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Covid 19

Cristina Parodi, «La vita ricomincia, ma a Bergamo non possiamo dimenticare ciò che abbiamo passato»

Cristina Parodi ha raccontato a Fanpage.it le settimane più buie di Bergamo, la città che l’ha adottata e che più di tutte è stata colpita dall’emergenza Coronavirus, di suo marito Giorgio Gori e di quel lavoro che non si lascia fuori dalla porta di casa. Del suo stop al mondo della tv e di quel sogno della moda da cui adesso vuole ricominciare.
A cura di Beatrice Barbato
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C'è un velo di tristezza e di dolore nella sua voce quando parla di Bergamo, diventata ormai la sua città, e di quel silenzio assordante che per troppe settimane ne ha riempito le strade e le piazze. Cristina Parodi, giornalista, conduttrice, scrittrice e ora impegnata nel mondo della moda con il brand Crida, ha raccontato a Fanpage.it come ha vissuto l'emergenza Coronavirus, quali sono state le sue paure e di come le ha affrontate, tutto insieme al marito Giorgio Gori, sindaco della città italiana più colpita dal virus. «È la prima volta che ho visto la mia città veramente in ginocchio. Sono stati dei mesi molto difficili».

«Lavorare con il Cesvi mi ha aiutato a tenere la mente occupata»

Cristina, da anni impegnati con il Cesvi, ONG che opera in tutto il mondo per la cooperazione e lo sviluppo, si è concentrata in questo periodo su una raccolta fondi per la città, grazie alla quale sono stati messi su 5 milioni di euro, utili all'acquisto di materiali sanitari necessari per fronteggiare l'emergenza. «Ho avuto la mente occupata e impegnata in un lavoro che sentivo di dover fare e di voler fare. Mi ha fatto passare questo periodo in maniera più costruttiva. Adesso per fortuna vediamo tutti un po' di più la luce. I bergamaschi poi sono persone molto volenterose, operose, produttive, che non si fermano davanti a niente. Come sono stati silenziosi in questi mesi di dolore, così adesso si sono già messi tutti a lavorare, il comune per primo, e ovviamente per tutti la strada è in salita. Però se c’è gente tosta e capace di rialzarsi è proprio quella di questa città, così ho imparato a conoscerli».

Accanto al marito Giorgio Gori «un'esperienza profonda e bellissima»

Tutta la famiglia ha, però, dovuto fare i conti non solo con le paure per la pandemia ma anche con il ruolo pubblico di Giorgio Gori. «Giorgio ha continuato a lavorare sempre, andando in comune, uscendo. Avevamo paura per lui, avevamo paura per noi che invece stavamo a casa. Ma Giorgio è una persona che non si ferma davanti a niente ed è come se si fosse convinto di essere invincibile». Essere il primo cittadino della città più martoriata da questa emergenza non è stato facile, è un lavoro che non si lascia fuori dalla porta di casa. «Stare accanto a Giorgio è sempre un’esperienza profonda e bellissima, perché è un uomo che lavora tanto e si dedica con una abnegazione incredibile a tutto quello che fa, e lo fa con una passione veramente infaticabile. Anche in questo caso ho cercato di stargli vicino e di confortarlo come potevo e di dargli un aiuto concreto con il lavoro che facevo con Cesvi, che convogliava comunque sulla città e sull’amministrazione. È stato faticoso, ma è stato bello vivere insieme a lui anche questo momento, sicuramente il più difficile da affrontare per tutti e in assoluto per un sindaco».

Quelle dolorose immagini dei carri che entreranno nella storia

Resteranno impresse nella memoria e sicuramente anche nei libri di storia le immagini dei 70 mezzi militari che hanno portato fuori da Bergamo i feretri delle vittime del Covid. Lì forse tutti noi abbiamo davvero compreso quanto si possa essere impotenti e assolutamente indifesi di fronte a un virus che ha impedito a molti persino di dare degna sepoltura ai propri cari. «Ho pianto, come tutti. Come tutti  bergamaschi credono abbiano fatto in silenzio nelle loro case, senza manifestare troppo il dolore. A Bergamo la gente è così, si vergogna e ha un po’ pudore del proprio dolore e in un silenzio irreale sono state quelle settimane, le più buie. C’erano solo le campane che suonavano a morto, il suono delle ambulanze. Ma non si sentiva un rumore, non c’era una persona in giro. Ecco qui a Bergamo chi non c’è stato forse non può capire la pesantezza di questo silenzio, di questa immobilita. Non ci sono stati canti per le strade o sui balconi, come tante altre città hanno fatto, ma giustamente, per confortarsi a vicenda, per trovare un po' di serenità. Qui ogni famiglia di Bergamo, ogni persona che conosco aveva un dolore, una persona che è mancata, un familiare in ospedale, un amico che lottava contro questa malattia. Sono state settimane veramente difficili».

