra soldati italiani e tedeschi nei pressi di piazza Orsini, con il ferimento di due soldati. I militari della Wehrmacht, inoltre, cominciarono a entrare nelle case private e ad appropriarsi dei beni che vi trovavano. Benevento fu occupata nel corso della mattinata dell’11 settembre. I tedeschi presero possesso di tutti gli edifici strategici: la prefettura, dove si trovava anche il comando del presidio del Regio esercito, il distretto militare, la caserma Guidoni, la questura, la stazione dei Reali Carabinieri, la sede delle Poste, gli Ospedali riuniti, dove aveva sede provvisoria la «Nunziatella». La scena fu la stessa ovunque: i soldati piazzavano le artiglierie e poi, armi alla mano, entravano negli edifici senza incontrare resistenza. Il colonnello Moccia fu catturato all’interno della prefettura, insieme a vari militari e civili. Condotto a Eboli, fu processato per aver chiesto rinforzi dopo l’armistizio, ma riuscì a scampare alla pena di morte grazie all’aiuto di un interprete austriaco. Furono catturate numerose altre personalità, che furono rilasciate quasi subito, ma non fu preso il prefetto, Italo Mormile, che era riuscito a mettersi in salvo insieme alla moglie9. Nel corso della stessa giornata, poco dopo le 14, Benevento subì anche un pesante bombardamento aereo. In molti paesi della provincia si ripeterono le stesse scene del capoluogo: disarmo dell’esercito e dei carabinieri, requisizione degli automezzi pubblici e privati, occupazione degli edifici importanti. Tutti i comuni del Sannio, con l’eccezione di Apollosa, Pietraroja e Tocco Caudio, furono occupati10. Gli Alleati, dal canto loro, cominciarono a risalire la penisola e a liberare progressivamente il territorio. Nel Beneventano operarono sia la 5a armata statunitense, comandata dal generale Mark Clark, che si diresse sul capoluogo e sul territorio situato a ovest e a sud, sia l’8a armata inglese, agli ordini del maresciallo Bernard Montgomery, che liberò il territorio a nord-est del capoluogo. Nei primi giorni l’occupazione tedesca fu relativamente blanda: i soldati si limitarono a requisire automezzi, a saccheggiare edifici, a usare prepotenze verbali e a costringere i cittadini a inneggiare al fascismo. Con il passare dei giorni la situazione si fece più difficile, soprattutto MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 73 Erminio Fonzo nel capoluogo, sconvolto dai continui bombardamenti aerei, che provocarono l’esodo pressoché totale degli abitanti. Inoltre alcuni personaggi poco raccomandabili approfittarono della situazione e, schieratisi dalla parte dei tedeschi, presero a tormentare la popolazione. Tra essi vi era il citato Amedeo Manna che, scarcerato dopo l’occupazione della città, fece liberare altri detenuti e, insieme a loro, si pose al servizio dell’esercito del Terzo Reich, autonominandosi prefetto e terrorizzando la popolazione11. Nella seconda decade di settembre il capoluogo divenne teatro di continui saccheggi, effettuati sia dalla Wehrmacht sia dalla popolazione, soprattutto quella delle campagne circostanti, che prese a recarsi a Benevento e ad asportare i beni dalle case abbandonate. I magazzini sul corso Garibaldi furono svaligiati completamente, così come la caserma Guidoni, la scuola militare e numerosi altri edifici. Questi atti non solo non erano contrastati, ma erano persino incoraggiati dai tedeschi che, dopo aver preso quello che gli interessava, non si preoccupavano minimamente di fermare le altre razzie. In alcuni casi, come al collegio delle suore Battistine, filmarono la scena per avere materiale a disposizione per la propaganda e per poter attribuire la responsabilità delle ruberie alla sola popolazione locale12. Nei paesini circostanti gli sfollati erano numerosissimi. Tra essi vi erano l’arcivescovo Agostino Mancinelli, che si era rifugiato a Sant’Angelo a Cupolo, e vari prelati. Si diffondevano continuamente notizie false o inesatte, giacché non c’erano giornali, e si attendeva con ansia l’arrivo degli Alleati. I generi alimentari scarseggiavano e chi poteva se ne accaparrava ingenti quantità. Il 19 settembre il comando del XIV corpo d’armata della Wehrmacht ordinò che il vettovagliamento delle truppe avvenisse a spese degli italiani e dispose che le campagne fossero depredate di carne, ortaggi e quant’altro servisse all’esercito occupante. La direttiva specificava esplicitamente di «agire senza scrupoli». I soldati non si fecero pregare e iniziarono a saccheggiare le case private, a requisire i generi alimentari, a depredare i campi, a sequestrare o abbattere il bestiame, ad appropriarsi della merce conservata nei negozi e nei depositi. Oltre ai saccheggi eseguiti per ordine dei comandi, si verificavano frequenti ruberie «private» dei militari, che approfittavano della forza delle armi per impossessarsi di gioielli, denaro e quant’altro riuscissero a trovare. Queste razzie erano tollerate dagli ufficiali e solo in pochissimi casi i responsabili furono puniti. I tedeschi non mancarono di interessarsi dei pochi impianti industriali della provincia. Il 13 settembre a Berlino era stato emanato un MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 74 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento «ordine del Führer» che prescriveva di sfruttare le risorse dell’Italia per l’economia bellica13. Anche il Sannio, sebbene fosse poco industrializzato, fu interessato da queste misure: a Benevento, come si è detto, furono saccheggiati la ditta Alberti e varie altre fabbriche, non solo quelle di importanza bellica; nel comune di Piedimonte di Alife fu depredato uno stabilimento delle Manifatture Cotoniere Meridionali14. Tra le atrocità compiute dalle truppe di occupazione non mancarono casi di stupro15. La più odiosa delle misure messe in atto dagli occupanti, però, fu la deportazione degli uomini per il servizio di lavoro obbligatorio. La Germania nazista, oltre ad appropriarsi dei beni materiali, voleva sfruttare anche il «capitale umano» dell’Italia e il 17 settembre il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo dell’Oberkommando der Wehrmacht, ordinò di dare la caccia ai lavoratori, conferendo ai militari «libertà di prendere tutte le misure necessarie». I rastrellamenti non erano la prima preoccupazione dei tedeschi, impegnati soprattutto a fronteggiare l’avanzata anglo-americana, ma, ciò nonostante, trovarono il modo di occuparsi anche delle deportazioni16. Nel Sannio tale misura fu messa in atto in numerosi paesi della parte occidentale della provincia, sempre con la stessa prassi: si cercava di convincere gli uomini a consegnarsi spontaneamente, con la promessa di un lavoro ben retribuito, e, all’inevitabile rifiuto, si rispondeva con il rastrellamento. I soldati si recavano nelle abitazioni e, sotto la minaccia delle armi, costringevano gli uomini (in genere quelli di età compresa tra i 16 e i 40 anni, ma in molti casi furono catturati anche i più anziani) a seguirli. La reazione degli abitanti