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Cosa aspettarsi dai colloqui sul nucleare iraniano secondo Perteghella

Analisi su sviluppi, posizioni e posture di Teheran e degli Stati Uniti con Annalisa Perteghella (Ecco). Il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che potrebbero sanzionare Teheran — ormai probabilmente arrivata all’arricchimento dell’uranio a livello militare

“C’è un nuovo team negoziale iraniano, e anche se progressi erano stati fatti a giugno (quando si era tenuto l’ultimo incontro sotto la presidente Rouhani, ndr), l’amministrazione di Ebrahim Raisi potrebbe non essere ancora pronta a trattare. E dunque, se c’è la buona notizia che adesso l’Iran parla con una voce sola, la brutta notizia è che questa voce è molto oltranzista”. Annalisa Perteghella, esperta di Iran e senior policy advisor all’ECCO Climate, fa il punto su ciò che c’è da aspettarsi con il riavvio dei colloqui sul Jcpoa, l’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano.

Quando si parla di “oltranzismo” significa dipingere una linea nota che la Repubblica islamica tiene almeno a questo primo giro di contatti dell’era Raisi: per andare avanti, Teheran vuole l’eliminazione di tutte le sanzioni. Sia quelle connesse al nucleare e precedentemente sollevate dal Jcpoa e poi re-introdotte dall’amministrazione Trump quando ha deciso di uscire in forma unilaterale dall’accordo (nel maggio 2018); sia quelle nuove, collegate al “regime della massima pressione” con cui gli Stati Uniti tutt’ora gestiscono il dossier Iran.

A questo si abbina la richiesta di garanzie, gli iraniani vogliono evitare che gli Usa escano di nuovo dall’accordo: “E non penso che sia una richiesta solo di Teheran – aggiunge Perteghella – perché tutti gli attori al tavolo, tra cui Ue, Russia, Cina vogliono solide garanzie. Il punto è che questo non è troppo fattibile: servirebbe una strada legislativa, trasformare il Jcpoa in un trattato attraverso il voto di maggioranza al Congresso, ma come noto in questo momento non esiste una maggioranza che accetti di votare qualcosa del genere”.

L’Iran si sente in vantaggio perché in questi mesi ha spinto in avanti il proprio programma nucleare – ieri sono uscite informazioni a proposito del livello di arricchimento dell’uranio che avrebbe raggiunto il grado utilizzabile per scopri militari, secondo quanto condiviso dall’intelligence israeliana con quella americana. Sono almeno due decenni che ogni tanto vengono fatte uscire notizie su questi sviluppi. “È possibile che però gli iraniani stiano sbagliando un calcolo: credono che gli Stati Uniti non abbiano un piano-B, e che non daranno mai un via libera a un attacco militare (cyber o cinetico) contro i siti nucleari”, spiega l’analista italiana.

Difficile pensare che Washington resti ferma a guardare mentre Teheran porta il livello di arricchimento al 90 per cento, ossia diventa in grado di costruire l’arma nucleare. Jonathan Swan, uno dei giornalisti politici statunitensi più informati, ha scritto su Axios che l’amministrazione Biden teme che con l’Iran il processo sia irreversibile e non si tornerà più indietro al Jcpoa del 2015. È così? “Le possibilità rispetto a sei mesi fa sono davvero minori, ma lo spettro di quel piano-B potrebbe portare tutti a posizioni più pragmatiche. Certo, serve creatività anche da parte americana, perché richieste come quella sulle garanzie sono legittime”, risponde Perteghella.

La scorsa settimana il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia nucleare, Rafael Mariano Grossi, è stato a Teheran, da dove è tornato senza risultati: agli ispettori che secondo il Jcpoa, dovrebbero controllare i siti nucleari viene impedito l’ingresso, e la visita del direttore non ha portato risultati per sbloccare la situazione. Anzi: “Gli iraniani – commenta l’esperta – credono di aver aumentato la loro capacità di far leva sui negoziati avendo rimandato Grossi a mani vuote, ma in realtà gli Stati Uniti (membri nel board della Iaea, ndr) hanno detto che se la situazione non si sblocca faranno passare una risoluzione di condanna tra un mese in accordo anche con gli europei”.

La Francia, che tiene sull’Iran una linea severa sin dal 2015, voleva muoversi subito, ma Washington ha trovato una forma più distesa: se la Iaea dovesse emettere una dichiarazione di condanna, allora il Consiglio di Sicurezza sarebbe praticamente costretto a dichiarare l’Iran non conforme e dunque potrebbe emanare nuove sanzioni. “Sanzioni Onu, ben diverse da quelle unilaterali americane. Certo, ci sarebbero Russia e Cina che potrebbero mettere il veto, ma la questione sarebbe comunque rilevante. Un fattore in più per smuovere le posizioni, anche se non nel breve periodo”, aggiunge Perteghella.

Difficile dire che le cose vadano effettivamente bene, ma va comunque registrato che rispetto a come ci si immaginava dopo i primi colloqui la situazione è leggermente migliore: Teheran alla fine potrebbe accettare di costruire i negoziati sulle discussioni precedenti. Tuttavia, per questa prima sessione la possibilità di grandi passi avanti è minima. Un buon risultato sarebbe una rapida rivitalizzazione del lavoro fatto fino a giugno, dove sono stati registrati alcuni progressi nel definire come sarebbe un ritorno reciproco alla conformità. Molto dipende da quanto – al di là della retorica – la delegazione iraniana sarà pronta.

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