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Crida, quel sogno realizzato

Adesso, però, l'Italia sta pian piano ripartendo. La fase 2 ha sancito la riapertura di alcune attività, in attesa che anche il resto possa sbloccarsi. Ed è arrivato il momento per Cristina Parodi di tornare a pensare al neonato marchio Crida, suo e dell'amica bergamasca Daniela Palazzi. «Questo progetto è nato come un sogno che condividevo e condivido con Daniela da tanti anni, una delle donne più naturalmente eleganti che io conosca. L’estate scorsa avevo una stagione più libera dagli impegni televisivi, ci siamo dette che se non lo facevamo subito non lo avremmo fatto più. Ci sembrava giusto che anche a 50 anni due donne potessero realizzare il loro sogno. Ci siamo messe da settembre a lavorare, a fare ricerca di tessuti, di lavoratori, di manifattura e a dicembre avevamo pronta la nostra prima collezione, una piccola capsule. Eravamo molto orgogliose di quanto avevamo fatto, poi ovviamente i primi di marzo, quando dovevamo iniziare il mese più importante anche per gli ordini e per far arrivare gli abiti nei negozi, si è fermato tutto. E come tutto il mondo della moda, noi nuovissime matricole abbiamo subito una battuta d’arresto e adesso abbiamo una strada tutta in salita. Detto questo, siamo bergamasche e quindi non ci fermiamo, anche perché questo sogno lo abbiamo coltivato per un sacco di tempo. Certamente non abbiamo scelto il periodo migliore per iniziare, ma questo non poteva essere previsto».

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«La moda deve rallentare»

Abiti pensati per tutte le donne, senza tempo, realizzati con tessuti italiani naturali e sostenibili. Sono queste le caratteristiche del brand Crida e che rispondono all'esigenza, avvertita ora più che mai, di una moda meno consumistica. «La moda, come tutto il nostro Paese, dovrà cambiare. Secondo noi dovrà andare per forza in una direzione di semplicità, come ha detto subito quel genio di Giorgio Armani. La moda deve allentare, deve diventare più umana deve riprendere il ritmo delle stagioni. Sono le idee che noi avevamo in mente quando abbiamo pensato agli abiti Crida. Non sono un prodotto da consumare velocemente, vistoso, da mettere solo due volte perché dopo un po' ti stufa. La linea è pensata per tutte le donne come noi, che lavorano, fanno mille cose, che hanno bambini piccoli da portare a scuola, o bambini grandi come i miei che sono già in in giro per il mondo – dice ridendo – che lavorano tutto il girono e la sera si trovano a prendere un aperitivo. Sono abiti per donne che amano viaggiare e hanno voglia di spostarsi e di non doversi portare dietro mille cose da abbinare».

«Mi avevano offerto un programma, ho rifiutato»

Del resto la moda ha sempre fatto parte del suo percorso professionale, da giornalista al Tg5 se ne è occupata per tanti anni e adesso ha deciso di cambiare ruolo, mettendosi dall'altra parte.«Non sono una donna ossessionata dal lavoro e dall’apparire. Ho fatto questo lavoro per passione. Sono stata in onda quotidianamente per decenni, però non ho mai avuto l’incubo o l’ansia se non lo avessi più fatto. Ora scelgo le cose che mi piacciono e mi posso permettere anche di fare altro, sono una persona curiosa, scrivo libri. Mi avevano offerto un programma su TV8, ma ho rifiutato perché in questo periodo ho voluto dare spazio a questo progetto che mi piace tantissimo, fatto da noi due. E poi ho maturato e sviluppato una collaborazione sempre più stretta con Cesvi, sono diventata la direttrice della loro rivista. Sono due cose di cui mi occupo a tempo pieno e che mi piacciono tanto».

L'amore per il Made in Italy

E proprio al Cesvi sarà devoluto il 10% delle vendite. Il ricavato andrà a offrire supporto a un progetto mirato ad aiutare gli anziani che necessitano di sostegno, di cure, di pasti e di servizi di assistenza sociale a casa. Il marchio vuole anche essere un inno al Made in Italy. «In tempi non sospetti, abbiamo chiamato i nostri abiti ognuno con il nome di una città che ci ha ispirato. Firenze, Taormina, Bari, Roma, Positano. Ci piace l’idea di raccontarli anche attraverso le immagini della nostra bella Italia. Abbiamo bisogno di sostenere il nostro turismo e abbiamo fatto questa scelta perché siamo convinte che la moda italiana sia speciale e unica nel mondo».

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