6 giugno 2021 - 23:19

L’Italia di Mancini agli Europei 2021: è la prima volta che l’uomo simbolo è il c.t.

È una Nazionale che non c’entra niente con il campionato, tutti i giocatori si esprimono meglio. Il mistero adesso è nel lavoro degli altri, l’Inghilterra potrebbe giocare le partite finali in casa

di Mario Sconcerti

L'Italia di Mancini agli Europei 2021: è la prima volta che l'uomo simbolo è il c.t.
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È la prima volta che il giocatore simbolo della Nazionale è il suo allenatore. Pozzo diventò commissario tecnico a 26 anni, poi partì per la Grande Guerra. Era un italiano semplice e rispettoso di chi comandava, aveva un carisma roccioso da bravo zio, negli spogliatoi faceva cantare i cori alpini perché gli sembrava facessero patria, quindi gruppo. Ma aveva giocatori come Meazza, Ferrari, Piola che lo sovrastavano.

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Bearzot aveva la squadra ideale, metà blocco Juventus e metà Inter, l’ultima scelta tra soli italiani. Nel ’78 la sua Italia in Argentina fu il primo spettacolo visto con la televisione a colori, Cabrini diventò il fidanzato d’Italia, Paolo Rossi, magro, ossuto e pieno di luce, il simbolo di un neorealismo ottimista.

Quella di Lippi aveva dentro Totti, Del Piero, Buffon, Cannavaro, De Rossi, è stata l’ultima generazione di fuoriclasse cresciuta senza stranieri.

Questa che sta partendo è invece per definizione la Nazionale di Mancini. Nel tempo il commissario tecnico è stato un lavoro mai cambiato. Non si è mai chiamato allenatore, ma selezionatore, perché quello doveva fare: scegliere, mettere insieme giocatori rispettando le caratteristiche mostrate in campionato. Il tipo di gioco non poteva che essere un classico italiano, cioè un 4-4-2 leggermente sfasato nella linea mediana, quasi a rombo, con un mediano arretrato, un trequartista, una mezzala che corre e un regista. Sempre due punte, più un’ala che copre quando si inseriscono in area le due mezzeali. Era complesso cambiare gioco, pericoloso. Perché mancava il tempo per provare e perché, avendo i migliori di ogni ruolo, era sbagliato costringerli a interpretazioni diverse.

L’Italia di Mancini non è figlia di nessuno. I diciassette che hanno giocato venerdì a Bologna vengono da dieci squadre diverse. Sassuolo e Juventus hanno in squadra lo stesso numero di giocatori, tre. L’Inter solo Barella, il Milan solo Donnarumma. Davanti a questa Babele Mancini ha capito che doveva fare a modo suo. Così non ha cercato una squadra, ha cercato il calcio. E per farlo doveva dimenticare quello che siamo, perché in Italia si gioca male e non siamo competitivi da tanti anni. Mancini ha rovesciato il concetto, non conta più la specializzazione del ruolo, conta la qualità dell’individuo per poter inventare ruoli diversi. E c’è riuscito.

L’Italia di Mancini: la diversità

È questo lo spettacolo attuale: che per la prima volta una Nazionale non c’entra niente con il campionato. Gioca un calcio che non vediamo nei nostri stadi, a ritmi alti, senza fuoriclasse ma con giocatori che sembrano tutti bravi. Eppure Florenzi ha difficoltà a trovare una squadra; Chiellini e Bonucci sono vecchi e acciaccati; Berardi è ufficialmente discontinuo, Insigne a trent’anni ancora incompiuto; Locatelli si è appena ritrovato; Spinazzola è di cristallo; Chiesa gioca a testa bassa, Bernardeschi è scomparso, Cristante uno normale, Raspadori un ragazzo. Ma tutti giocano molto meglio in Nazionale. C’è un filo rosso che tiene insieme questi giocatori, nessuno dei quali ha ancora fatto cose eccezionali.

Mancini ha costruito una squadra e qualcosa di più, ha costruito un’invenzione, una speranza, quella sensazione di vaga immortalità che fa capire di essere unici. Questo non basta per vincere, ma serve a capire un lavoro diverso. Il mistero adesso è nel lavoro degli altri, nessuno sa davvero cosa sia diventata l’Inghilterra, cosa la Francia, o se il Belgio sia davvero maggiorenne. L’unica differenza giudicabile è che semifinali e finali si giocheranno a Wembley, l’Inghilterra cioè potrebbe giocare sei partite su sette in casa. Un vantaggio enorme per le squadre inglesi. Ma noi siamo diversi, riconoscibili. Per vincere questo tipo di tornei bisogna sempre crescere un po’anche dentro il torneo. Non basta quello che sei fino al giorno prima. Devi dare di più. Ma l’Italia di Mancini ci ha messo tutti dentro un grande esperimento. Era tanto che non parlavamo di un calcio nostro. Ora sappiamo che possiamo giocar bene anche noi. Vediamo dove porta.

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