Nelle mattine autunnali, prima
del ritorno ora solare, la luce del giorno fa capolino piuttosto tardi.
E’ buio quando esco da casa e mi
dirigo ai piedi delle colline dell’Appennino pistoiese, per raggiungere un
distributore di metano. Mentre attendo che apra i battenti, calcolo che per
raggiungere Castelleone, paese natale di Pierre Carniti in provincia di
Cremona, un pieno non mi basterà. Dovrò, uscito dall’autostrada, cercarne un
altro di distributore, d'altronde la zona è quella giusta.
Oltrepasso il Vincio e l’Ombrone,
i due fiumi che sfiorano casa mia a Gello, frazione di Pistoia. Per un attimo
ho la sensazione che sia domenica, ma il traffico della superstrada, che se non
girassi si diramerebbe verso l’Abetone, mi ricorda che, invece, è solo sabato.
Provo a re-immaginarmela
Castelleone. Quando Pierre Carniti me ne aveva parlato, di sfuggita, in un
incontro che avevo avuto nella sua casa sull'Appia, nell’ottobre di sette
anni fa, la sera prima di lasciare Roma e il mio impegno diretto nella sede
nazionale della Cisl di Via Po per trasferirmi al Centro Studi di Firenze, me la
ero disegnata nella mente.
Mi ero immaginato Don Primo
Mazzolari, come mi aveva raccontato Carniti e come avrebbe riportato nel libro
pubblicato per i suoi ottant’anni, “Pensiero, azione, autonomia”, raccontare e
intervenire nella casa di famiglia, discutere, in amicizia, con il padre di
Pierre.
E me la ero immaginata non troppo dissimile dalle terre pianeggianti di mia madre e di mia nonna, vissute, prima di
trasferirsi nel capoluogo, nel più piccolo dei tre Mezzani in provincia di
Parma, terra di confine e di protestantesimo, ex colonia penale di galeotti, forte della sua parziale extraterritorialità, prima della costituzione del
Regno d’Italia, divisa dalla provincia di Cremona da poche centinaia di metri e
dal grande fiume.
Terre agricole, in cui da piccolo
tornavo spesso, e dove mi facevo raccontare, nella stalla, tra le tante cose,
l’alluvione del 1953, la fuga sui tetti delle case e la speranza riportata dal
ritorno del sole.
Paesi in cui la terra la senti dentro
e la nebbia, ancora oggi, nasconde la strada e i pochi alberi che si stagliano
nei campi. Mentre mi avvicino alla meta ascolto per caso Radio Popolare.Trasmettono un'intensa intervista a Mario Deaglio sul suo nuovo libro su Piazza Fontana. Capto il segnale proprio nel momento in cui Deaglio racconta della reazione, in un contesto difficilissimo, degli amici di Pinelli. Parla in particolare di Bruno Manghi (che definisce "futuro grande sociologo della Cisl") che di Pinelli e della moglie Licia era davvero grande amico.Licia, tra l'altro, batteva a macchina ed editava le tesi di laurea degli studenti di sociologia dell'Università Cattolica.
L'intervista e la strana coincidenza un po' mi distraggono.
L'intervista e la strana coincidenza un po' mi distraggono.
Quando raggiungo, con qualche difficoltà,
non avendo alcun navigatore, il bel teatro di Castelleone, oltrepasso di corsa
le bandiere della Cisl Asse del Po e mi fiondo nella sala. Gremita.
Sul palco, presente Annamaria
Furlan, segretaria generale della Cisl, sta per prendere la parola Aldo Carera,
presidente della Fondazione Pastore, non certo un “carnitiano” doc. Sono
curioso di ascoltarlo, credo, sinceramente, che sia una delle prime volte che
in pubblico svolge una relazione su Carniti.
Anche lui parla di Castelleone.
Ricorda i grandi sindacalisti e animatori sociali di queste terre. Non solo
Carniti, ma anche Guido Miglioli, Don Primo Mazzolari (se sconfiniamo verso la
provincia di Mantova), Paolo Sartori, che fu peraltro avversario leale di
Carniti, nella Fisba.
Usa una bellissima immagine:
“scelti dalla vita”.
Non si può essere sindacalisti
prescindendo dai luoghi in cui si opera, dalla vita che si vive. E i luoghi del
lavoro, le tradizioni, le sofferenze della povertà della sussistenza agricola nella
prima metà del Novecento, la durezza della vita nelle cascine, irrompono nel
racconto.
Si chiede Carera: che cosa hanno
avuto di speciale questi luoghi, pur abbastanza periferici, per “produrre” un
numero così ampio di grandi figure che hanno trasformato la sofferenza in
emancipazione, la povertà in sete di eguaglianza, la religiosità, non in ribellismo,
ma in inquietudine trasformativa, vissuta con profonda laicità?