fu quasi sempre la fuga nei boschi e nelle campagne, ma questo non riuscì ad impedire che alcune razzie andassero a buon fine. Spesso i rastrellati, sostenuti dalla popolazione e favoriti dai combattimenti in cui erano impegnati i tedeschi, riuscirono a scappare dopo la cattura. A San Salvatore Telesino la razzia fu effettuata all’alba del 9 ottobre. Così l’ingegnere Camillo Porzio, uno dei catturati, racconta l’accaduto: Alle sei del mattino, nel mentre pioveva a dirotto e incominciava a far giorno, la soldataglia tedesca apriva col calcio dei moschetti tutti gli usci delle abitazioni del paese, dopo aver annunciato il suo arrivo con lo sparo di colpi di fucile. Da padroni, con le armi spianate sul viso delle povere donne che tremanti li accoglievano, chiedevano degli uomini e dei ragazzi. Procedevano così alla razzia degli uomini dai 15 ai 60 anni, non senza essersi prima impossessati degli oggetti di valore e del danaro che trovavano a portata di mano. Alle povere donne e ai razziati non fu detta la ragione, qualche soldato si limitò a dichiarare che occorreva dare degli esempi, che cinquanta dovevano essere fucilati. Gli uomini e i ragazzi così razziati venMERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 75 Erminio Fonzo nero quindi concentrati nella piazza del paese, circondata da mitragliatrici con il nastro delle pallottole in canna17. Molti uomini riuscirono a mettersi in salvo nelle campagne, ma i tedeschi minacciarono di fucilare tutti quelli che non si consegnavano immediatamente. Così si recarono nella piazza altre persone, tra le quali il segretario locale del PNF, Alfredo De Luise, che mostrò la tessera del partito e chiese di essere lasciato andare, ma fu deportato ugualmente. Complessivamente furono catturati 128 uomini, appartenenti a varie categorie sociali. Fu loro ordinato di incamminarsi e, sotto l’occhio vigile dei soldati, percorsero a piedi sei chilometri, prima di trovare degli autocarri che li condussero al carcere di Piedimonte D’Alife. Non fu dato loro niente da mangiare, mentre i soldati consumavano gli alimenti dei quali si erano impossessati in precedenza nel paese. I rastrellati restarono in carcere per quattro giorni, durante i quali erano portati in gruppi di trenta a svaligiare lo stabilimento della MCM. Riuscirono a scappare proprio fingendo di recarsi in fabbrica, dopo che un maresciallo dei carabinieri aveva fatto credere ai tedeschi di condurli al lavoro, e 124 tornarono a casa dopo un’estenuante marcia sulle montagne. Gli altri quattro fuggitivi, tutti ragazzi tra i 14 e i 16 anni, furono scovati dai soldati germanici nella chiesa di San Francesco di Faicchio e fucilati immediatamente18. Scene come quella di San Salvatore si susseguirono in molti paesi. Ad Arpaia, per esempio, un imprecisato numero di cittadini fu rapito e portato nel campo di concentramento di Sparanise, da dove la maggior parte riuscì a scappare. Tra i deportati del comune di Durazzano si trovava un sottotenente di complemento, Gennaro Di Fiore, che nel dicembre del 1943 scrisse una relazione sull’episodio, narrando così l’accaduto: Alle ore 8 del giorno 25/9/1943 fui avvisato da mia moglie che i tedeschi, circondato il paese (Durazzano, prov. di Benevento) e bloccato ogni via di scampo per raggiungere la montagna, stavano operando il rastrellamento dei giovani dai 16 ai 40 anni per poi avviarli ai diversi campi di concentramento, onde farli lavorare. Mio cognato, Giuseppe Buongiovanni, commerciante con negozio alla Via Vergini, il Signor Carmine Auriola e io non sapevamo dove nasconderci per sfuggire alle orde tedesche che, dopo appena 30 minuti violando il nostro domicilio, puntando la pistola ci intimarono di seguirli. Lascio capire il grande dolore delle nostre famiglie e dei nostri bambini i quali furono derisi, offesi e sballottolati dalla canaglia tedesca. Fummo condotti al campo di concentramento di Sparanise. […] Non trovo termini adatti per descrivere lo stato di abbandono di quel campo e MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 76 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento la noncuranza tedesca verso gli Italiani. Circa 20.000 uomini di tutte le classi, di ogni mestiere e professione erano tenuti a bada da frustate e colpi di pistola peggio delle fiere in un circo equestre, senza alcun alimento. È vero che distribuivano circa 20 grammi di una dubbia marmellata con una fetta di pane duro al giorno ma ciò non può chiamarsi vitto. Non accenno all’acqua perché c’era un unico pozzo carico di vermi e oltre a rischiare una eventuale infezione si poteva ricevere una schioppettata dai tedeschi o peggio essere trasferito per destinazione ignota19. A Caiazzo le deportazioni iniziarono il 27 settembre e provocarono la morte di alcuni rastrellati che avevano cercato di scappare. Anche in questo caso quasi tutti i prigionieri, portati in un campo di concentramento a Cassino, riuscirono a evadere. Nel piccolo paese di Castel Campagnano i razziati furono ben 220, prelevati tra il primo e l’undici ottobre. Molti di essi fuggirono dopo la cattura. A Paolisi circa 150 cittadini, tra i quali numerosi anziani e l’unico medico condotto del paese, furono catturati e costretti a una lunga marcia a piedi. Alcuni riuscirono a scappare durante il tragitto, altri in seguito. Durante il rastrellamento fu ferito un soldato tedesco e, per reazione, furono presi quattordici ostaggi, che non furono fucilati, perché il presunto autore del ferimento si consegnò e fu ucciso con un colpo di pistola alla testa. A Telese Terme furono razziate 124 persone. Condotte a Faicchio, furono fatte salire sui camion per raggiungere Alife ma, mentre erano in cammino, un bombardamento alleato permise a molti di loro di fuggire. Gli altri furono inviati a Cassino. A Gioia Sannitica 50 uomini furono catturati il 9 ottobre e portati ad Alife, dove furono rinchiusi nei locali della Gioventù italiana del littorio, ma riuscirono a fuggire la sera stessa, sfruttando il caos creato da un bombardamento. Alcune persone furono razziate anche a Dragoni e nella frazione di Maiorano di Monte, dove il rastrellamento fu effettuato il 23 settembre. Furono catturati undici uomini che, condotti in Austria, poterono rientrare a casa solo nel maggio del 1945. Rastrellamenti furono effettuati anche nei comuni di Ruviano, dove 200 persone furono mandate a scavare le trincee della linea Gustav, ma poterono tornare dopo poco tempo; Limatola, dove le razzie si susseguirono per vari giorni, dal 3 al 6 ottobre; Alvignano, dove alla fine di settembre furono catturati circa 200 uomini, ma riuscirono a tornare a casa dopo pochi giorni; Frasso Telesino; Melizzano (nella frazione di Dugenta); Alife; San Potito Sannitico; Piedimonte d’Alife e Sant’Angelo d’Alife20. Le razzie e le altre atrocità compiute nel Sannio furono rilevate anMERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 77 Erminio Fonzo che dalla Commissione alleata di controllo, che il 