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28 ottobre 2022

ETIOPIA: SPIRAGLI DI DIALOGO

In corso in Sudafrica i colloqui di pace tra il governo e le forze tigrine. Ma le aspettative sono basse e sul terreno proseguono gli scontri.

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Occhi puntati sul Sudafrica, dove sono in corso i colloqui tra il governo di Addis Abeba e il TPLF, partito rappresentativo delle forze del Tigray. I negoziati, mediati dall’Unione Africana e che proseguiranno fino a domenica, puntano a trovare una soluzione al conflitto in corso da quasi due anni nella seconda nazione più popolosa dell'Africa, che ha già causato migliaia di vittime e sfollato milioni di persone. Le violenze, inoltre, hanno costretto centinaia di migliaia di abitanti sull'orlo della carestia e rischiano di destabilizzare la più ampia regione del Corno d'Africa. “Guardiamo a Pretoria con attesa e impazienza. Quella del negoziato è l’unica via da seguire”, ha detto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, da Nairobi. “Se le parti non si impegnano in modo significativo per una soluzione negoziata, non usciremo mai da questa situazione”. Un’esortazione a raggiungere una tregua “immediata” è arrivata anche dal Segretario di Stato americano Antony Blinken: “Questi colloqui – ha detto – rappresentano il modo più promettente per raggiungere una pace e una prosperità durature per tutti gli etiopi”

Un conflitto, molti rovesci?

Gli scontri armati tra il governo federale e le autorità regionali unite al Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF), partito dell’etnia tigrina, che ha dominato la scena politica etiope per 30 anni prima che il primo ministro Abiy Ahmed salisse al potere nel 2018, proseguono dal novembre 2020. Il conflitto nasce da un contrasto tra il TPLF e il premier Abiy, il cui arrivo al potere è coinciso con una progressiva emarginazione dei tigrini dai centri di potere e a un suo progressivo ritiro nella sua roccaforte settentrionale. Non si tratta però di una lotta circoscritta alla sola Etiopia, dato che ha coinvolto anche la vicina Eritrea e rischia di destabilizzare l'intera regione. Allo scoppio delle violenze il primo ministro Abiy, insignito del Nobel per la pace nel 2019, aveva promesso una vittoria rapida e indolore, ma dopo una serie di conquiste iniziali le forze del Tigray hanno lanciato una controffensiva che le ha portate quasi alle porte della capitale. Gli equilibri del conflitto sono mutati più volte, ora a favore di una ora dell’altra parte, fino a quando, nel marzo scorso è stata finalmente annunciata una tregua, a cui è seguita, a giugno, la creazione di un comitato governativo per negoziare con il TPLF. Ad agosto, una nuova esplosione di violenze aveva segnato il deragliamento del cessate-il-fuoco durato cinque mesi. Da allora le forze governative, appoggiate dall’esercito eritreo, hanno condotto un’offensiva che le ha portate a conquistare almeno tre città della regione settentrionale del Tigray.

   

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Una regione sotto assedio?

La delegazione del Tigray ha affermato che l’obiettivo dei colloqui in Sudafrica sarà l’immediata cessazione delle ostilità e l’accesso illimitato agli aiuti umanitari. La fine dell’isolamento della regione settentrionale, da mesi sotto assedio, è la necessità più impellente per la popolazione che – secondo le organizzazioni non governative – sarebbero nel pieno di una crisi umanitaria. L’isolamento non solo rende impossibile mitigare i bisogni della gente ma anche avanzare una stima reale delle vittime causate dal conflitto, mentre entrambi gli eserciti sono stati accusati, spesso con testimonianze dirette, di crimini e violazioni dei diritti umani, compresa una strategia organizzata di violenza sessuale e saccheggi. Le forze tigrine chiedono inoltre il ritiro delle truppe eritree: un intervento che il premier Abiy ha negato per mesi e che sembra difficile sarà disposto a concedere, in particolare dopo i recenti successi militari. Sebbene abbia affermato di considerare i colloqui come un’opportunità per risolvere il conflitto, il governo di Addis Abeba ha detto anche di voler consolidare la situazione sul campo. La guerra ha peggiorato altri gravi problemi in Etiopia, tra cui la siccità – la peggiore degli ultimi quattro decenni – e una conseguente crisi alimentare che potrebbe rivelarsi tra le peggiori mai verificatesi nel continente dal secondo dopoguerra.   

Un conflitto dimenticato?

A due giorni dall’inizio dei colloqui, le aspettative sono basse. Un anno fa, nel primo anniversario dello scoppio della guerra, Abiy giurò di “seppellire” il TPLF. Ora, dopo aver riconquistato terreno nella provincia settentrionale, il suo governo ha a portata di mano l’occasione di assestare il colpo di grazia contro il gruppo che si oppone al progetto di centralizzazione del potere ad Addis Abeba. “In questo scenario –  sottolinea il Washington Post – l’Unione Africana nel ruolo di mediatore in un conflitto esploso appena fuori dalla porta del suo quartier generale nella capitale etiope non consente molto ottimismo”. Finora l’organismo che riunisce i paesi del continente ha mostrato poca se non nessuna propensione a fare pressione su Abiy o a contestare all'ex premio Nobel per la Pace gli spaventosi crimini di guerra attribuiti alle sue truppe. In ultima analisi l’esito dei colloqui dipenderà da quanto il primo ministro etiope sarà disposto a rinunciare alle prospettive, attualmente favorevoli per il suo schieramento, in cambio della fine delle ostilità. Per questo la comunità internazionale dovrebbe sforzarsi di fare pressione su Addis Abeba affinché accetti almeno un’altra tregua.

   

IL COMMENTO

di Lucia Ragazzi, programma Africa ISPI

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"Per la prima volta in due anni, governo federale e leader tigrini si incontrano in negoziati di pace formali: un passo avanti significativo che arriva in un momento in cui un intensificarsi del conflitto ha fatto sgretolare la fragile tregua di marzo, minacciando una nuova impasse. Allo scambio diplomatico entrambe le parti arrivano però con un bagaglio di recriminazioni e diffidenze dalle radici profonde. La fiducia reciproca è ai minimi termini e la posta in gioco alta. Spiragli di negoziato che portino a una tregua e rendano possibile la distribuzione di aiuti umanitari potranno essere una prima tappa di un lungo percorso per ricucire un dialogo. Ed evitare che il conflitto continui ad essere un gioco a somma zero in cui a pagare sono sempre e comunque i civili".

ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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