domenica 20 ottobre 2019

“Scelti dalla vita” e disorientati d’azzurro. Castelleone, Pierre Carniti e noi

Nelle mattine autunnali, prima del ritorno ora solare,  la luce del giorno fa capolino piuttosto tardi.

E’ buio quando esco da casa e mi dirigo ai piedi delle colline dell’Appennino pistoiese, per raggiungere un distributore di metano. Mentre attendo che apra i battenti, calcolo che per raggiungere Castelleone, paese natale di Pierre Carniti in provincia di Cremona, un pieno non mi basterà. Dovrò, uscito dall’autostrada, cercarne un altro di distributore, d'altronde la zona è quella giusta.
Oltrepasso il Vincio e l’Ombrone, i due fiumi che sfiorano casa mia a Gello, frazione di Pistoia. Per un attimo ho la sensazione che sia domenica, ma il traffico della superstrada, che se non girassi si diramerebbe verso l’Abetone, mi ricorda che, invece, è solo sabato.
Provo a re-immaginarmela Castelleone. Quando Pierre Carniti me ne aveva parlato, di sfuggita, in un incontro che avevo avuto nella sua casa sull'Appia, nell’ottobre di sette anni fa, la sera prima di lasciare Roma e il mio impegno diretto nella sede nazionale della Cisl di Via Po per trasferirmi al Centro Studi di Firenze, me la ero disegnata nella mente. 
Mi ero immaginato Don Primo Mazzolari, come mi aveva raccontato Carniti e come avrebbe riportato nel libro pubblicato per i suoi ottant’anni, “Pensiero, azione, autonomia”, raccontare e intervenire nella casa di famiglia, discutere, in amicizia, con il padre di Pierre.
E me la ero immaginata non troppo dissimile dalle terre pianeggianti di mia madre e di mia nonna, vissute, prima di trasferirsi nel capoluogo, nel più piccolo dei tre Mezzani in provincia di Parma, terra di confine e di protestantesimo, ex colonia penale di galeotti, forte della sua parziale extraterritorialità, prima della costituzione del Regno d’Italia, divisa dalla provincia di Cremona da poche centinaia di metri e dal grande fiume.
Terre agricole, in cui da piccolo tornavo spesso, e dove mi facevo raccontare, nella stalla, tra le tante cose, l’alluvione del 1953, la fuga sui tetti delle case e la speranza riportata dal ritorno del sole.
Paesi in cui la terra la senti dentro e la nebbia, ancora oggi, nasconde la strada e i pochi alberi che si stagliano nei campi. Mentre mi avvicino alla meta ascolto per caso Radio Popolare.Trasmettono un'intensa intervista a Mario Deaglio sul suo nuovo libro su Piazza Fontana. Capto il segnale proprio nel momento in cui Deaglio racconta della reazione, in un contesto difficilissimo, degli amici di Pinelli. Parla in particolare di Bruno Manghi (che definisce "futuro grande sociologo della Cisl") che di Pinelli e della moglie Licia era davvero grande amico.Licia, tra l'altro, batteva a macchina ed editava le tesi di laurea degli studenti di sociologia dell'Università Cattolica.
L'intervista e la strana coincidenza un po' mi distraggono.
Quando raggiungo, con qualche difficoltà, non avendo alcun navigatore, il bel teatro di Castelleone, oltrepasso di corsa le bandiere della Cisl Asse del Po e mi fiondo nella sala. Gremita.



Sul palco, presente Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, sta per prendere la parola Aldo Carera, presidente della Fondazione Pastore, non certo un “carnitiano” doc. Sono curioso di ascoltarlo, credo, sinceramente, che sia una delle prime volte che in pubblico svolge una relazione su Carniti.
Anche lui parla di Castelleone. Ricorda i grandi sindacalisti e animatori sociali di queste terre. Non solo Carniti, ma anche Guido Miglioli, Don Primo Mazzolari (se sconfiniamo verso la provincia di Mantova), Paolo Sartori, che fu peraltro avversario leale di Carniti, nella Fisba.
Usa una bellissima immagine: “scelti dalla vita”. 
Non si può essere sindacalisti prescindendo dai luoghi in cui si opera, dalla vita che si vive. E i luoghi del lavoro, le tradizioni, le sofferenze della povertà della sussistenza agricola nella prima metà del Novecento, la durezza della vita nelle cascine, irrompono nel racconto.
Si chiede Carera: che cosa hanno avuto di speciale questi luoghi, pur abbastanza periferici, per “produrre” un numero così ampio di grandi figure che hanno trasformato la sofferenza in emancipazione, la povertà in sete di eguaglianza, la religiosità, non in ribellismo, ma in inquietudine trasformativa, vissuta con profonda laicità?
Viene ricordata la tensione di Don Primo Mazzolari, quel suo: “obbedire in piedi” che anche Carniti aveva conosciuto direttamente e sottolineato spesso nelle proprie testimonianze.
Riprende il professore su come sia impossibile crescere in un ambiente senza sentirselo dentro, anche se, magari si è solo quindicenni, come il Carniti, che probabilmente incrociò un Guido Miglioli che, dopo tante battaglie, nel 1951 si avventurò, proprio nella zona di Castelleone, in un tentativo coraggioso quanto impossibile per i tempi, prendendo parte alle elezioni amministrative con la lista civica: “Avanguardia”.
In quei frangenti, al di là dei politicismi, non si può non tenere presente il confronto durissimo con gli agrari e la tensione/competizione, spesso inevitabile, con i comunisti.