22 novembre 1943 ricevette queste informazioni dalla legione dei carabinieri di Napoli: During the period of German domination and while they were retreating, they passed through communes of this section and they looted and destroyed many houses, cultivated land and farms by setting them on fire or with mines. […] To the disadvantage of the population, they state there were many cases of robberies, such as stealing of bulls, cows, sheeps, and poultry. There were numerous cases of forced labor and professional people and magistrats as well were thus engaged21. Durante l’occupazione aumentarono i bombardamenti aerei, perché gli Alleati, dopo lo sbarco a Salerno, intendevano ostacolare la ritirata del nemico ed impedire l’afflusso di rinforzi22. Benevento, già attaccata quattro volte tra il 20 agosto e l’11 settembre, subì altri dieci bombardamenti tra il 12 settembre e il primo ottobre23. I danni furono pesantissimi: tutti i palazzi del corso Garibaldi furono distrutti o danneggiati; l’area nei pressi del Duomo fu quasi completamente rasa al suolo, compresa la parte alta del rione Triggio; nella zona oltre il ponte sul Calore, il viale Principe di Napoli e il rione Ferrovia erano diventati cumuli di macerie. Meno ingenti erano i danni al viale Mellusi, al viale degli Atlantici, al rione Creta Rossa e alla parte alta della città, che era stata colpita poche volte. Le bombe colpirono ripetutamente il Duomo, che fu distrutto quasi completamente (restarono in piedi solo la torre campanaria, il portale in bronzo e alcune colonne portanti). La popolazione era sfollata e perciò, dopo il primo bombardamento, vi furono poche vittime, tra le quali alcuni abitanti delle campagne che si erano recati in città per saccheggiare gli edifici abbandonati. Oltre al capoluogo, i bombardamenti interessarono numerosi altri comuni e furono frequenti soprattutto nell’area a ridosso del Volturno24. Anche i combattimenti tra le truppe germaniche in ritirata e gli Alleati in arrivo furono causa di distruzioni. La Wehrmacht, il cui unico obiettivo era rallentare l’avanzata angloamericana, abbandonò la maggior parte dei centri abitati prima che gli Alleati vi giungessero, e perciò non vi furono scontri. The enemy – si legge in un resoconto dell’esercito statunitense – made no serious effort to hold the ground south of the river [Volturno]. His tactics were to delay the advance of our troops with small mobile units while his engineers mined the roads and blew every culvert and bridge. Each day that he gained gave him additional time to strengthen his position north of the Volturno River25. MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 78 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 79 Erminio Fonzo Nondimeno i tedeschi cannoneggiarono vari paesi che erano stati liberati e impegnarono le truppe angloamericane in alcuni combattimenti. I primi lembi della provincia, quelli situati a sud-est, furono liberati all’inizio di ottobre. Nella notte tra il 30 settembre e il primo ottobre, quando le truppe di occupazione avevano lasciato da poco Napoli, sopraffatte dalla popolazione insorta nelle Quattro giornate, anche San Giorgio del Sannio, il centro più grande a sud di Benevento, fu lasciato libero. Nel capoluogo l’occupazione terminò il 2 ottobre senza combattimenti: l’ultimo drappello delle truppe occupanti si ritirò in mattinata, attraversando il ponte sul Calore, che poi fu fatto saltare con le mine. A mezzogiorno un plotone della 45a divisione americana entrò in città e l’indomani giunse il grosso delle truppe, costituto dal 133° reggimento della 34a divisione «Red Bull»26. Ai primi di ottobre si ebbe uno scontro a Fragneto Monforte. Ecco come un testimone oculare descrive l’apprensione dei cittadini e le manovre dei tedeschi nei giorni immediatamente precedenti la battaglia: Gli angloamericani sebbene assai lentamente si avvicinavano alimentando le speranze della liberazione e riuscivano in parte a confortare gli animi, ma la presenza dei tedeschi e l’opera devastatrice, alla quale dolenti ma impotenti si assisteva, era motivo di insostenibile angoscia. Ognuno era oppresso dall’incubo del momento, ognuno era vinto dal timore di un conflitto che da un momento all’altro poteva scoppiare. L’affluenza dei veicoli bellici si faceva, intanto, sempre più intensa. Giunti gli eserciti angloamericani presso Benevento, iniziò un ciclo di assaggi, che facevano presagire qualche cosa di grave. […] Intanto molte case furono occupate, nelle quali essi istallarono centri di controllo e di collegamento: il Palazzo Ducale, la casa Pellegrini, la casa Petrucciani, la Stazione ferroviaria; punti di osservazione il Piano Iannatico e il casello km 28 sulla strada mulattiera di Corpo di Cristo. Da Benevento giungevano intanto voci di devastazioni, di saccheggi e di rapine compiute nelle case e nei negozi. Carovane di vampiri, di notte tempo percorrevano le strade cariche di bagagli, di mobilia, d’ogni ben di Dio, di derrate, utensili, ferramenta. I Tedeschi effettuavano il loro piano di guerra scientifica. Camion condotti da tedeschi si succedevano nel paese per vendere oggetti, stoffe, indumenti, depredati a Benevento, sale e tabacchi, sottratti alle rivendite svaligiate27. Lo scontro si svolse tra il 6 e il 7 ottobre, con tiri di cannone e continui passaggi di aerei angloamericani, che suscitavano l’ansia della popolazione. Al mattino del giorno 7 le avanguardie alleate entrarono nel paese, dove ancora si trovava una retroguardia tedesca, e aprirono il fuoco. Sette soldati della Wehrmacht furono uccisi, provocando ulteriore MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 80 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento panico negli abitanti, che temevano che il nemico potesse vendicarsi bombardando Fragneto, il che non avvenne. A Castelvenere, nella valle telesina, gli abitanti erano fuggiti quasi tutti nelle campagne, ma i cannoneggiamenti alleati provocarono tre vittime tra il 9 e l’11 ottobre28. Il fronte si spostava progressivamente verso nord. La battaglia più importante che interessò il territorio della provincia di Benevento fu quella del Volturno. Il fiume, com’è noto, fu superato dagli Alleati il 12 ottobre, ma i tedeschi opposero una strenua resistenza anche dopo. Particolarmente tenace fu la difesa di Caiazzo, situata poco oltre il Volturno, che fu cannoneggiata per diversi giorni e liberata il 13 ottobre29. A Faicchio, situato sulla riva orientale del fiume, i cannoneggiamenti e i bombardamenti aerei durarono dal 10 al 16 ottobre, causando la morte di oltre 20 abitanti, la distruzione di trenta edifici e il danneggiamento di altri cento. I soldati della 45a divisione entrarono il 16 ottobre nel paese, che fu l’ultimo ad essere liberato tra quelli che fanno parte dell’attuale provincia di Benevento30. Nella stessa zona numerosi altri paesi furono colpiti. Per esempio Alvignano fu pesantemente cannoneggiato il 19 ottobre, con la morte di 