Perché Mattarella ha usato il termine «ruolo» e non «mandato»: il senso dell’ultimo discorso del Presidente

di Marzio Breda

L’ultimo messaggio di fine anno del Capo dello Stato: l’analisi

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Racconta «il volto autentico dell’Italia», come l’ha visto lui. Quello «laborioso, creativo, solidale, unito», lasciando perdere per una sera certe divisioni ed egoismi (comunque minoritari) affiorati anche durante la pandemia. L’immagine di un Paese sul quale – dice, invitando i cittadini a fare altrettanto - «nutro fiducia», nella sicurezza che «crescerà». Così, nonostante tutto, è improntato a un ottimismo ragionato l’ultimo messaggio di Sergio Mattarella dal Quirinale. «Tra pochi giorni si concluderà il mio ruolo da presidente», sillaba, ed è un esordio che conferma drasticamente il suo no all’ipotesi di un bis. Avesse detto «mandato» anziché «ruolo», la frase avrebbe potuto esser interpretata in modo diverso, perché un mandato, quando si esaurisce, resta pur sempre replicabile.

Del resto, i suoi sette anni sul Colle , «impegnativi, complessi e densi di emozioni», si sono susseguiti su una sequenza di consensi in crescita e che sarebbe arduo raddoppiare. Di questa combinazione empatica tra lui e gli italiani, il capo dello Stato ringrazia tutti, ricordando i momenti «più felici ma anche i giorni drammatici», che gli hanno fatto percepire l’aspirazione diffusa nel Paese a »essere una vera comunità». La dura prova della pandemia, con i suoi lutti e con le ferite sociali ed economiche in via di risanamento, ha un grande risalto nel suo messaggio. Che mantiene un’asciuttezza di toni e una sobrietà antiretorica anche quando evoca il «patriottismo» o quando tocca il tema dei vaccini, «strumento prezioso» offertoci dalla scienza, attraverso il quale, se non ci può garantire una invulnerabilità, rappresenta ancora la miglior difesa per ridurre i danni del virus (qui l’integrale del discorso).

E stavolta rinuncia a esprimere nuove censure, dando per acquisite quelle già espresse, alle intemperanze (anche violente) dei no-vax. Rivelatrice la parte autobiografica, nella quale qualcuno forse vorrà vedere una sorta di identikit del perfetto presidente. In realtà, raccontando come ha interpretato il proprio compito, Mattarella non intende indicare modelli vincolanti per nessuno, né tantomeno entrare nel dibattito in corso su presidenzialismo di fatto o di diritto, tenendosi dunque anche in questo modo distaccato dall’elezione del prossimo capo dello Stato. Si limita a spiegare la sua personale chiave di lavoro: «Spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune… E salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che deve trasmettere integri al suo successore». Sottolinea che non sta a lui dire se e quanto sia riuscito ad «adempiere a questo dovere».

Ma è un fatto che, pur nella difficoltà di tenere a battesimo cinque governi in sette anni, il clima politico è cambiato e il rispetto tra i partiti sembra in miglioramento. Merito anche di alcune sue scelte cruciali tra il 2015 e oggi, che non cita ma che tutti rammentiamo, perché hanno permesso al Paese di «evitare pericolosi salti nel buio». Un’allusione, esplicita per quanto velata, ai due brevi e tormentati governi gialloverde e giallorosso, cui è seguito l’esecutivo di salvezza nazionale guidato da Mario Draghi, grazie ai quali l’Italia ha evitato lo scioglimento anticipato delle Camere, con una sconsigliabile e lunga paralisi nel pieno dell’emergenza Covid. Altre questioni politiche risuonano come un non-detto che pesa, nella riflessione del presidente. Per esempio, il cenno al «legame tra istituzioni e società», che va «continuamente rinsaldato da parte di chi si trova a svolgere pro-tempore un incarico pubblico a tutti i livelli». E quel pro-tempore suona come un richiamo a non sentirsi investiti di un potere a vita. Ad avere il senso del limite, insomma. Lui per primo (qui tutti i discorsi del settennato).

31 dicembre 2021 (modifica il 1 gennaio 2022 | 11:10)