Il 22 marzo, come ricordato da AgroNotizie, si è celebrata la giornata dell'acqua.

Un tema più sentito che in passato, di fronte al rischio siccità che si accompagna ai mutamenti climatici in atto, acuito dall'azione contemporanea di aumento delle temperature e calo delle piogge.

Gli effetti sono ben visibili guardando i principali corsi d'acqua o i grandi laghi, come il Garda.

Lecito interrogarsi allora sui modelli di sviluppo e sui consumi e il pensiero corre agli allevamenti, additati per il loro impatto ambientale e per l'impiego di grandi risorse idriche.

 

Dito puntato in particolare contro gli allevamenti di bovini, citando un vecchio studio secondo il quale per la produzione di un chilo di carne sarebbero necessari oltre 15mila litri di acqua.

Numeri che prendono le mosse da una visione strumentale, tralasciando aspetti fondamentali e pretendendo di attribuire alla produzione di carne ogni goccia d'acqua utilizzata nel percorso dal campo alla tavola.

Dunque non solo l'acqua bevuta dagli animali, ma anche quella assorbita dai vegetali che compongono la dieta degli animali e poi quella impiegata nei processi successivi.

 

Visone distorta

Questa visione nasconde numerosi errori di fondo (e forse qualche interesse lobbistico), che portano inevitabilmente a conclusioni sbagliate.

Il primo errore è considerare il "consumo" di acqua. Perché l'acqua in realtà si "usa", ma non si consuma, semmai entra in un ciclo biogenico che la restituisce all'ambiente.

 

Per chiarire questo concetto ricordo un esempio illuminante appreso sui banchi di scuola: l'acqua che sto bevendo ora potrebbe essere in parte la stessa che ha bevuto Giulio Cesare o un qualunque suo contemporaneo.

Quella molecola di H2O non si è "consumata", ma ha semplicemente incontrato usi diversi nel suo percorso millenario.

 

Le "categorie" dell'acqua

Un'altra distinzione importante è poi legata alla "qualità" dell'acqua.

Occorre infatti distinguere fra acqua verde (quella piovana), acqua blu (quella destinata a dissetarci) e acqua grigia (quella che deriva dalle attività produttive).

Prendiamo il caso dell'acqua "verde", quella che cade dal cielo e sulla quale l'uomo ha ben poche possibilità di controllo.

Potrebbe cadere su un campo di mais come pure su una foresta o in mare. Nemmeno si può sostenere che andrebbe comunque a rimpinguare la falda idrica.

Conteggiarla come acqua "consumata" per produrre carne e latte è un'evidente distorsione, finalizzata a sostenere tesi preconcette.

Anche per le acque "grigie" è necessario un ricalcolo che tenga conto del loro possibile riutilizzo.

 

I conteggi reali

C'è chi questi calcoli li ha fatti, giungendo alla conclusione che per produrre un chilo di carne si usano 790 litri, che peraltro fanno parte del ciclo naturale dell'acqua e sono restituiti all'ambiente.

I 15mila litri non sono reali e derivano dal conteggiare anche l'acqua piovana.

Corretto è invece interrogarsi sull'uso dell'acqua in rapporto all'area nella quale ci si trova.

 

Non a caso gli allevamenti non si sono sviluppati nelle zone desertiche, dove l'acqua è una risorsa limitata.

Non così nei climi temperati, dove la disponibilità di acqua per l'agricoltura e la zootecnia è utilmente impiegata per soddisfare le esigenze nutritive di una popolazione che proprio in queste aree di concentra maggiormente.

In queste stesse aree la presenza di allevamenti protetti (intensivi, direbbero alcuni) è un fattore di ottimizzazione dell'uso delle risorse idriche, che si traduce in un minore impiego di acqua per unità di prodotto, sia esso latte, carne o uova.