28 persone31. Pochi giorni dopo la battaglia del Volturno la provincia di Benevento era completamente liberata in tutta l’estensione che aveva nel 1943: gli ultimi paesi in mano ai tedeschi, Ailano e Valle Agricola (oggi entrambi in provincia di Caserta), furono lasciati liberi il 28 ottobre32. Man mano che la Wehrmacht retrocedeva, i genieri procedevano nella loro opera di distruzione. La strategia stabilita a Berlino, infatti, prevedeva di fare terra bruciata per ostacolare le armate alleate che risalivano la penisola e il 18 settembre il feldmaresciallo Keitel diede ordine di distruggere le strade, le linee di comunicazione, le poste, i telegrafi, le stazioni radio, le fabbriche di importanza bellica e il materiale non trasportabile. La direttiva, passata alla storia come «ordine Nerone» (Nero befehl), specificava che bisognava compiere «senza alcuna indulgenza e riguardo, lo sgombero e la distruzione, memori dell’inqualificabile tradimento e del sacrificio di soldati tedeschi che tale tradimento è costato»33. Era la stessa tattica che i tedeschi stavano applicando in Russia e in altri contesti. In molte località dell’Italia meridionale le distruzioni furono ostacolate dal fatto che i genieri erano impegnati anche nella costruzione della linea difensiva Bernhardt34, ma nel Sannio, come in altre province campane, riuscirono a compiere la loro opera. Furono fatti saltare i ponti, le centraline elettriche e telefoniche e numerosi altri edifici, comprese abitazioni private il cui abbattimento poteva essere d’intralcio MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 81 Erminio Fonzo per l’avanzata angloamericana. Furono danneggiate anche le linee ferroviarie, in particolare la Benevento-Caserta, la ferrovia Alifana e la ferrovia Valle Caudina, dove furono fatte esplodere delle mine nei pressi degli scambi35. Nel capoluogo, inoltre, già il 21 settembre era stato fatto saltare il gasometro, provocando un’enorme esplosione e un vasto incendio36. A fronteggiare la Wehrmacht non era rimasto nessuno. L’esercito italiano, dopo la breve resistenza opposta all’indomani dell’8 settembre nel capoluogo, si sbandò completamente. Sia a Benevento sia nei paesi della provincia rimasero i carabinieri: Molti militari – sostiene una relazione dell’Arma – si rifugiarono in stazioni vicine, altri si sbandarono, non pochi rimasero col comandante del gruppo, agli ordini del quale provvidero a servizi vari, riuscendo a recuperare materiali saccheggiati. Vennero vigilati i depositi di cereali in città e repressi atti di saccheggio e fu contrastata l’attività di bande armate, comparse alla periferia dell’abitato. Il comando di gruppo dei carabinieri di Benevento, unico comando rimasto al proprio posto durante gli eventi, poté assolvere nel miglior modo il proprio dovere con pieno riconoscimento da parte delle autorità e della popolazione. Anche la strapotenza tedesca fu, in alcuni casi, contenuta e fu anche evitato il disarmo di militari, l’asportazione dei quadrupedi dalla stazione capoluogo e dei motomezzi. I militari delle stazioni rurali, salvo taluni casi limitati a qualche sede, ove i tedeschi ebbero ad agire con maggiore violenza, tennero in complesso contegno fermo e sereno37. Nel complesso l’Arma poté fare ben poco per fermare le sopraffazioni della Wehrmacht. L’atteggiamento della popolazione di fronte alla barbarie nazista fu, in larga parte, di resistenza passiva. Sopraffatti dalla forza delle armi, i cittadini non poterono reagire quasi mai ma, in alcuni casi, riuscirono a opporsi alle sopraffazioni. Un episodio significativo ebbe per protagonista l’avvocato Mario Pellegrini, sfollato da Benevento a Buonalbergo, che la notte del 29 settembre oppose resistenza ad alcuni soldati che, eccitati dall’alcool, cercarono di penetrare nella sua abitazione per saccheggiarla. I militari andarono a bussare in piena notte, ma non ricevettero risposta. Si allontanarono e tornarono poco dopo con bombe a mano e mitragliatrici, con le quali fecero saltare la porta. Pellegrini, imbracciato un fucile, aprì il fuoco e ferì alcuni soldati. Nella confusione che si era creata riuscì a scappare e a mettere in salvo la sua famiglia. I tedeschi, per rappresaglia, distrussero completamente l’abitazione e, decisi a vendicare l’offesa MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 82 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento subita, emanarono un ultimatum, imponendo agli abitanti di consegnare quattro quintali di lardo, farina, pane, olio, liquore, oro e orologi entro le 16.30 del 30 settembre. Minacciarono di radere al suolo il centro abitato, che avevano già occupato e circondato con mezzi corazzati, se la consegna non fosse avvenuta. Gli abitanti, presi dal panico, abbandonarono il paese (tra i primi scapparono il segretario del PNF e le altre autorità), ma, grazie alla mediazione del prete tedesco Hermann Luhne, che da dieci anni prestava servizio a Buonalbergo, si trovò un accordo. Il sacerdote e altre persone presero a girare per le case per raccogliere quanto richiesto e lo offrirono ai tedeschi. Il comando della Wehrmacht, forse perché incalzato dall’arrivo degli Alleati, decise di non appropriarsi dei beni consegnati e li lasciò al prete, perché li distribuisse ai poveri38. A San Salvatore Telesino alcuni uomini riuscirono ad asportare una mina nei pressi del ponte Cavour. Gli occupanti ordinarono al podestà di ritrovarla, minacciando, in caso contrario, di uccidere 20 persone. Accettarono, però, la spiegazione del primo cittadino, che asserì di non poter ritrovare l’ordigno ma garantì di custodire il ponte. Nelle campagne intorno al paese, inoltre, si fece fuoco sui soldati che, per rappresaglia, uccisero un contadino39. I tedeschi uccisero numerose persone che si erano opposte ai loro soprusi. Gli eccidi avvennero soprattutto durante gli ultimi giorni, o persino durante le ultime ore di occupazione, quando erano già in corso gli scontri con gli Alleati. A Castelvenere il 9 ottobre, mentre infuriavano i combattimenti e il paese era sotto il tiro delle artiglierie, furono uccisi tre contadini che erano stati trovati in possesso di armi40. A Castel Campagnano il 13 ottobre furono fucilati cinque uomini, accusati di essere spie al servizio degli Alleati, e un altro fu assassinato il 1741. A Limatola si rischiò una strage più pesante, perché il 6 ottobre fu ucciso un soldato della Wehrmacht. Furono catturati dieci ostaggi, pronti per essere passati per le armi, ma si scoprì che l’uccisore risiedeva nel comune di Castel Morrone e l’eccidio non fu compiuto. Il 14 ottobre a Ruviano furono assassinati sei giovani, accusati di aver partecipato all’uccisione di 10 tedeschi nel comune di Sant’Angelo in Formis (Foggia). A Faicchio il 15 ottobre furono uccisi i quattro ragazzi di San Salvatore Telesino che scappavano dal carcere di Piedimonte e, nel corso della stessa giornata, gli occupanti organizzarono un processo sommario a sette contadini, accusati