L’Unione Europea ha ricevuto nei giorni scorsi la richiesta di adesione dell’Ucraina assediata dalla Russia di Vladimir Putin. Il Parlamento Europeo ha calorosamente applaudito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in collegamento da Kiev attaccata dalle bombe e dai missili russi, ma ad ora la Commissione Europea di Ursula von der Leyen non ha acluna intenzione di muovere passi decisi verso l’integrazione del “granaio d’Europa” nell’Unione.

Certo, Kiev sarà la prima nazione a ricevere armi dall’Ue, la prima nazione in guerra assistita militarmente da Bruxelles, un partner sempre più forte per l’Europa. Oltre ai 500 milioni in aiuti militari, l’Ucraina riceverà 1,2 miliardi di euro in assistenza finanziaria, fondi deliberati a inizio febbraio prima dell’aggressione russa. Inoltre, nel quadro di Next Generation Eu Bruxelles si è dichiarata disposta a mobilitare i fondi europei di React EU in relazione all’arrivo di rifugiati in fuga dall’Ucraina. A proporre la mossa è stata la commissaria europea per la Coesione e le riforme, Elisa Ferreira, in occasione di una riunione informale dei ministri competenti in Francia, dopo che essa era stata sollecitata dal presidente di Eurocities, il network dei medi e grandi centri urbani europei, il sindaco di Firenze Dario Nardella. “Abbiamo chiesto alla commissaria Ferreira – ha affermato il sindaco dopo il Summit europeo delle regioni e delle città tenutosi a Marsiglia il 3 marzo scorso – che i fondi strutturali di coesione vengano utilizzati, a partire da quelli già stanziati, per rispondere a questa emergenza in maniera flessibile, e abbiamo proposto per il loro uso un canale diretto di collegamento tra Commissione Europea e autorità locali. L’Unione europea e le città devono essere più unite che mai in questo momento”.

Si tratta solo dell’ultima, e più drammatica, fase di rafforzamento di una partnership che dura da un trentennio. Dal 1991 l’Europa unita e l’Ucraina cooperano, ma anche dopo il 2014 il tanto agognato accesso dell’Ucraina all’Ue non si è mai concretizzato. La guerra avvicina l’Ucraina all’Europa ma per ora la allontana dall’Ue. Questo perché i differenziali economico-politici sono notevoli e difficili da superare.

L’Ucraina si trova ad oggi molto lontana dagli standard europei medi in termini di crescita, sviluppo e stabilità. Tra il 2010 e il 2012, il primo processo di colloqui tra Ue e Ucraina sul possibile atto di approvazione della Deep and Comprehensive Free Trade Area (Dcfta), accordo bilaterale di libero scambio poi entrato in vigore nel 2016, è stato frenato dalle preoccupazioni per la gestione del diritto interno nazionale e dai problemi sull’uso politico della magistratura. Questioni che oggigiorno non appaiono meno urgenti. Così come appare preoccupante la guerra degli oligarchi che più volte ha visto, nel fuoco incrociato anche l’attuale presidente.

Sul fronte dei fondamentali economici, l’Ucraina ha ad oggi un rapporto debito-Pil sotto la soglia del 60% richiesto dai parametri di Maastricht (pari al 53%) ma che è destinato ad esplodere dopo la guerra specie considerato il fatto che la ricostruzione imporrà un durissimo sforzo economico. Tutto questo, poi in un’economia in decrescita netta: da 190 miliardi di dollari nel 2013, il Pil ucraino è sceso a 155 nel 2020 (-22,06%), e la perdita del Donbass ha sottratto al Paese quasi un quinto della sua economia.

In altre parole, Kiev si trova in una situazione molto complessa. Da un lato, il governo ucraino ha l’esigenza di entrare a far parte dell’Ue in modo tale da sentirsi più protetta di fronte alle minacce esterne; dall’altro lato deve tuttavia fare i conti con la realtà, ossia un’economia fragile e, già prima dello scoppio del conflitto, in seria difficoltà. A meno che Bruxelles non decida di fare un’eccezione o di cambiare qualche carta in tavola, la sensazione è che la situazione sia destinata a restare in fase di stallo.

Come se non bastasse, ci sono due riserve che devono essere sciolte. Innanzitutto bisognerà capire come finirà la cosiddetta operazione militare russa sul suolo ucraino. Già, perché nel caso in cui il Paese dovesse finire sotto il dominio di Mosca, direttamente o indirettamente, l’Ue resterebbe soltanto un sogno lontano. Ci sono poi altre due possibilità: che l’Ucraina si trasformi in una nuova Siria oppure che il Paese venga smembrato in due o più entità tra loro distinte. La seconda riserva riguarda invece il rapporto tra Unione europea e Nato. Negli ultimi anni, l’ingresso nella Ue lasciava presagire a un conseguente ingresso di un certo Paese anche nel club Nato. Ecco, tutto questo per l’Ucraina non può assolutamente valere, almeno a giudicare le richieste del governo russo.

Complessivamente, come ricordato su Kritica Economica, “dal 2014 ad oggi, l’Ue ha fornito circa 17 miliardi di euro all’Ucraina, sia a sostegno della sua economia claudicante che della modernizzazione del Paese, oltre agli aiuti promossi per combattere il Covid-19. L’impegno in caso di ingresso di Kiev nella comunità sarebbe ancora più profondo”. La sola ricostruzione di un Donbass reincorporato alla nazione (ipotesi sempre più improbabile) costerebbe a Kiev 20 miliardi di euro.

Per fare un esempio di quanto potrebbe essere importante l’assistenza finanziaria richiesta per integrare l’Ucraina in Europa, poniamo il caso di una nazione simile sotto il profilo demografico che accede a cospicui aiuti Ue, la Polonia. Tra il 2015 e il 2019, Varsavia, nel quadro finanziario europeo pre-pandemico, ha ricevuto dai fondi comunitari 49,5 miliardi di euro netti circa per una media annuale di circa 10 miliardi di euro che hanno coperto il 5% della spesa pubblica nazionale del governo polacco. La Polonia ha, per fare un paragone, stando ai dati 2020 un reddito pro capite di 15.656 dollari, quasi cinque volte quello dell’Ucraina (3726,93 dollari) destinato a comprimersi ulteriormente dopo la guerra.  I finanziamenti di coesione europei dovrebbero dunque:

  • Sostenere la ricostruzione dell’Ucraina.
  • Garantire la stabilità del cambio monetario e dei titoli di Stato
  • Sostenere una necessità di incremento della spesa pubblica in una condizione di crescita incerta e indebitamento in esplosione.
  • Finanziare un sistema di welfare, la re-industrializzazione, l’integrazione definitiva al mercato interno
  • Rafforzare i principali fronti di vulnerabilità dell’Ucraina (difesa ed energia).

Obiettivi che impatterebbero sui programmi europei già esistenti, su quelli in via di decisione, sull’attività dei governi e dunque sul conto economico dei Paesi aderenti all’Unione. I Paesi dell’Ue sono pronti a sostenere un costo del genere? La risposta non gridata, sinora, è stato un “no” corale.