L’INTERVISTA

«Coldiretti plaude alla riduzione dei pesticidi in Italia? Io non ci credo, e vi spiego perché»

di Alessio Cozzolino

«Coldiretti plaude alla riduzione dei pesticidi in Italia? Io non ci credo, e vi spiego perché»

Cauto ottimismo. Se l’approccio di Eleonora Evi – eurodeputata eletta tra le fila dei Verdi – potesse essere sintetizzato in una espressione, probabilmente questa sarebbe la migliore. È una Evi prudente, infatti, quella che commenta – nel corso di una intervista a Pianeta 2030 del Corriere della Sera – i recenti dati Coldiretti (3 maggio) secondo i quali l’uso dei fertilizzanti nel nostro Paese sarebbe calato del 20% nel periodo compreso fra il 2011 e il 2020 (Eurostat).

La co-portavoce di Europa Verde Eleonora Evi: «Meno fitosanitari? È un’illusione: moltissimi prodotti alimentari portano residui di prodotti pesticidi illegali». E prosegue: «La Farm to Fork e la Strategia sulla Biodiversità Ue annoverano tra i loro obiettivi anche la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi chimici entro il 2030. Ma Bruxelles finanzia le colture intensive che ne fanno largo uso»

Onorevole Evi, sono giorni concitati in Unione Europea per quanto concerne le politiche alimentari. Coldiretti intravede, però, segnali positivi provenire proprio dall’Italia. Che cosa ne pensa?
«I dati, come di consueto, vanno interpretati. In Italia la riduzione dell’uso di prodotti chimici destinati all’agricoltura dipende in larga parte dall’aumento delle superfici votate al biologico, ma c’è anche un altro fattore importante da considerare: i principi attivi di fertilizzanti ed agro-farmaci sono sempre più potenti e persistenti, e le molecole usate hanno un maggior grado di tossicità, pertanto, nonostante un calo nel numero dei trattamenti, si registra una crescente e quanto mai preoccupante perdita di insetti impollinatori. E c’è un’altra cosa fondamentale da aggiungere: la mancanza di dati esaustivi. Mi spiego. I dati Eurostat ed Istat rilevano solo le quantità di prodotto ufficialmente venduto, ma a questi dati sfuggono i prodotti acquistati tramite mercato nero, che entrano in circuiti irregolari. Le segnalazioni ai carabinieri forestali parlano di quantità importanti di prodotti fitosanitari illegali».

Secondo alcuni report, il traffico illecito di pesticidi non riguarda solo l’Italia...
«È un problema enorme. Ed è inaccettabile che l’Europa esporti in Paesi terzi proprio quei pesticidi che sono vietati nell’Unione europea e che paradossalmente tornano sulle nostre tavole quando importiamo prodotti alimentari da questi Paesi. Assurdo che l’Ue vieti l’uso di pesticidi di cu i consente la commercializzazione. Un altro problema è la mancanza di un rapporto periodico delle attività di vigilanza, in quanto il monitoraggio ambientale è limitato alle acque, grazie alla direttiva quadro di riferimento, ma è proprio dai rapporti ISPRA sulla qualità delle acque che risultano dati allarmanti, in quanto è periodicamente rilevata la presenza di pesticidi non solo nelle acque sotterranee, ma anche in quelle superficiali, il che significa che sono state usate di recente sostanze vietate. Infine, il problema delle numerose deroghe concesse dal ministero della Salute per l’uso dei pesticidi sulla base di esigenze non comprovate e a seguito di valutazioni spesso molto superficiali. Faccio notare che con l’inserimento della tutela dell’ambiente in Costituzione, le deroghe sul principio dell’interesse economico non reggono più. Eppure, continuiamo ad assistere al proliferare di deroghe, come quella che consente l’uso dei neocotinoidi per la coltivazione della barbabietola, che di fatto annacquano e rendono inefficace la normativa vigente. Ancora, i neocotinoidi sono vietati nei campi, ma consentiti nelle serre. Ma chi controlla realmente che l’agricoltore che utilizza nelle serre queste sostanze pericolose per la salute umana, soprattutto per le donne in gravidanza e per i nascituri, non le utilizzi anche nei suoi campi?»

Perché l’agricoltura italiana, nonostante gli ottimi risultati dimostrati, è la meno sussidiata tra quelle dei Paesi europei?
«Anche in questo caso i dati vanno illustrati. L’agricoltura italiana non è affatto la meno sussidiata. I finanziamenti della politica Agricola Europea vengono attribuiti in base alle dimensioni delle aziende agricole, pertanto Paesi come la Francia, la Germania e la Polonia usufruiscono di maggiori fondi rispetto all’Italia, che ha soprattutto aziende agricole di medie e piccole dimensioni, e, nonostante ciò, rimane tra le prime posizioni tra i Paesi europei beneficiari dei fondi PAC. Inoltre, a questi fondi diretti si aggiungono diverse altre forme di aiuti pubblici a livello nazionale e ulteriori sussidi che vengono erogati in forma indiretta, ad esempio per l’accantonamento dei prodotti, per l’acquisto di generi alimentari come la frutta e il latte destinato alle mense scolastiche».