di connivenza con gli Alleati (uno di loro aveva parlato in inglese). Furono condannati e fucilati immediatamente42. La strage peggiore, sulla quale esistono diversi studi43, fu compiuta a Caiazzo nella notte del 13 ottobre, mentre infuriava la battaglia del MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 83 Erminio Fonzo Volturno: 21 persone furono uccise a sangue freddo da un manipolo di soldati guidati dal sottotenente Wolfgang Lehnigk Emden. Già in precedenza gli occupanti si erano resi responsabili di vari crimini contro la popolazione caiatina e otto persone avevano trovato la morte per essersi opposte ai rastrellamenti o per altre ragioni44. Tra le vittime vi erano due giovani fratelli, Domenico e Antonio Mondrone, di 19 e 16 anni, uccisi il 12 ottobre perché erano in possesso di una pistola della Wehrmacht45. Quanto al collaborazionismo, com’è noto in tutta l’Italia occupata i tedeschi poterono contare sull’appoggio di una minoranza della popolazione, che li sostenne, per paura quando non per convinzione, e ne favorì l’occupazione. Senza il collaborazionismo le deportazioni e le requisizioni non sarebbero state possibili, almeno nei livelli in cui avvennero. Circa la provincia di Benevento, non è facile reperire documenti e informazioni, giacché dopo la guerra si è sempre cercato di occultare la collaborazione con gli occupanti. La citata relazione dei carabinieri, che racconta con precisione gli episodi nei quali l’Arma si era contrapposta alla Wehrmacht, lascia solo intendere che vi furono delle collaborazioni: «i militari delle stazioni rurali, salvo taluni casi limitati a qualche sede, ove i tedeschi ebbero ad agire con maggiore violenza, tennero in complesso contegno fermo e sereno» [corsivo mio]. È evidente che in alcuni paesi i carabinieri, forse semplicemente per paura di subire ritorsioni, si misero a disposizione delle truppe di occupazione. In tutto il Mezzogiorno, del resto, l’atteggiamento dell’Arma fu eterogeneo46. Non mancarono soldati italiani che combatterono al fianco dei tedeschi e che, insieme a loro, operarono requisizioni e saccheggi, ma il grosso delle forze armate si sbandò. Nel Beneventano fu molto scarsa anche la collaborazione dei fascisti, giacché dopo il 25 luglio il fascismo si era dissolto completamente. Vi furono alcune camicie nere che si schierarono dalla parte della Wehrmacht, come il gruppetto guidato da Amedeo Manna, ma si trattò di casi isolati. Dopo la guerra i pochi collaborazionisti furono processati: Manna fu condannato a 15 anni di reclusione, gli altri imputati furono assolti47. La popolazione sannita, come si è detto, aveva reagito per lo più in maniera passiva all’occupazione, cercando di sfuggire alle deportazioni e di salvarsi dalle sopraffazioni senza opporsi, se non in pochi casi, con la forza. Con l’avvicinarsi delle truppe angloamericane i cittadini presero coraggio e contrastarono i tedeschi più tenacemente. In alcune occasioni furono protagonisti i carabinieri. A San Bartolomeo in Galdo il 2 ottobre, quando gli Alleati erano a pochi chilometri dal paese, il comandante della stazione locale, Domenico Terrizzi, riuscì a eludere la sorveglianza e a mettersi in contatto telefonico con un MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 84 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento maggiore dell’esercito inglese, che era arrivato nel vicino comune di Roseto (Foggia), e ad informarlo sulla dislocazione delle truppe nemiche. Inoltre, insieme ad un soldato sbandato che si trovava nel paese, ispezionò la strada che dovevano percorrere gli angloamericani e, trovandola minata, si occupò della rimozione degli ordigni, permettendo così il transito delle truppe. L’indomani entrò in paese un reparto di 30 soldati canadesi, appartenenti all’8a armata inglese. Terrizzi indicò loro dove si trovava l’ultima postazione tedesca e prese parte, come guida, all’attacco contro di essa. Nello scontro morirono due soldati, un tedesco e un canadese48. Un altro carabiniere, Francesco Ventrone, rimosse le mine sulla strada che collegava Montefalcone Valfortore con Castelfranco in Miscano. In altri paesi, come a Castel Campagnano, a Raviscanina e ad Amorosi, lo sminamento fu effettuato da semplici cittadini. In un caso la vicenda ebbe esito tragico: a Sant’Agata de’ Goti il 5 ottobre cinque giovani, di età compresa tra i 14 e i 23 anni, trovarono la morte per l’esplosione di una mina, mentre cercavano di rimuovere gli ordigni piazzati alla base di un ponte sul torrente Martorano. In alcune occasioni i cittadini e i carabinieri agirono insieme contro i tedeschi. Ad Arpaia il 3 ottobre i militi dell’Arma e alcuni abitanti aprirono il fuoco contro i guastatori tedeschi, che stavano danneggiando la ferrovia Benevento-Cancello, e ne uccisero tre. Inoltre riuscirono a catturare alcuni soldati germanici e a consegnarli agli Alleati: mentre le truppe angloamericane, che avevano già occupato la limitrofa cittadina di Montesarchio, erano in marcia verso il paese, gli abitanti si armarono di fucili da caccia, pistole e quant’altro potessero trovare e circondarono un manipolo della Wehrmacht che ancora si attardava ad Arpaia. Contemporaneamente alcuni contadini si portarono nella vicina San Martino Valle Caudina, per avvertire gli Alleati, i quali entrarono ad Arpaia poco dopo e presero in consegna i prigionieri49. In altri casi la popolazione agì da sola, senza l’ausilio delle forze dell’ordine. Il 4 ottobre alcuni cittadini di Bonea spararono sui soldati che transitavano sulla strada per Montesarchio, riuscendo a ferirne uno. I militari germanici risposero al fuoco e uccisero due cittadini. Poco dopo un motociclista tedesco cominciò a sparare all’impazzata, due carabinieri aprirono il fuoco e riuscirono a ferirlo e a metterlo in fuga. A San Marco dei Cavoti il 5 ottobre, dopo che gli Alleati erano già entrati in paese, una pattuglia tedesca, che ancora si trovava nell’abitato, fu assalita dalla folla. Un soldato fu linciato e un altro catturato. Per errore fu ferito anche l’ufficiale canadese che era alla testa delle truppe alleate50. MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 85 Erminio Fonzo A Sant’Angelo d’Alife gli Alleati giunsero il 22 ottobre e trovarono il sostegno di alcuni cittadini, che li guidarono nell’assalto ad una postazione nemica. Uno di loro, il diciottenne Giovan Battista Picillo, perse la vita nello scontro. Il paese fu liberato due giorni dopo, il 24 ottobre51. Gli Alleati erano sempre accolti come liberatori dalla popolazione. A San Giorgio del Sannio le prime truppe giunsero nella mattinata del primo ottobre e il grosso dei soldati arrivò nel pomeriggio della stessa giornata. Ecco come un testimone, il sacerdote Nicola Lopreiato, descrive la scena: Ore 16: arrivano gli automezzi, sfilano in molti, camion e camionette americane. La truppa trasportata non mi dà impressione migliore di quella passata a piedi stamattina. Ma stavolta sono applausi