14 ottobre 2020 - 07:04

Positivo al Covid a marzo, dimesso a ottobre: la storia di Stefano, uno dei malati più «longevi»

Stefano Lancilli, 55 anni, lodigiano, poliziotto, per nove mesi è passato da un ospedale all’altro tra polmonite, legionella e Covid. La moglie: «Temevo di perderlo»

di Francesco Gastaldi

Positivo al Covid a marzo, dimesso a ottobre: la storia di Stefano, uno dei malati più «longevi» Al centro, Stefano Lancilli
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«È un virus duro, molto duro». Stefano Lancilli, 55 anni, di Borghetto Lodigiano, è una delle vittime più «longeve» del Covid. Quasi nove mesi trascorsi passando da un ospedale all’altro tra polmonite e legionella prima, poi il Covid e i danni che il virus gli ha lasciato in un organismo già minato da altre patologie. È stato tra i primi a prendere il Covid-19 — diagnosticatogli il 4 marzo quando era già ricoverato a Codogno, dove potrebbe essersi contagiato —, è stato a un passo dal non farcela e non ne è uscito definitivamente fino a venerdì 9 ottobre quando finalmente è stato dimesso dall’ospedale di Sant’Angelo Lodigiano facendo ritorno a casa sua. Un rientro «trionfale» per Lancilli, poliziotto e storico centralinista della questura di Lodi: ad attenderlo c’era una piccola delegazione di colleghi e amici con il questore Giovanni Di Teodoro. «È stato lui a darmi il bentornato a casa, una volante mi ha scortato fino all’ingresso a sirena spiegata», racconta emozionato.

Cardiopatico e diabetico

Un’odissea quella di Stefano Lancilli, 37 anni passati in polizia tra Milano e Lodi. Era entrato in ospedale a novembre per una polmonite, poi la diagnosi di legionella («con due settimane in terapia intensiva») e in seguito il ricovero a Codogno per guai ortopedici che gli impedivano anche solo di muoversi. Ma questo è solo l’inizio del calvario: a Codogno in ospedale inizia ad accusare i sintomi di una nuova polmonite. Il 2 marzo viene sottoposto a tampone e due giorni dopo emerge la positività al Sars-CoV-2. È cardiopatico e diabetico, non «reggerebbe» l’intubazione: «A un certo punto — racconta la moglie Nadia — gli hanno dato 48 ore di vita. Ero quasi rassegnata a perderlo». «Il mese di Covid per me è un buco nero — conferma lui —. Non ricordo quasi nulla. Nemmeno sapevo della pandemia e del lockdown».

Pensionamento anticipato

Ma l’agente è un lottatore. A poco a poco migliora e riesce a uscirne. «Un miracolo, non vedo altre spiegazioni». Un mese esatto dopo il tampone è finalmente negativo. «Per la riabilitazione mi hanno trasferito a Sant’Angelo Lodigiano, i muscoli completamente atrofizzati dall’allettamento obbligato, dal busto in giù non riuscivo a muovere un passo». «Da quando ha messo piede in ospedale ha perso 35 chili — racconta la moglie —. Ha impiegato mesi anche solo per passare dal letto a una sedia. Rischiava di finire su una carrozzina per tutta la vita. E invece è riuscito a ricominciare a camminare, i medici sono stati eccezionali». Il 9 ottobre si chiude la lunghissima riabilitazione e l’agente torna a casa dove lo aspettano la moglie Nadia e i due figli. Viste le sue condizioni, il ministero dell’Interno gli anticipa il pensionamento. Non tornerà più al suo posto nel centralino della questura: «Mi mancheranno molto i colleghi, che mi sono stati davvero vicini, ma ora inizia una seconda fase della mia vita: ho perso un anno con la mia famiglia, m’interessa solo stare con loro e veder crescere i miei figli».

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