Viene ricordata la tensione di
Don Primo Mazzolari, quel suo: “obbedire in piedi” che anche Carniti aveva conosciuto
direttamente e sottolineato spesso nelle proprie testimonianze.
Riprende il professore su come sia
impossibile crescere in un ambiente senza sentirselo dentro, anche se, magari
si è solo quindicenni, come il Carniti, che probabilmente incrociò un Guido
Miglioli che, dopo tante battaglie, nel 1951 si avventurò, proprio nella zona
di Castelleone, in un tentativo coraggioso quanto impossibile per i tempi,
prendendo parte alle elezioni amministrative con la lista civica:
“Avanguardia”.
In quei frangenti, al di là dei
politicismi, non si può non tenere presente il confronto durissimo con gli
agrari e la tensione/competizione, spesso inevitabile, con i comunisti.
Andando avanti nella biografia sarebbe
poi scontato parlare del celebre corso al Centro Studi del 1956, quello in cui,
insieme a Carniti, si è formata una parte consistente della futura classe
dirigente della Cisl.
E non è banale ricordare che la
tesina finale di Carniti in quel corso fu proprio incentrata sulle forme di
aggregazione e cooperazione tra contadini e braccianti nel cremonese volte a
riequilibrare, almeno un po’, l’enorme differenza di potere con i possidenti
agrari.
Vincenzo Saba, direttore del
Centro Studi, scriveva di una “generazione particolare”: una generazione che ha
sofferto la fame e che ha saputo reagire. Un filo che lega epoche diverse: da
Pastore a Carniti.
Carera ricorda che il
sindacalista cremonese frequentò, anni dopo, un altro corso a Firenze; la cosa
è meno nota.
Si tratta di uno dei primi corsi
per i contrattualisti aziendali, uno di quei percorsi formativi che, ci ha
fatto presente recentemente Bruno Manghi, la Cisl ha messo in campo in quel di
Fiesole anticipando la realtà: la contrattazione articolata si sarebbe
concretizzata, infatti, solo negli anni successivi.
Una realizzazione che deve molto,
non solo alle linee strategiche della Cisl da Ladispoli in poi e ai percorsi
formativi, ma all’azione sul campo, determinata e innovativa, di uomini come
Carniti, insieme ad altri fimmini del “rinnovamento”, due nomi per tutti:
Franco Castrezzati e Pippo Morelli.
Interessante è la dinamica dei
corsi a Firenze frequentati da Carniti, dinamica che Carera riprende da Saba.
Saba, che fu direttore dal 1955
al 1959, ricordava nei suoi scritti e nelle sue lettere che i corsisti erano
seguiti attentamente, giorno per giorno. Si formò in quegli anni, una generazione
di giovani che, con le proprie specificità, contribuirono anch’essi alla
fondazione del sindacato nuovo.
Sta qui una lezione della storia
della Cisl da ricordare anche oggi: essere dirigenti in una stagione o
nell’altra richiama sempre e comunque a un’identità condivisa. Anche quando si
deve competere per essere scelti: nel 1956, ad esempio, su 430 candidati ne
furono individuati (e a quanto pare bene) solo 24.
Un altro tema ancora da
approfondire è quello della cultura laburista. Una riflessione che Saba ha
posto vent’anni fa tracciando il legame tra Pastore, Romani e Dossetti e che
Carniti ha seppe poi declinare in forme nuove, anche nella sua esperienza con i
Cristiano Sociali. L’obiettivo è costante: saper portare in sede politica i
temi del lavoro.
Quando, nel giugno del 2019,
scelsi, durante la giornata di storiografia e cultura sindacale, di accostare
Pastore e Carniti pensavo, sinceramente, di operare una forzatura, pur calcolata
e ragionevole.
D’altronde ricorderò sempre una
riunione sui temi dell’arbitrato di una decina di anni fa, nella sede della
Fondazione Pastore in via del Viminale. Rappresentavo la confederazione e in
quella occasione il compianto, ma particolarmente tagliente prof. Mario
Grandi, facendomi imbufalire, esordì così: “Carniti, nel 1983, ricordandosi,
per un attimo, di essere un sindacalista della Cisl….”
In realtà Carera, e poi anche
Annamaria Furlan hanno sviluppato diversi elementi di continuità tra Carniti e
Pastore. Ce n’è un altro che mi convince molto: il saper organizzare la squadra e,
contemporaneamente, valorizzare, senza sudditanza, un gruppo plurale di
intelligenze.
Come ricordato da Giuseppe De
Rita, in una recente commemorazione di Pastore, va colta, anche per la
difficile temperie odierna, l’importanza della costruzione di relazioni,
dell’aggregare persone che possano aiutare i grandi leader nel trovare risposte
valorizzando la collaborazione con chi, anche nel mondo accademico, è attento
ai temi sociali e del lavoro.