e gazzarra di popolo sfilato (e preparato?) sul passaggio dei veicoli in attesa del lancio di qualche caramella o sigaretta. Ne sfilano parecchi. E più o meno irregolarmente sfileranno adesso chi sa per quanto. Dimostrano verso gli italiani molta cordialità. Qualcuno ha innalzato una bandiera italiana sui pezzi di bordo52. A Benevento, secondo il giornale “Risorgimento”, gli abitanti tributarono «entusiastiche accoglienze alle truppe liberatrici» il 2 ottobre53, ma la città era pressoché deserta e, pertanto, a festeggiare l’ingresso degli Alleati dovettero essere in pochi. Da San Lorenzello la mattina dell’11 ottobre, poche ore dopo la partenza della Wehrmacht, alcuni abitanti si recarono a Cerreto Sannita per avvisare gli Alleati e, quando questi giunsero nell’abitato, la popolazione li accolse festosamente54. I prigionieri tedeschi, al contrario, rischiavano sempre il linciaggio della folla. A Caiazzo, quando la città fu liberata, i soldati angloamericani riuscirono a stento a trattenere la popolazione che, alla vista dei soldati della Wehrmacht catturati, si scagliò contro di loro con il proposito di ucciderli55. A Piedimonte Matese l’odio contro i tedeschi era tale che alcuni abitanti infierirono sui loro cadaveri. Da quanto si è detto fino ad ora si può evincere che in provincia di Benevento, anche considerandola nell’estensione che aveva durante la guerra, non vi fu Resistenza organizzata che, com’è noto, fu un fenomeno che interessò prevalentemente il Centro-Nord. I casi di opposizione armata si verificarono solo all’indomani dell’armistizio (da parte delle forze armate) e alla vigilia della liberazione (da parte dei cittadini). Nel Beneventano non si costituirono bande organizzate, come quelle che operarono, oltre che nell’Italia centro-settentrionale, anche in alcune località del Sud, come nelle campagne circostanti il paese di Bosco Martese (L’Aquila), e a San Prisco (poco a nord della provincia di BeneMERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 86 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento vento). Non vi furono nemmeno rivolte popolari, come quelle che avvennero a Matera, a Napoli, a Santa Maria Capua Vetere e a Lanciano tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre56. L’occupazione, del resto, fu breve: durò circa 20 giorni nel capoluogo e nella parte meridionale della provincia; tra i 30 e i 40 giorni nell’area più a nord. Non era un tempo sufficiente per creare un movimento organizzato in un contesto difficile come quello sannita. Nel Sannio anche l’antifascismo era stato debole e, a parte qualche caso isolato, non vi erano stati gruppi che si opponevano al regime. La struttura sociale della provincia, basata sulla piccola e media proprietà agricola, senza la presenza né di un’industrializzazione significativa né di latifondi, non favoriva la presenza dei partiti antifascisti, che altrove avevano trovato la loro base sociale nelle leghe operaie e bracciantili. Inoltre la tradizione politica e culturale del Beneventano, in larga parte conservatrice e provinciale, era un ulteriore impedimento. Dopo il 25 luglio, come si è sottolineato, nessuno ebbe rimpianti per Mussolini e per il suo regime, ma il Sannio, come molte altre realtà, arrivò all’appuntamento dell’armistizio senza che vi si fosse sviluppato un vero e proprio antifascismo. Ciò nonostante, la provincia fu in grado di dare il suo contributo alla liberazione. Non pochi furono i beneventani che presero parte alla Resistenza nel Centro-Nord o all’estero: un’interessante ricerca ha elencato più di 1.200 persone che hanno combattuto contro i tedeschi57. Non sono mancati, tra i sanniti che vivevano nel Settentrione, alcuni che hanno aderito alla RSI e hanno collaborato attivamente con la Wehrmacht, ma si trattò di pochi casi58. Appare difficile parlare di «zona grigia», ovvero di una massa di popolo pressoché equidistante tra le due parti in lotta59. Naturalmente nel Sannio, come nel resto del Mezzogiorno, la situazione era diversa da quella dell’Italia centro-settentrionale, giacché non vi furono né Resistenza organizzata né guerra civile, e si ebbe solo il conflitto tra due eserciti stranieri, che usavano il Sud come campo di battaglia (sebbene non siano mancate persone che si impegnarono attivamente per favorire l’avanzata alleata e, in misura minore, fascisti e militari che presero le armi al fianco dell’esercito del Terzo Reich). È indubbiamente vero che la quasi totalità della popolazione assunse una posizione di attesa, limitandosi ad aspettare con ansia la fine del conflitto e cercando di sopravvivere alla meglio, ma tutti erano decisamente schierati dalla parte degli angloamericani, avendo in odio i tedeschi e, con essi, i fascisti, che in quei giorni costituivano nel Centro-Nord la loro «Repubblica sociale». Durante l’occupazione gli unici che gridarono «viva Mussolini», MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 87 Erminio Fonzo a parte il gruppetto di Amedeo Manna, furono i malcapitati costretti a farlo dalla Wehrmacht. La martellante propaganda fascista non era bastata a convincere gli italiani della malvagità degli Alleati e nemmeno i bombardamenti avevano avuto questo effetto: la gente avvertiva le incursioni aeree come un’inevitabile conseguenza della guerra, accusava di esse non gli angloamericani ma i tedeschi, ritenendo che fosse la loro presenza a provocarle e chiedendosi, tutt’al più, se fossero veramente necessarie60. L’unico nemico vero, per i sanniti come per la grande maggioranza degli italiani, erano gli occupanti nazisti, che del resto, con i loro soprusi e la barbarie continua, non potevano che attirarsi la più risoluta ostilità della popolazione. I cittadini non si ribellarono, se non in pochi casi, perché erano messi in condizione di non farlo dalla forza delle armi, ma i loro sentimenti erano chiari. Non è un caso se, quando le fu possibile, la popolazione aiutò in tutti i modi gli angloamericani; se gli Alleati erano sempre accolti come liberatori, mentre i prigionieri tedeschi rischiavano il linciaggio; se dopo la guerra i cittadini di Benevento accolsero con soddisfazione la condanna del più fanatico dei collaborazionisti e si indignarono per l’assoluzione degli altri. Non vi fu, dunque, zona grigia, ma, piuttosto, resistenza passiva, che per alcuni cittadini divenne attiva e operante negli ultimi giorni dell’occupazione. Nel Sannio, come nella maggior parte del Mezzogiorno, la «Resistenza breve» si caratterizzò soprattutto come opposizione silenziosa ai soprusi dei tedeschi: rifugiarsi nelle campagne per evitare la deportazione, nascondere generi alimentari e altri beni per sottrarli alla requisizione, non collaborare con gli occupanti ogni volta che fosse possibile. Anche a Benevento e nella sua provincia, con la resistenza passiva e con gli atti di resistenza attiva verificatisi all’indomani dell’otto settembre e nei giorni precedenti la liberazione, la popolazione riuscì a danneggiare i piani della Wehrmacht e a facilitare la vittoria degli Alleati. 