Andando avanti nella biografia sarebbe poi scontato parlare del celebre corso al Centro Studi del 1956, quello in cui, insieme a Carniti, si è formata una parte consistente della futura classe dirigente della Cisl.
E non è banale ricordare che la tesina finale di Carniti in quel corso fu proprio incentrata sulle forme di aggregazione e cooperazione tra contadini e braccianti nel cremonese volte a riequilibrare, almeno un po’, l’enorme differenza di potere con i possidenti agrari.
Vincenzo Saba, direttore del Centro Studi, scriveva di una “generazione particolare”: una generazione che ha sofferto la fame e che ha saputo reagire. Un filo che lega epoche diverse: da Pastore a Carniti.
Carera ricorda che il sindacalista cremonese frequentò, anni dopo, un altro corso a Firenze; la cosa è meno nota.
Si tratta di uno dei primi corsi per i contrattualisti aziendali, uno di quei percorsi formativi che, ci ha fatto presente recentemente Bruno Manghi, la Cisl ha messo in campo in quel di Fiesole anticipando la realtà: la contrattazione articolata si sarebbe concretizzata, infatti, solo negli anni successivi.
Una realizzazione che deve molto, non solo alle linee strategiche della Cisl da Ladispoli in poi e ai percorsi formativi, ma all’azione sul campo, determinata e innovativa, di uomini come Carniti, insieme ad altri fimmini del “rinnovamento”, due nomi per tutti: Franco Castrezzati e Pippo Morelli.
Interessante è la dinamica dei corsi a Firenze frequentati da Carniti, dinamica che Carera riprende da Saba.
Saba, che fu direttore dal 1955 al 1959, ricordava nei suoi scritti e nelle sue lettere che i corsisti erano seguiti attentamente, giorno per giorno. Si formò in quegli anni, una generazione di giovani che, con le proprie specificità, contribuirono anch’essi alla fondazione del sindacato nuovo.
Sta qui una lezione della storia della Cisl da ricordare anche oggi: essere dirigenti in una stagione o nell’altra richiama sempre e comunque a un’identità condivisa. Anche quando si deve competere per essere scelti: nel 1956, ad esempio, su 430 candidati ne furono individuati (e a quanto pare bene) solo 24.
Un altro tema ancora da approfondire è quello della cultura laburista. Una riflessione che Saba ha posto vent’anni fa tracciando il legame tra Pastore, Romani e Dossetti e che Carniti ha seppe poi declinare in forme nuove, anche nella sua esperienza con i Cristiano Sociali. L’obiettivo è costante: saper portare in sede politica i temi del lavoro.
Quando, nel giugno del 2019, scelsi, durante la giornata di storiografia e cultura sindacale, di accostare Pastore e Carniti pensavo, sinceramente, di operare una forzatura, pur calcolata e ragionevole.
D’altronde ricorderò sempre una riunione sui temi dell’arbitrato di una decina di anni fa, nella sede della Fondazione Pastore in via del Viminale. Rappresentavo la confederazione e in quella occasione il compianto, ma particolarmente tagliente prof. Mario Grandi, facendomi imbufalire, esordì così: “Carniti, nel 1983, ricordandosi, per un attimo, di essere un sindacalista della Cisl….”
In realtà Carera, e poi anche Annamaria Furlan hanno sviluppato diversi elementi di continuità tra Carniti e Pastore. Ce n’è un altro che mi convince molto: il saper organizzare la squadra e, contemporaneamente, valorizzare, senza sudditanza, un gruppo plurale di intelligenze.
Come ricordato da Giuseppe De Rita, in una recente commemorazione di Pastore, va colta, anche per la difficile temperie odierna, l’importanza della costruzione di relazioni, dell’aggregare persone che possano aiutare i grandi leader nel trovare risposte valorizzando la collaborazione con chi, anche nel mondo accademico, è attento ai temi sociali e del lavoro.
Davvero, senza cercarne altri più forzati, è questo il grande tratto comune, direi unico tra i due: Pastore e Carniti. Basti ricordare da un lato la creazione del Centro Studi di Firenze e del gruppo di supporto al Ministero del Mezzogiorno e dall’altro l’eccezionale esperienza della rivista Dibattito Sindacale, alla Fim di Milano e il grande sviluppo della cultura cislina durante la segreteria generale di Carniti a cavallo del difficile passaggio tra anni settanta e ottanta del Novecento.
Ci sono ovviamente momenti epocali che sviluppano “cose nuove”. Viene ricordato il bellissimo manifesto della Fim del 1968 e la tensione carnitiana nel riscoprire la dimensione tradeunionistica, il ripartire dalla base per impegnarsi con esigenza per l’incompatibilità e per l’unità sindacale.
Un tema complesso: partire dal potere nella fabbrica per poter affermare un potere reale nella società, a volte etichettato dai critici di Carniti con il termine che, se interpretato alla lettera, a me non è mai dispiaciuto: “pansindacalismo”.
Carera, con gentilezza anche eccessiva, mi cita diverse volte. Riprende da un mio scritto un bellissimo incipit di una relazione di Carniti ad un consiglio generale Cisl del 1977, quello in cui diverrà segretario generale aggiunto di Macario.
Il sindacato non deve: “fare da guardia alle istituzioni”, ma ripartire dalla base, anche quella più povera, arrabbiata, scarsamente rappresentata. Pochi giorni dopo quel consiglio generale Luciano Lama, il mite segretario generale della Cgil, molto stimato da Carniti, verrà cacciato in malo modo dagli studenti e dai movimenti “metropolitani” dall’Università di Roma.
Carera chiude citando un testo di Carniti che non conoscevo, l’intervento del 2013 nel volume degli scritti in onore di Gian Primo Cella, uno di quegli intellettuali a cui l’incontro con il sindacato e con Carniti ha cambiato la vita.
In quello scritto, in un testo pieno di interventi accademici, Carniti ricorda che occorre: “partire dai poveri per capire le cose”.
Torno per un attimo ai miei pensieri.
A mia madre che, proprio alla stessa età di Giulio Pastore, rimane, bambina, orfana del padre, amatissimo.
Alla Resistenza delle pianure della Bassa, non solo quella delle montagne, alla politica e al sindacato, alle generazioni, ai dialoghi interrotti e alle parole nuove.
Intervengono poi i figli Flavio e Pierre jr, che ricorda a tutti l’uscita del bando del premio per i giovani ricercatori dedicato al padre, la sorella di Pierre, in un intreccio di emozioni che è difficile riportare.



