25 luglio 2021 - 22:22

Vaticano, via al processo al cardinale Becciu. Dieci anni di segreti e corruzione nella Santa Sede

di Milena Gabanelli, Mario Gerevini, Fabrizio Massaro

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In Vaticano è l’ora dei conti: con la giustizia e con i bilanci. Alla prima ci pensa il tribunale terreno del Papa, che da martedì 27 luglio processerà, fra gli altri, un cardinale: Giovanni Angelo Becciu. È la prima volta nella storia. I reati a vario titolo contestati ai 10 imputati sono truffa, riciclaggio, peculato, corruzione. Sui bilanci pesano i resoconti finanziari in rosso e l’uso spregiudicato, nel recente passato, dei fondi della Segreteria di Stato. Un «marcio sistema predatorio e lucrativo» secondo i magistrati del Papa, dove soggetti «improbabili se non improponibili» hanno attinto alle risorse della Santa Sede grazie anche a «limitate ma assai incisive complicità e connivenze interne».
Gli imputati

Davanti a una corte (di laici) e all’opinione pubblica di tutto il mondo verranno ripercorsi, analizzati e giudicati dieci anni di gestione segreta delle finanze del Vaticano. Oltre a Becciu, alla sbarra ci sono il suo ex segretario monsignor Mauro Carlino, la sedicente agente segreta «ingaggiata» da Becciu, Cecilia Marogna, lo storico banchiere del Vaticano Enrico Crasso, il commercialista che aveva le chiavi della cassa del Papa Fabrizio Tirabassi, gli ex vertici dell’Aif, l’Antiriciclaggio vaticano, René Brülhart e Tommaso Di Ruzza (per solo abuso d’ufficio), l’avvocato d’affari Nicola Squillace, il finanziere a cui sono stati dati in gestione 200 milioni delle offerte dei fedeli Raffaele Mincione, e il broker di valute incaricato dalla Segreteria di Stato di tutelare quel patrimonio, Gianluigi Torzi, poi arrestato con l’accusa di estorsione ai danni della Santa Sede.

I retroscena

Per la prima volta saranno esaminate in pubblico le scelte finanziarie, gli investimenti, le logiche di selezione dei consulenti e dei banker da parte della Segreteria di Stato. Magari si chiariranno anche i punti oscuri: per esempio, per quale motivo il Vaticano abbia trattato per mesi con un presunto estorsore e perché gli abbia poi bonificato 15 milioni; o i retroscena dello scontro tra lo Ior e il segretario di Stato Pietro Parolin per un prestito (non concesso) da 150 milioni di euro; e anche quanto il Vaticano ha effettivamente perso con le scommesse finanziarie spericolate dei vari Becciu, Perlasca e Tirabassi «assistiti»da Mincione, Crasso, Torzi e da altri imputati.
C’è un aspetto di immagine e reputazionale molto delicato: i fondi della Segreteria di Stato, oltre 600 milioni di euro, derivano dalle offerte dei fedeli al Papa, il cosiddetto «Obolo di San Pietro» che si raccoglie ogni anno il 29 giugno nelle chiese di tutto il mondo. È un’entrata fondamentale: da quel tesoro ogni anno i papi attingono per ripianare le perdite della macchina operativa del Vaticano. Solo il 10%, viene usato dai pontefici per la carità; la gran parte serve a sostenere le spese della Curia Romana, le ambasciate (nunziature), la comunicazione, i giornali, l’uniformità del rito in tutti i paesi, fino ai tribunali ecclesiastici.

L’obolo ricapitalizza l’azienda

Ma a quanto ammonta il buco del Vaticano? Per tre anni, fino al 2018 compreso, i bilanci della Santa Sede non sono stati resi pubblici, ma hanno sempre chiuso in perdita. Nel 2016 il bilancio vaticano ha perso 3 milioni, l’anno dopo 32 milioni. Nel 2018 ne ha bruciati 75, nel 2019 altri 11 e infine 66 l’anno scorso. Nel 2020, infatti, al deficit strutturale si è aggiunto il Covid: con i Musei Vaticani (i più visitati al mondo) chiusi per quasi un anno e minori affitti incassati dagli inquilini, c’è stato un calo di circa 100 milioni di ricavi.