1 Giova ricordare che negli anni della seconda guerra mondiale la provincia di Benevento aveva un’estensione maggiore di quella attuale e comprendeva sedici comuni dell’Alifano e del massiccio del Matese, che avevano fatto parte della provincia di Caserta fino al 1927, quando fu soppressa, e che ad essa tornarono nel 1945, quando fu nuovamente istituita. La provincia di Benevento, invece, non comprendeva il piccolo paese di Sant’Arcangelo Trimonte, situato nella valle del medio Calore, che fino al 1978 era parte della provincia di Avellino. 2 Archivio centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero dell’Interno (d’ora in poi MI), Direzione generale di Pubblica sicurezza – Categorie permanenti – A5G «Seconda guerra mondiale» (d’ora in poi DGPS – A5G), b. 143, fs. 214 «scioglimento PNF», ins. 13 «Benevento». MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 88 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento 3 Non si dispone ancora di uno studio complessivo sul fascismo beneventano. Sulle origini del movimento e sul ruolo della vecchia classe dirigente conserva tutta la sua validità la ricerca di M. Bernabei, Fascismo e nazionalismo in Campania (1919-1925), Edizioni di storia e letteratura, Roma 1975. Sugli anni del regime si può vedere il terzo volume di G. Vergineo, Storia di Benevento e dintorni, Ricolo, Benevento 1987. 4 Dettagliati rapporti della prefettura sono conservati in ACS, MI, DGPS – A5G, b. 77, fs. 40 «incursioni aeronavali», ins. 12 «Benevento». 5 Si vedano le relazioni del colonnello Achille Scalone, comandante del presidio di Benevento dopo l’allontanamento di Moccia, e del tenente Corrado Fiorenza, che comandava il manipolo italiano che si scontrò con i tedeschi, in Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (d’ora in poi AUSSME), fondo N 1–11 «Diari storici della seconda guerra mondiale» (d’ora in poi N 1-11), b. 2122/B, fs. «Presidio di Benevento». 6 Sul comportamento dei militari dopo l’8 settembre cfr. E. Aga Rossi Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, Il Mulino, Bologna 20033. Si vedano anche le relazioni del generale Mario Arisio (comandante della 7a armata), del generale Riccardo Pentimalli e del colonnello Ugo Almici (entrambi del XIX corpo d’armata) conservate in AUSSME, N 1-11, b. 2122/B. 7 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia. 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 20072, p. 36. Sull’occupazione tedesca del territorio italiano cfr. anche E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata. 1943-1945. Studio e documenti, Lerici, Milano 1963; W.F. Deakin, La brutale amicizia. Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, Einaudi, Torino 1990; F. Andrae, La Wehrmacht in Italia. La guerra delle forze armate tedesche contro la popolazione civile. 1943-1945, Editori Riuniti, Roma 1997. 8 S. De Lucia, Benevento nel turbine della guerra. Diario di un sinistrato, De Toma, Benevento 1946, pp. 16-19. Si veda anche il fascicolo personale di Manna in Archivio di Stato di Benevento (d’ora in poi ASBN), Questura, Casellario politico (d’ora in poi Q, CP), b. 13, fs. 363 «Manna Amedeo». 9 A. Zazo, L’occupazione tedesca nella provincia di Benevento (8 settembre-28 ottobre 1943), Morano, Napoli 1944, p. 10. Cfr. anche Breve diario del professor Zazo (Un italiano qualunque), in A. De Jaco, 1943. La Resistenza nel Sud. Cronache per testimonianze, Argo, Lecce 2000, pp. 177-188. Il 4 novembre Moccia fu messo al comando della «Italian Military Zone with control over the province of Benevento» (ACS, Allied Control Commission (d’ora in poi ACC), UA Benevento Province, Italian Armed Forces, bobina 1010B). 10 Sull’occupazione di Caiazzo cfr. G. Agnone, G. Capobianco, La barbarie e il coraggio. Riflessioni sul massacro nazista di SS. Giovanni e Paolo. Caiazzo 13 ottobre 1943, a cura dell’Associazione storica del Caiatino, Arte tipografica, Napoli 1990, p. 38; su San Giorgio del Sannio si veda A. De Spirito, Il 1943 nel diario di un prete sfollato a San Giorgio del Sannio, in “Ricerche di storia sociale e religiosa”, XXVIII, 74, 2008, pp. 173-201. 11 ASBN, Q, CP, b. 13, fs. 363 «Manna Amedeo». 12 S. De Lucia, Benevento nel turbine della guerra, cit., pp. 23-25. 13 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 43. 14 Relazione di C. Porzio, Una prova della barbarie tedesca. I giorni di terrore dell’occupazione tedesca di S. Salvatore Telesino, ottobre 1943, conservata nell’Archivio dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza (d’ora in poi AICSR), fondo CLNN Quattro Giornate, b. 8, fs. 21, sfs. 5 «Carte Camillo Porzio». MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 89 Erminio Fonzo 15 G. Chianese, Rappresaglie naziste, saccheggi e violenza alleata: alcuni esempi nel Sud, in «L’impegno», XVI, 1, aprile 1996. 16 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 44. 17 Relazione di C. Porzio, Una prova della barbarie tedesca, cit. 18 Alla loro morte è dedicato il libro di E. Bove, L’ultima notte di Bedò, Vereja, Benevento 1992. 19 Breve relazione sui barbari sistemi adottati e sugli atti vandalici compiuti dai tedeschi, visti durante il periodo della prigionia che va dal 29/9 al 28/11/1943, in AUSSME, N 1 – 11, b. 2133, fs. «Atti di barbarie compiuti dai tedeschi». 20 D.B. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno nel 1943, Laurenzana, Napoli 1974. 21 ACS, ACC, UA Benevento Province, Atrocities committed by Germans, bobina 1008B. 22 A. Villa, Guerra aerea sull’Italia (1943-1945), Guerini e associati, Milano 2010, p. 74. 23 S. De Lucia, Benevento nel turbine della guerra, cit., pp. 62-66, dove è riportato un dettagliato «quadro sinottico delle incursioni aeree. È da segnalare anche che all’ingresso in città i soldati statunitensi effettuarono delle riprese, che mostrano con chiarezza l’entità delle distruzioni. Il filmato, che dura pochi minuti e non ha audio, è conservato all’United States Holocaust Memorial Museum, Washington, presso lo Steven Spielberg Film and Video Archive, e si può vedere in internet all’indirizzo http://resources.ushmm.org. 24 Per i bombardamenti nella zona del Volturno cfr. D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., pp. 134-231. 25 Military Intelligence Division, U.S. War Department, From the Volturno to the Winter line. 6 October – 15 November 1943, Center of Military History, Washington DC, 19902, pp. 7-8. 26 Ivi. 27 P. Fusco, I tedeschi a Fragneto Monforte (Le giornate del 5-6-7 ottobre 1943), in A. Zazo, L’occupazione tedesca, cit., pp. 93-98. 28 D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., p. 151. 29 Military Intelligence Division, From the Volturno to the Winter line, cit. 30 D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., pp. 160-161. 31 Ivi, p. 139. 32 “Risorgimento”, 28 ottobre 1943; D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., p. 134. 