Davvero, senza cercarne altri più
forzati, è questo il grande tratto comune, direi unico tra i due: Pastore e
Carniti. Basti ricordare da un lato la creazione del Centro Studi di Firenze e
del gruppo di supporto al Ministero del Mezzogiorno e dall’altro l’eccezionale
esperienza della rivista Dibattito Sindacale, alla Fim di Milano e il grande
sviluppo della cultura cislina durante la segreteria generale di Carniti a
cavallo del difficile passaggio tra anni settanta e ottanta del Novecento.
Ci sono ovviamente momenti
epocali che sviluppano “cose nuove”. Viene ricordato il bellissimo manifesto
della Fim del 1968 e la tensione carnitiana nel riscoprire la dimensione
tradeunionistica, il ripartire dalla base per impegnarsi con esigenza per l’incompatibilità
e per l’unità sindacale.
Un tema complesso: partire dal
potere nella fabbrica per poter affermare un potere reale nella società, a
volte etichettato dai critici di Carniti con il termine che, se interpretato
alla lettera, a me non è mai dispiaciuto: “pansindacalismo”.
Carera, con gentilezza anche eccessiva,
mi cita diverse volte. Riprende da un mio scritto un bellissimo incipit di una
relazione di Carniti ad un consiglio generale Cisl del 1977, quello in cui
diverrà segretario generale aggiunto di Macario.
Il sindacato non deve: “fare da
guardia alle istituzioni”, ma ripartire dalla base, anche quella più povera,
arrabbiata, scarsamente rappresentata. Pochi giorni dopo quel consiglio
generale Luciano Lama, il mite segretario generale della Cgil, molto stimato da
Carniti, verrà cacciato in malo modo dagli studenti e dai movimenti “metropolitani”
dall’Università di Roma.
Carera chiude citando un testo di
Carniti che non conoscevo, l’intervento del 2013 nel volume degli scritti in
onore di Gian Primo Cella, uno di quegli intellettuali a cui l’incontro con il
sindacato e con Carniti ha cambiato la vita.
In quello scritto, in un testo
pieno di interventi accademici, Carniti ricorda che occorre: “partire dai
poveri per capire le cose”.
Torno per un attimo ai miei
pensieri.
A mia madre che, proprio alla
stessa età di Giulio Pastore, rimane, bambina, orfana del padre, amatissimo.
Alla Resistenza delle pianure
della Bassa, non solo quella delle montagne, alla politica e al sindacato, alle
generazioni, ai dialoghi interrotti e alle parole nuove.
Intervengono poi i figli Flavio e
Pierre jr, che ricorda a tutti l’uscita del bando del premio per i giovani
ricercatori dedicato al padre, la sorella di Pierre, in un intreccio di
emozioni che è difficile riportare.
Prima delle belle conclusioni, a
braccio, di Annamaria Furlan, prende la parola Antonia Carlino, moglie di
Giuseppe Garraffo che, con il marito, ha condiviso la stagione della nascita
della Cisl Medici e l’amicizia profonda con tutta la famiglia Carniti.
Parlando di questa amicizia e di
queste stagioni, intrecciando la Sicilia alla nebbia delle curve tra
Castelleone e Crema, Antonia trova un’immagine che mi porterò nel cuore e
nell’anima per tutto il viaggio di ritorno: “Koinonia di pensieri”.
Ripenso a questo concetto mentre
rileggo un messaggio ricevuto qualche ora prima.
“Fermati, guarda il cielo e…
respira”.
Koinonia non è una parola
qualunque: significa comunione, mettere insieme, non solo le “cose”, ma se
stessi.
Come le prime comunità cristiane.
Se il sindacato continua ad
essere questo ha certamente un futuro importante davanti a sè.
I testimoni come Carniti, tra
storia e memoria, non devono, però, diventare santini, comodi quanto
superficialmente traditi.
Devono aiutarci a remare
controcorrente, a scegliere di respirare e, insieme ai poveri, di puntare gli
occhi proprio dritti verso le nuvole del cielo.
Non occorre “assaltarle”, basta
accorgersi di esse.
Mi accorgo, mentre cerco sempre
senza navigatore l’imbocco dell’autostrada che mi riporti ai piedi degli
Appennini a Pistoia, che sono nuvole inaspettatamente disorientate d’azzurro.
Un azzurro che riporti a casa con
te, persino se hai tante salite e più di una paura, fuori e dentro, da
attraversare.
Persino se riparti nell’autunno,
piovigginoso, di Castelleone. In un sabato che, anche grazie alla memoria viva
di Pierre Carniti, torna a sembrare, altrettanto inaspettatamente, domenica.
Chissà dove si posa la cenere dei
sigari, lassù nel cielo.
Francesco Lauria
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