Prima delle belle conclusioni, a braccio, di Annamaria Furlan, prende la parola Antonia Carlino, moglie di Giuseppe Garraffo che, con il marito, ha condiviso la stagione della nascita della Cisl Medici e l’amicizia profonda con tutta la famiglia Carniti.
Parlando di questa amicizia e di queste stagioni, intrecciando la Sicilia alla nebbia delle curve tra Castelleone e Crema, Antonia trova un’immagine che mi porterò nel cuore e nell’anima per tutto il viaggio di ritorno: “Koinonia di pensieri”.
Ripenso a questo concetto mentre rileggo un messaggio ricevuto qualche ora prima.
“Fermati, guarda il cielo e… respira”.
Koinonia non è una parola qualunque: significa comunione, mettere insieme, non solo le “cose”, ma se stessi.
Come le prime comunità cristiane.
Se il sindacato continua ad essere questo ha certamente un futuro importante davanti a sè.
I testimoni come Carniti, tra storia e memoria, non devono, però, diventare santini, comodi quanto superficialmente traditi.
Devono aiutarci a remare controcorrente, a scegliere di respirare e, insieme ai poveri, di puntare gli occhi proprio dritti verso le nuvole del cielo.
Non occorre “assaltarle”, basta accorgersi di esse.
Mi accorgo, mentre cerco sempre senza navigatore l’imbocco dell’autostrada che mi riporti ai piedi degli Appennini a Pistoia, che sono nuvole inaspettatamente disorientate d’azzurro.
Un azzurro che riporti a casa con te, persino se hai tante salite e più di una paura, fuori e dentro, da attraversare.
Persino se riparti nell’autunno, piovigginoso, di Castelleone. In un sabato che, anche grazie alla memoria viva di Pierre Carniti, torna a sembrare, altrettanto inaspettatamente, domenica.
Chissà dove si posa la cenere dei sigari, lassù nel cielo.

Francesco Lauria

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