Premio Strega 2021, vince Emanuele Trevi con «Due vite»

di EMILIA COSTANTINI

Rispettate le previsioni: lo scrittore batte gli altri finalisti con il libro edito da Neri Pozza. Seguono Donatella Di Pietrantonio, Edith Bruck, Giulia Caminito e Andrea Bajani

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Emanuele Trevi festeggia la vittoria

Era già tutto previsto: la finale della 75ª edizione del Premio Strega, giovedì sera nel Museo etrusco di Villa Giulia, si è conclusa con la vittoria di Emanuele Trevi con Due vite (Neri Pozza), 187 voti. Al secondo posto la sua diretta contendente, Donatella Di Pietrantonio, con Borgo Sud (Einaudi), 133 voti. Al terzo posto la scrittrice di origine ungherese Edith Bruck, con Il pane perduto (La Nave di Teseo), 123 voti. E poi Giulia Caminito con L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani), 79 voti, e Andrea Bajani con Il libro delle case (Feltrinelli), 66 voti. I votanti sono stati 589 su 660 aventi diritto.

Emozionato ma non troppo, il cinquantasettenne scrittore e critico romano, ricevendo la tradizionale bottiglia del liquore Strega, ha brindato facendo gli auguri a tutti. La vittoria è stata una sorta di risarcimento per la mancata vittoria nel 2012, quando era in gara con Qualcosa di scritto. La vita quasi vera di un incontro con Pier Paolo Pasolini (Ponte alle Grazie). Allora solo per due voti non era riuscito a raggiungere il traguardo, dovendo cedere il passo ad Alessandro Piperno con Inseparabili: il fuoco amico dei ricordi (Mondadori).

La consueta diretta su Rai3 è stata affidata alla dissacrante Geppi Cucciari, che non si è lasciata sfuggire l’occasione alcune per battute. E alle mascherine, all’amuchina, all’autocertificazione e agli ingressi contingentati, stavolta si è aggiunto l’obbligo di presentare, all’ingresso, il Green Pass. Però, al contrario dell’anno scorso, quando a causa della pandemia il tavolo della giuria e la celebre lavagna erano stati addirittura spostati sulla balconata dello storico Ninfeo, stavolta si è tornati nel giardino, ma senza la folla delle edizioni pre-Covid. Alla serata erano presenti poco più di un centinaio di persone, quasi un decimo dei consueti ospiti. Presiedeva il seggio il vincitore 2020 Sandro Veronesi, che ha detto: «Il Premio Strega migliora la vita degli scrittori».

E pensare che nei giorni precedenti, Trevi era stato prudentemente scaramantico: «La gara mi piace farla — aveva detto —. Ho una disposizione d’animo migliore rispetto all’altra volta. È più bello, anche se è meglio non dire gatto fino a che non ce l’hai nel sacco... Potrei arrivare quinto! Comunque, vincere oppure entrare soltanto nella cinquina è comunque un buon lievito per i libri. Ma il lievito non è universale, funziona se il libro è andato già bene in libreria. E in questo caso mi sono reso conto che il mio romanzo ha ottenuto finora molti consensi da parte del pubblico e buone recensioni critiche. Per questo ho deciso di partecipare nuovamente alla competizione. Non lo avrei fatto se non avessi avuto tali riscontri e se si fosse trattato solo di rivitalizzare le vendite... non avrebbe funzionato».

Le «due vite» che Trevi racconta sono quelle di due persone, Pia Pera e Rocco Carbone, suoi amici e colleghi. Lei un’erudita slavista, scrittrice, traduttrice, prematuramente scomparsa nel 2016 a 60 anni per una grave malattia. Lui altrettanto scrittore, morto a soli 46 anni nel 2008 per un incidente stradale con la sua moto. «Quando ci siamo conosciuti — spiega l’autore — eravamo tutti e tre giovani. Ci aiutavamo a vicenda, ma tra noi non mancavano le prese in giro, gli sfottimenti ironici, a volte anche feroci, soprattutto tra me e Rocco, perché entrambi eravamo piuttosto facilmente irritabili e, in certi casi, rancorosi. Pia era capace di ammansirci con la sua gentilezza, eleganza, superiorità. E poi nei nostri confronti era protettiva. Ricordo che una sera di tanti anni fa mi salvò persino da una forte capocciata contro una trave, mettendoci la sua mano. Insomma, Pia e Rocco sono state due persone importanti nella mia esistenza: le persone importanti sono coloro che ci fanno anche perdere del tempo in maniera gratuita...».

È un libro di storie vissute, dunque un libro essenzialmente autobiografico? «Non sono mai stato uno scrittore di immaginazione, i miei libri sono tutti autobiografici, e questo è un libro semplice, corto, con due soli personaggi. Le Due vite del titolo, al di là del fatto che di due vite si tratta, sono riferite a quella che si vive in terra e quella che si vive nei ricordi degli altri, di quelli che ti hanno voluto bene e che restano quando tu non ci sei più. L’ho scritto adesso perché occorrer avere una distanza di tempo da ciò che scrivi, dalle storie che scegli: un lasso di tempo che non deve essere troppo breve né troppo lungo. A un certo punto viene il momento giusto».

Figlio di uno psicoanalista junghiano, Mario Trevi, lo scrittore non si è sentito influenzato dal padre nella sua formazione: «Non l’ho conosciuto molto bene, era una persona misteriosa. Non mi ha aiutato nemmeno quando ho iniziato il mio percorso letterario: mi correggeva qualche volta le bozze, perché io sono molto sciatto, mentre lui era molto ordinato e si divertiva a correggermi».

Però Trevi sta scrivendo un libro proprio su suo padre: «Sì, ma per ora non ne voglio parlare. Tra me e lui non trovo addentellati. La psicoanalisi, la psiche umana ha certo importanza nel mio lavoro, ma su altri materiali che non hanno nulla a che vedere con l’idea di guarigione. Anche a me è capitato di finire sul lettino dello psicoanalista, ma questo genere di esperienza non ha avuto ripercussioni sulla mia scrittura».

Il Premio Strega gli cambierà la vita? «Già l’altra volta me l’aveva cambiata, pur non avendo vinto». Tornando infine ai due amici perduti di cui scrive nel suo romanzo, sente di avere commesso degli errori, ha qualche rimorso? «Il mio errore è stato quello di aver sottovalutato delle persone, non aver capito fino in fondo una persona e quindi non aver preso un’occasione al volo».

9 luglio 2021 (modifica il 9 luglio 2021 | 11:18)