Politiche europee, consumi consapevoli, riduzione degli agenti inquinanti: sono tutte azioni che possono contribuire a rallentare il climate change
«Mi preme sottolineare, tornando alla PAC, che il settore agricolo è centrale nel percorso di contrasto alla crisi climatica e che purtroppo anche la nuova PAC, per la quale viene utilizzato 1/3 dell’intero bilancio europeo, quasi 400 miliardi di euro di soldi pubblici dei cittadini europei, ha il sapore amaro delle grandi occasioni mancate. Mantiene, infatti, inalterate le storture di quella precedente e di fatto non consente al mondo agricolo di fare quell’avanzamento atteso e necessario. Fino al 2027 si continueranno a finanziare gli allevamenti intensivi e si confermano i criteri quantitativi per l’erogazione dei finanziamenti (ovvero i sussidi vengono erogati in base agli ettari di terreno posseduti o al numero di capi allevati), danneggiando i piccoli agricoltori a vantaggio delle grandi industrie. Migliaia di cittadini, di piccoli agricoltori, aziende agricole del biologico e associazioni ambientaliste, con i quali io e il gruppo dei Verdi europei ci siamo schierati senza indugio, hanno protestato e hanno chiesto alla nuova Commissione von der Leyen di ritirare questa riforma e presentarne una nuova, in linea con l’ambizione del Green Deal. Senza ricevere ascolto. Non possiamo continuare a foraggiare gli allevamenti intensivi, prima causa di inquinamento dell’aria».

La vostra contro zootecnia e agricoltura intensivi è una lunga battaglia...
«È opinione comune che i maggiori responsabili dell’inquinamento, con grande distacco sugli altri, siano l’industria e il traffico. La percezione del problema non potrebbe essere più distorta, visto che le principali cause dell’inquinamento dell’aria sono l’agricoltura e gli allevamenti intensivi. Entrambi questi fattori, infatti, producono un enorme quantitativo di ammoniaca che, una volta immessa nell’aria, si trasforma in sale d’ammonio, componente di spicco delle tristemente note polveri sottili (PM 2.5) e da Lombarda so bene di cosa parlo».

La Coldiretti si mostra preoccupata del fatto che in Italia sia stato consentito di non indicare nelle etichette degli alimenti la provenienza degli olii di semi, mettendo a rischio la trasparenza dell’informazione ai consumatori. Quali progetti avete, a livello europeo, per migliorare la tracciabilità dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole?
«La trasparenza delle etichette alimentari è un elemento fondamentale a tutela della sicurezza alimentare ed è uno dei temi sui quali noi Verdi abbiamo da sempre profuso il massimo dell’impegno. La Strategia Farm to Fork prevede la possibilità di proporre l’estensione dell’obbligo delle indicazioni di origine o di provenienza a determinati prodotti. Noi Verdi, pertanto, faremo pressione affinché la Commissione traduca questa intenzione in un’adeguata proposta legislativa da discutere in Parlamento. Allo stesso modo, stiamo dando battaglia contro il tentativo della Commissione Europea di indebolire i regolamenti dell’Ue sugli organismi geneticamente modificati (OGM), escludendo alcune nuove tecniche genetiche dagli attuali regolamenti, in modo che le grandi aziende dell’agribusiness possano commercializzarli senza tracciabilità o etichettatura. In Italia, infine, ci stiamo battendo contro la nuova etichettatura sul benessere animale, un vero e proprio inganno per i consumatori, qualora, come ho avuto modo di ribadire nella lettera che ho inviato ai ministri Patuanelli e Speranza, il nuovo Sistema di qualità nazionale per il benessere animale desse accesso al sistema anche a operatori che allevano scrofe in gabbia e che sottopongono i suini alla pratica crudele del taglio della coda, vietata dalle Direttiva europea 2008/120/CE da oltre vent’anni. Altro che benessere animale!».

