Sette sorelle

Acciaio, export e produzione sono da primato

Nonostante la crisi del settore Brescia, Cremona, Milano, Lecco, Mantova, Bergamo e Como hanno registrato le migliori performance nazionali

di Matteo Meneghello

4' di lettura

Brescia, Cremona, Milano, Mantova, Bergamo, Lecco e Como. Le sette sorelle dell’acciaio lombardo consegnano alla regione un primato nazionale per concentrazione di attività siderurgica, ma soprattutto per capacità di penetrazione negli scambi commerciali al di fuori dei confini italiani. Una performance che emerge dall’analisi dei flussi esportativi dei codici Istat relativi all’acciaio suddivisa per province, condotta dal centro studi di Siderweb. Il confronto della performance dell’ultimo anno con la situazione al 2008, vero spartiacque congiunturale per l’industria manifatturiera italiana, fa inoltre emergere con decisione un vero e proprio «cambio di testimone», nella leadership industriale italiana dell’acciaio, tra i poli produttivi storici, per la maggior parte a matrice statale, di Torino, di Genova, di Terni, di Piombino e di Taranto, e la nuova generazione delle acciaierie lombarde (accanto a quelle venete e friulane), a forno elettrico, votate fin da subito all’interscambio con i paesi europei più vicini, come Germania, Francia, Austria e Spagna.

L’export e la congiuntura
Il 2020 è stato un anno difficile per la siderurgia italiana e lombarda, frenato dai lockdown e dal difficile scenario congiunturale. La produzione, su scala nazionale, è scesa al punto più basso mai toccato dopo un altro annus horribilis come il 2008. Secondo i dati di Federacciai, l’anno scorso sono stati prodotti poco più di 20 milioni di tonnellate il 12% in meno rispetto all’anno precedente. In questo panorama i prodotti «lunghi», core business delle acciaierie bresciane, hanno subito un rallentamento inferiore alla media, pari al 9,6%, mentre i «piani», produzione legata all’attività delll’ex Ilva ma anche di due operatori lombardi come Arvedi e Marcegaglia (che non è produttore ma trasformatore), hanno subito un calo più accentuato, pari al 15,9%. In regione è attivo con un’acciaieria anche un altro grande player internazionale, la Tenaris Dalmine in provincia di Bergamo, specializzata però in una nicchia produttiva, i tubi senza saldatura per l’oil&gas.

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LA LEADERSHIP INDUSTRIALE
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Anche sul fronte dell’export, il 2020 è stato un anno di frenata. «L’anno scorso - spiega Gianfranco Tosini, del centro studi Siderweb - le esportazioni totali italiane di prodotti della siderurgia, tubi e altri prodotti della prima trasformazione dell’acciaio sono diminuite del 18,6%, passando da 18,1 a 14,7 miliardi di euro». Si tratta di una variazione che, spiega l’analista, «è dovuta sia alla riduzione dei prezzi, in media del 4,6%, sia al calo delle vendite in quantità» con un arretramento del 14 per cento. Complessivamente, l’anno scorso le esportazioni dei primi venti poli siderurgici italiani sono passate da 15,1 a 12,1 miliardi di euro con un calo del 19,9 per cento. Le variazioni negative hanno interessato tutti i poli produttivi italiani: a Taranto (-56,9%), Genova (-40,9%) e Alessandria (-40,6%), dove sono dislocati gli impianti produttivi dell’ex Ilva, si sono registrati i valori in negativo più lontani dalla media, ma anche altre realtà come Ravenna (-37,7%), Bergamo (-25,9%), Aosta (-24,2%) e Torino (-23,7) hanno archiviato pessime performance. Inoltre anche i poli con le performance migliori, come Mantova (-9,1%), Forlì-Cesena (-11,2%), Lecco (-11,5%), Cremona (-12,1%) e Vicenza (-12,8%) sono costrette a registrare un rallentamento almeno a doppia cifra.

La corsa dei forni elettrici
L’anno appena passato, come detto, è stato da dimenticare per tutti. Ma è nel confronto con il 2008 che emerge con chiarezza la nuova geografia dell’acciaio italiano, all’interno del quale la Lombardia gioca un ruolo da protagonista, con quattro centri nelle prime cinque posizioni e sette nelle prime venti. L’effetto sostituzione, evidente dall’andamento della produzione e degli investimenti programmati nell’ultimo decennnio, trova conferma nell’andamento delle esportazioni che, spiega Tosini «hanno registrato una riduzione molto più marcata nelle province dove erano o sono presenti le aziende siderurgiche di maggiori dimensioni. Nel 2020 rispetto al 2008, le esportazioni di prodotti siderurgici della provincia di Taranto - prosegue - sono diminuite dell’86,8%, relegandola al penultimo posto nella classifica dei primi venti poli siderurgici italiani; quelle della provincia di Livorno (ex Lucchini di Piombino) si sono ridotte del 74,3%, causando l’esclusione dai primi venti poli siderurgici italiani; le esportazioni della provincia di Torino (ex stabilimento Thyssenkrupp) sono diminuite del 62,1%, provocando la perdita di sette posizioni nella classifica».

Al vertice della classifica c’è oggi Brescia che, nonostante il calo, nel 2020 ha venduto oltreconfine 1,424 miliardi di prodotti siderurgici, soprattuto in Germania (vale il 31,7%), Francia (14,5%) e Austria (6%). Al terzo posto (al secondo posto c’è Udine) figura il polo di Cremona con 1,117 miliardi, venduti soprattutto in Germania, Belgio e Austria. Appena sotto il podio, al quarto posto, c’è Milano, che l’anno scorso ha venduto 908 miloni di tonnellate prodotti sideurgici all’estero. Al quinto posto un’altra provincia lombarda, Mantova, con circa 900 milioni di tonnellate spedite, con un calo inferiore alla media che le ha permesso di scalare quattro posizioni. Nella top ten nazionale c’è spazio anche per il polo di Bergamo, con una contrazione del 25,9% dovuta soprattutto alle vendite all’estero di tubi che rappresentano quasi il 70% del totale. Tra i primi venti, all’undicesimo posto, anche Lecco, terra di trafilerie, che l’anno scorso ha esportato 594mila tonnellate di prodotti siderurgici, mentre l’ultima delle«sette sorelle» lombarde tra i primi venti poli nazionali dell’acciaio è Como: 214mila tonnellate di venduto, 16mila tonnellate in più dell’area di Taranto, dove il gigante dell’ex Ilva è ancora in affanno.

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