Complessivamente tra il 2016 e il 2020 il deficit cumulato è pari a 187 milioni. Se si aggiungono le stime sul 2021 il buco varia tra 237 e 276 milioni di euro.
Negli ultimi dieci anni le offerte all’Obolo sono calate costantemente. E così hanno contribuito sempre meno a ripianare il deficit: dai 68 milioni di euro del 2014 le donazioni sono scese nel 2020 a 44 milioni. «Tra il 2015 e il 2019 la raccolta dell’Obolo di San Pietro è diminuita del 23%, e nel 2020 è stata inferiore del 18%. È probabile che la crisi legata alla pandemia si faccia sentire ancora quest’anno», ha detto il Prefetto per l’Economia Juan Antonio Guerrero Alves. La lezione sembra imparata: sabato 24 luglio, presentando i conti 2020 ha ammesso: «Abbiamo imparato che la trasparenza ci protegge più della segretezza».
Le perdite dagli investimenti

Il caso del palazzo di Sloane Avenue a Londra è emblematico: è costato circa 350 milioni, secondo i magistrati. Quanto ci ha perso il Vaticano? Per ora si può solo stimare: tra 73 e 166 milioni, secondo monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa (una sorta di fondo sovrano del Vaticano). L’unico dato certo sul palazzo emerge dal bilancio 2019, appena pubblicato e inedito, della società che lo detiene, la London 60 limited. L’immobile ha perso quasi 49 milioni. Ma da dove arriva la maxi-perdita? Nelle carte non c’è una riga sull’andamento della gestione. Approvare con 19 mesi di ritardo solo un risicato bilancio del «famigerato» palazzo di Londra, che resta uno dei più importanti asset patrimoniali dell’intera Santa Sede, non corrisponde alla trasparenza chiesta da Papa Francesco.

La spia del monsignore

Intanto chi gestisce il famoso palazzo? Il controverso architetto Luciano Capaldo, arrivato quasi per caso in Vaticano, è un manager che per anni ha lavorato con l’imputato Torzi. Ma il lato più sorprendente dello strano rapporto Capaldo-Vaticano emerge solo ora da alcune carte giudiziarie. Si scopre infatti che per conto di monsignor Carlino spiava il suo vecchio datore di lavoro (Torzi, appunto) attraverso l’impianto di videosorveglianza dell’ufficio londinese del broker, di cui lo stesso Capaldo aveva le chiavi d’accesso. Carlino inoltre per reperire informazioni su Torzi si appoggiava anche ad agenti segreti e si faceva coprire le spalle da un bodyguard. Non proprio quello che ti aspetti da un monsignore al vertice della Segreteria di Stato, a lungo segretario di Becciu. Dalle 29 mila pagine degli atti dell’inchiesta emergono altri affari opachi, come i soldi persi nei quattro immobili, sempre a Londra, della società Sloane & Cadogan, dove la Segreteria nel 2015 investe 67 milioni di sterline, senza alcuna perizia indipendente; a fine 2017 ne perdeva già più di 14, secondo i calcoli del revisore. Chi aveva venduto? Quattro società offshore di Jersey, che nascondono i nomi di chi ha davvero incassato quei soldi. Ci sono poi i 5 milioni bruciati nel 2017 su titoli Astaldi, già sull’orlo del crac. O ancora il flop della produzione dell’ultimo film della saga di Men in Black, quasi 3 milioni persi.

I soldi che potrebbero tornare in cassa

Sono già sotto sequestro 64 milioni di euro degli imputati. Ma la Mani Pulite del Vaticano potrebbe portare molto di più dai due nuovi filoni d’indagine aperti dai promotori di giustizia. Uno riguarda lo Ior vecchia gestione e un suo investimento spericolato in un palazzo in Ungheria, l’ex sede della Borsa di Budapest: una vicenda complicata, già oggetto di cause civili a Malta, e che vale almeno 42 milioni di euro. Un’altra inchiesta è legata alla raccolta dell’Obolo in Italia e al suo sito web, e alla raccolta del denaro. A gestire per anni quei fondi è stato monsignor Alberto Perlasca, ora il grande pentito che sta raccontando anni di retroscena e per questo è stato graziato dai magistrati (e dal Papa). Ma molto probabilmente saranno gli altri imputati a processarlo, per difendersi.

Intanto Francesco la sua sentenza di fatto l’ha già emessa, con una sorta di giustizia parallela ha allontanato e depotenziato i personaggi centrali di questa vicenda

Lo scorso febbraio ha fatto chiudere tutti i conti in Svizzera, ha tolto la cassa alla Segreteria di Stato trasferendola all’Apsa. Che solo ora, dopo oltre 50 anni, ha reso nota una sintesi di bilancio.
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