33 F. Andrae, La Wehrmacht in Italia, cit., p. 58. 34 L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., pp. 42-43. 35 ACS, ACC, UA Benevento Province, Atrocities committed by Germans, bobina 1008B. 36 S. De Lucia, Benevento nel turbine della guerra, cit., p. 35. 37 Archivio dell’Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri (d’ora in poi AUSCC), Documentoteca 216.4, Legione Territoriale dei Reali Carabinieri di Napoli, Contributo dell’Italia alla causa degli Alleati. L’Arma era organizzata in due compagnie, la Compagnia interna, che comprendeva la Tenenza di Benevento e la Sezione di San Bartolomeo in Galdo, e la Compagnia esterna, che comprendeva la Tenenza diretta, la Tenenza di Piedimonte d’Alife e la Sezione di Cerreto Sannita. Complessivamente nella provincia vi erano 43 stazioni dei Reali Carabinieri. MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 90 Occupazione tedesca e Resistenza in provincia di Benevento 38 R. Scocca, Storia della lettera di un «Prete tedesco», in Il Sannio dall’Otto settembre alla Costituzione, Ausiliatrix, Benevento 1990, pp. 32-34. Dopo la guerra Scocca, che aveva raccolto insieme al sacerdote i beni per i tedeschi, fu accusato di collaborazionismo dal CLN locale. Il suo racconto, con la Wehrmacht che lascia al sacerdote i beni sequestrati, è poco verosimile e lascia supporre che veramente vi sia stata qualche forma di collaborazione da parte sua e di Hermann Luhne. Alla resistenza opposta da Pellegrini fa cenno anche Zazo (L’occupazione tedesca, cit., pp. 30-31), secondo il quale l’avvocato riuscì addirittura ad uccidere tre soldati, il che è inverosimile perché in tal caso la rappresaglia, limitata alla sola distruzione della casa e alla richiesta dei beni, sarebbe stata troppo blanda. 39 D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., p. 205. 40 Ivi, p. 151. 41 Comune di Castel Campagnano, Elenco dei cittadini fucilati dai tedeschi, s.d., in AICSR, Fondo Schiano, b. 2, fs. 4 «Giorni dell’armistizio e del postarmistizio». Secondo Zazo, L’occupazione tedesca, cit., pp. 34-35, i cinque non furono fucilati ma morirono per il cannoneggiamento del paese. 42 D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., p. 161. 43 Tra esse il libro di Antimo Della Valle, Caiazzo non perdona il boia nazista. La strage dimenticata (13 ottobre 1943), Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2005, e il citato volume di G. Agnone, G. Capobianco, La barbarie e il coraggio. Più in generale sulle stragi naziste in Italia meridionale cfr. F. Soverina, Una difficile riappropriazione. Le stragi e l’occupazione tedesca nel Mezzogiorno, in Gli anni difficili. L’Italia tra fascismo e Resistenza, a cura di F. Soverina ed E. Taglialatela, Cercola 1999, pp. 63-79. G. Schreiber, La vendetta tedesca 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia, Mondadori, Milano 2000; Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale, a cura di G. Gribaudi, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili 1943-1944, Donzelli, Roma 1997; Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Atlante storico della Resistenza Italiana, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 31-36. 44 G. Agnone, G. Capobianco, La barbarie e il coraggio, cit., pp. 42-45. 45 ACS, ACC, UA Benevento Province, Atrocities committed by Germans, bobina 1008B. 46 Si veda G. Chianese, “Quando uscimmo dai rifugi”. Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (1943-1946), Carocci, Roma 2004, che racconta l’episodio del palazzo delle poste di Napoli, dove l’Arma aprì il fuoco contro i tedeschi, e quello di Santa Maria Capua Vetere dove, al contrario, i carabinieri spararono insieme alla Wehrmacht contro la popolazione. 47 ASBN, Q, CP, b. 13, fs. 363 «Manna Amedeo»; b. 64, fs. 1537 «Pisani Augusto». Il processo fu seguito con attenzione dalla popolazione, che applaudì per la condanna di Manna e si indignò per l’assoluzione degli altri imputati. 48 AUSCC, Documentoteca 216.4, Legione Territoriale dei Reali Carabinieri di Napoli, Contributo dell’Italia alla causa degli Alleati. 49 “Risorgimento”, 5 ottobre 1943; AUSCC, Documentoteca 216.4, Legione Territoriale dei Reali Carabinieri di Napoli, Contributo dell’Italia alla causa degli Alleati. 50 A. Zazo, L’occupazione tedesca, cit., pp. 73-74. 51 D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., pp. 207-209. 52 A. De Spirito, Il 1943 nel diario di un prete sfollato, cit., p. 192. 53 “Risorgimento”, 5 ottobre 1943. MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 91 Erminio Fonzo D. Marrocco, La guerra nel Medio Volturno, cit., pp. 179-201. Le donne di Caiazzo si lanciano come furie per massacrare i nazi che han distrutto e svaligiato le loro case, in “Il progresso italo-americano”, 19 ottobre 1943, riprodotto da G. Agnone, G. Capobianco, La barbarie e il coraggio, cit., p. 59. 56 Storici e intellettuali hanno discusso a lungo sulla Resistenza nel Mezzogiorno, proponendo tesi che vanno dall’apoteosi di quanto accaduto, soprattutto per le Quattro giornate di Napoli, alla minimizzazione rispetto alla Resistenza del Centro-Nord. Una sintesi delle principali letture è stata proposta da G. D’Agostino, La Resistenza nel/del Sud tra storia e storiografia, in Mezzogiorno 1943. La scelta, la lotta, la speranza, a cura di G. Chianese, ESI, Napoli 1996, pp. 19-28. Cfr. anche F. Soverina, La difficile memoria. La Resistenza nel Mezzogiorno e le Quattro Giornate di Napoli, Dante & Descartes, Napoli 2012, pp. 11-21; G. Chianese, “Quando uscimmo dai rifugi”, cit.; G. Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale, Bollati Boringhieri, Torino 2005; A. De Jaco, 1943. La Resistenza nel Sud, cit. Sugli anni dell’occupazione alleata e del dopoguerra cfr. anche L’altro dopoguerra. Roma e il Sud 1943-1945, a cura di Nicola Gallerano, Franco Angeli, Milano 1985. 57 P. Giorgione, Sanniti nella Resistenza, Realtà Sannita, Benevento 2000. L’autore, servendosi dei fogli matricolari, ha ricostruito una breve scheda personale di ciascuno dei combattenti. La ricerca è parziale perché prende in esame solo i militari. 58 Complessivamente la Questura di Benevento schedò nel casellario politico come collaborazioniste 17 persone, tutte nate a Benevento o vissute nel Sannio per un periodo. Durante la guerra risiedevano tutte nel Centro-Nord. Cfr. ASBN, Q, CP, passim. 59 L’espressione, com’è noto, è stata usata da Renzo De Felice per indicare la maggioranza del popolo italiano, che avrebbe atteso passivamente la fine della guerra, evitando di prendere posizione. Cfr. il suo Mussolini l’Alleato, II, La guerra civile (19431945), Einaudi, Torino 1997 e, con toni più polemici, Rosso e nero, a cura di Pasquale Chessa, Baldini & Castoldi, Milano 1997. 60 Questo dubbio, per esempio, era espresso dopo la guerra da Salvatore De Lucia, soprattutto a causa della distruzione della Cattedrale (Benevento nel turbine della guerra, cit., pp. 58-60). 54 55 MERIDIONE Sud e Nord nel Mondo 92