L’Italia produce 1,7 miliardi di metri cubi di biometano, ma la Coldiretti propone di quadruplicare questa cifra in meno di dieci anni con la trasformazione del 65% dei reflui degli allevamenti per favorire una fonte alternativa di approvvigionamento energetico. È un’idea condivisibile? Quale la vostra opinione?
«Sviluppare la produzione di biometano da scarti agricoli, fanghi di depurazione e reflui zootecnici e da FORSU (purché proporzionati alle esigenze del territorio), può rappresentare una soluzione, senza entrare in competizione con l’uso di terreni per la produzione di cibo, ma al contempo è necessario affrontare il problema a monte, modificando il nostro sistema alimentare e intervenendo sull’abolizione degli allevamenti intensivi, che sono la principale causa di inquinamento dell’aria, soprattutto in Pianura padana. È di pochi giorni fa la condanna della Corte Ue all’Italia per aver sistematicamente violato le normative europee sulla qualità dell’aria. Per questo è necessario riflettere sulla necessità di cambiare i nostri modelli di sviluppo: non possiamo più permetterci questi ritmi di produzione e consumo, dobbiamo avere il coraggio di ridurre il consumo di carne, come richiesto ormai dalla scienza, dalla società civile e dagli stessi cittadini che di recente hanno partecipato alla Conferenza sul futuro dell’Europa».

Quali strategie propongono i Verdi per evitare che la crisi ucraina investa il meno possibile i sistemi alimentari europei?
« Gli strumenti per la riduzione dell’uso dei pesticidi li abbiamo già, non resta che applicarli. La Farm to Fork e la Strategia sulla Biodiversità annoverano tra i loro obiettivi anche la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi chimici entro il 2030. Purtroppo, stiamo assistendo ad una ingiustificata strumentalizzazione del conflitto contro l’Ucraina per sospendere le misure europee a protezione della biodiversità e disattendere gli impegni climatici a medio e lungo termine. Si tratta di un errore imperdonabile, soprattutto in considerazione del fatto che i target previsti da queste strategie ci consentiranno, nel lungo periodo, di ridurre la nostra dipendenza da pesticidi sintetici realizzati in gran parte con il gas russo, e di costruire in questo modo la nostra sovranità alimentare, oltre che politica. In un momento storico così difficile, con un conflitto che sta già oggi provocando fame, speculazione e prezzi da capogiro, mettendo a rischio soprattutto le famiglie più fragili, sembra paradossale che le istituzioni europee e gli Stati membri si preoccupino di dare da mangiare agli animali negli allevamenti intensivi. Oltre il 60% dei terreni agricoli europei è destinato, infatti, alla produzione di mangime, ciononostante importiamo continuamente mangimi, quasi tutti OGM, da Paesi terzi, alimentando l’ennesima dipendenza strutturale, dopo quella del gas».

Quali strategie state adottando a livello comunitario per evitare la proliferazione dei fertilizzanti in agricoltura?
«Dobbiamo riorganizzare il nostro sistema alimentare nel suo insieme, in primis incrementando l’uso delle tecniche di agricoltura biologica e agro ecologia e, ad esempio, utilizzando al meglio i tanti terreni inutilizzati del nostro Paese. Perché consentire invece un maggiore uso di pesticidi per aumentare la produzione agricola significa di fatto sacrificare la nostra sicurezza alimentare a medio e lungo termine sull’altare di facili guadagni nel breve periodo, causando effetti irreversibili ai nostri ecosistemi e, di conseguenza, al nostro sistema alimentare e alla nostra salute. Con i miei colleghi dei Greens/EFA ho scritto alla Commissione europea, ribadendo la miopia delle argomentazioni di chi ritiene che la crisi climatica e la perdita di biodiversità possano essere accantonate a causa del conflitto e denunciando l’inammissibile ritardo della revisione sulla Direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi, prevista per il 23 marzo e al momento posticipata per la fine di giugno con il pretesto del conflitto in corso».

C’è anche i tema dei terreni agricoli sfruttati per produrre i nuovi eco-carburanti...
«Abbiamo presentato una proposta di Risoluzione con la quale abbiamo chiesto, tra le altre cose, di porre un freno temporaneo all’uso di colture commestibili per la produzione di agrocarburanti per almeno due anni. Nel 2021, infatti, l’UE ha prodotto 4950 milioni di litri di bioetanolo da colture e 12.330 milioni di litri di biodiesel da oli vegetali. Ciò vuol dire 11 milioni di tonnellate di cereali e 8,6 milioni di tonnellate di oli vegetali che potrebbero essere reindirizzati al consumo umano e animale. Chi può accettare che tali quantità di colture commestibili non vadano alle persone bisognose, ma alimentino invece le automobili di un gruppo di pochi ricchi? Purtroppo la risoluzione adottata in luogo della nostra segna una sonora sconfitta per il Green Deal, facendo una vistosa marcia indietro rispetto alle richieste dei cittadini e alle urgenti necessità della biodiversità e del clima, usando cinicamente e opportunisticamente la guerra come pretesto per assicurare l’alimentazione animale, sostenere il settore in declino della carne suina e deviare terreni e colture verso il biocarburante, senza affrontare i bisogni della sicurezza alimentare in quanto tale. Noi Verdi continueremo a dare battaglia perché non si accantonino le strategie a lungo termine — che l’Unione europea ha faticosamente elaborato — mettendo a rischio il futuro stesso dell’Europa».