Frances Haugen, la ex manager di Facebook in Senato: «Intervenite, è come per il fumo o gli oppiodi»

di Massimo Gaggi

L’audizione della manager uscita dalla società: le app di Zuckerberg sono nocive per la salute. Le polemiche sul blackout: ecco com’è successo

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«Quando il governo si è reso conto che il fumo è nocivo per la salute è intervenuto. Quando è stato chiaro che le cinture di sicurezza salvano vite umane il governo ha obbligato l’industria dell’auto ad adottarle. Quando si è visto che i farmaci oppioidi creano dipendenza la politica è intervenuta. Vi supplico di farlo anche ora davanti ai danni sociali provocati da Facebook». È il momento più potente della testimonianza resa ieri al Senato di Washington da Frances Haugen, la ex product manager della società di Mark Zuckerberg che, lasciata l’azienda, ha deciso di denunciare i suoi comportamenti nocivi prima consegnando a un quotidiano documenti interni che dimostrano la consapevolezza da parte del gigante dei social media dei danni che provoca ai suoi utenti (soprattutto i più giovani), poi esponendosi in prima persona davanti alle telecamere della Cbs, infine con un’audizione parlamentare.

Appello forte quello della Haugen anche perché il senatore Richard Blumenthal, presidente del comitato che l’ha convocata, ha ricordato che qualche decennio fa, da procuratore generale del Connecticut, fu tra i protagonisti della battaglia per la regolamentazione di big tobacco per il fumo e ha promesso di fare ora altrettanto con big tech. Ottenendo su questo l’apparente consenso dei senatori repubblicani, altrettanto indignati nei confronti di un’azienda che coi suoi 3,5 miliardi di utenti di tutte le sue piattaforme (Instagram, WhatsApp, Messenger e Oculus, oltre a Facebook) ha più potere di molti Stati e, oltre a condizionare i giovani, altera toni e natura del dibattito politico, incide sulla struttura del commercio e di altre attività economiche e perfino su problemi di sicurezza nazionale.

Quale sia il suo peso planetario si è visto lunedì quando per oltre sei ore tutte le piattaforme di Facebook sono letteralmente sparite dalla rete: imprese che fanno pubblicità e vendono attraverso i siti del gruppo californiano bloccati in tutto il mondo, dall’India al Brasile, mentre i tanti che si sono dotati di apparecchi attivati attraverso l’intelligenza artificiale di Facebook non riuscivano aprire la porta di casa o ad accendere la tv.

Sabotaggio? Stavolta è stato subito evidente che gli hacker non c’entrano: il colossale blackout è stato provocato da errori degli stessi ingegneri di Facebook che, nel cambiare alcune configurazioni interne del sistema informatico, hanno inavvertitamente interrotto le comunicazioni tra i router. In pochi minuti si è prodotto un effetto domino che ha colpito l’intera rete, compresi i sistemi di sicurezza interna delle sedi del gruppo che hanno smesso di funzionare lasciando fuori dagli uffici, per la disattivazione dei badge di riconoscimento, i dipendenti che stavano tornando per riattivare manualmente i sistemi.

Identificato il problema (la configurazione del Border Gateway Protocol, o BGP) la difficoltà è stata quella — in un’era di lavoro remoto post-Covid e di sistemi sui quali sono abilitati a intervenire solo pochissimi specialisti per evitare il rischio di infiltrazioni dei pirati informatici — di mettere insieme un team di persone competenti e mandarlo a intervenire direttamente sui server del data center di Facebook a Santa Clara.

Riattivato il servizio, sono cominciate le polemiche che si sono sovrapposte alle denunce etiche per i comportamenti della società. C’è chi vede in questo incidente un’ulteriore dimostrazione della necessità di spezzare il semimonopolio del gruppo nelle reti sociali, mentre per il presidente turco Erdogan bisogna sganciarsi da questi giganti e crearsi reti nazionali.

E Zuckerberg? Salvo un breve post di scuse agli utenti per l’interruzione del servizio, solo un video nel quale lo si vede sorridente a bordo di una barca a vela con la moglie Priscilla. È la nuova linea di comunicazione: staccare l’immagine del capo dai guai aziendali. Di quelli parlano i portavoce che ieri hanno respinto le accuse della Haugen dicendosi d’accordo su un solo punto: «È ora che la politica decida regole standard per Internet anziché aspettare che siano le imprese a fare scelte che spettano al legislatore».

5 ottobre 2021 (modifica il 6 ottobre 2021 | 12:55)