Le conseguenze della guerra

L'Europa deve trovare una propria identità energetica

Di fronte all'invasione in Ucraina e alle sanzioni contro la Russia, l'Unione si trova spiazzata e senza una politica di lungo termine per svincolarsi dalla dipendenza dal gas di Mosca
Un gasdotto
Un gasdottoRodion Kutsaev/Unsplash

L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ricade come un macigno sul destino dell’Europa. E i governi e la Commissione scoprono, nelle ore più dure, la cruda realtà della propria dipendenza strategica dalle importazioni di gas russo. Le conseguenze dirette e indirette del tuonare delle armi potrebbero interrompere questi flussi, colpendo poderosamente cittadini ed economie. La paura ci spinge ora a guardare altrove per le nostre forniture energetiche, ma corriamo molti rischi.

Un quadro sconfortante

La guerra rischia di far naufragare definitivamente l’asse fondante degli ultimi 40 anni nei rapporti fra Europa e Unione Sovietica prima, e Federazione Russa poi, ovvero l’interdipendenza energetica.

L’Ucraina, ponte geografico naturale fra i bacini gasiferi siberiani, gli ex paesi membri del Patto di Varsavia e le economie sviluppate di Germania, Italia e Francia, ha storicamente rappresentato la principale via di transito del gas russo verso l’Europa. Dopo la fine dell’epoca sovietica e i turbolenti anni 2000, con ben due crisi del gas fra Mosca e Kyiv, la rete di gasdotti si è infittita con nuovi flussi a circumnavigare il territorio ucraino. L’Europa importa circa il 40% del proprio gas dalla Russia, facendone un perno essenziale per le attività industriali ed economiche, oltre che per la vita quotidiana dei suoi cittadini.

L'esposizione dei paesi europei alle forniture di gas dalla Russia (in rosso i paesi più colpiti, fra cui Italia e Germania)

La  rete di gasdotti alla base dell'interdipendenza energetica fra Europa e Russia

S&P Global Platts
La reazione europea

In una recente analisi (pagine 27-43) per Senato, Camera, ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale coordinato dall'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) evidenziavo come nel 2021 la strategia di Gazprom in Europa segnalava una commistione di obiettivi politici ed economici, la cui lettura è resa ancora più fosca da una realtà in continua evoluzione fra tensioni politiche incalzanti tra Russia e Ucraina e l’irrisolta vicenda Nord Stream 2. In questo contesto, il 3 marzo è stato raggiunto un nuovo picco storico della volatilità dei prezzi nel mercato europeo; prezzi che costituiscono oggi uno strabiliante strumento di pressione nelle mani di Cremlino.

Ora, lo sganciarsi da petrolio, carbone, ma soprattutto dal gas naturale russo è divenuto il primo obiettivo di uno sforzo titanico e senza precedenti  a cui Commissione e governi europei paiono votati per emarginare Mosca. Verso la stessa sono state indirizzate in questi giorni sanzioni economiche senza precedenti. Eppure, nonostante le epocali decisioni delle autorità politiche, negli ultimi giorni le utilities europee hanno incrementato e non diminuito gli acquisti di gas russo transitanti per l’Ucraina. Uno degli effetti più paradossali e sconcertanti della crisi energetica, oltre che politica, che il nostro continente sta vivendo.

L'Italia sarebbe particolarmente esposta a uno scenario di interruzione de flussi ucraini. Lo ha sottolineato anche il presidente del Consiglio Mario Draghi, segnalando come la vicenda ucraina abbia messo in risalto l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori

Negli ultimi decenni l'Italia è stata coinvolta in varie opere, molte delle quali strategiche per la sicurezza energetica europea, come la costruzione di nuovi rigassificatori e il gasdotto Tap. La commissaria all’Energia Kadri Simson si è detta fiduciosa che nuovi volumi potrebbero provenire dal bacino del Mar Caspio (leggi Azerbaijan) ma non è dato sapere quanto tempo occorrerebbe per una misura realmente impattante come il raddoppio dello stesso gasdotto. 

Alla possibilità di importare gas dai giacimenti nel Mediterraneo orientale fino ai confini meridionali d’Europa si è opposta la stessa amministrazione statunitense del presidente Joe Biden, di fatto arrestando un progetto che nelle intenzioni dei partner avrebbe dovuto realizzarsi entro il 2025. Nonostante questi sforzi e in mancanza di alternative, oggi più del 40% del gas importato in Italia proviene dalla Federazione russa.

Di fronte a una crisi di cui non si conosce la durata, ma di cui si teme l’intensificarsi, il governo italiano ha annunciato quello che nei fatti è una nuova strategia energetica. Incremento della produzione di gas sul territorio nazionale, stoccaggi strategici, nuove importazioni attraverso gasdotti e gas naturale liquefatto (Gnl), accelerazione delle rinnovabili e il possibile ritorno al carbone sono le parole chiave di un rinnovato realismo energetico. Una ricetta largamente condivisa anche da altri esecutivi europei, ma che stride fortemente con i propositi dell’agenda europea Fit-for-55.

Il cantiere del gasdotto Nord Stream 2
Il gasdotto Nord Stream 2 è stato affondato, ma non ci sono piani per svincolarsi da un dipendenza sempre più soffocante
Prospettive e miraggi della diplomazia energetica europea

In visita ufficiale ad Algeri, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha affermato che lo scopo centrale dell’esecutivo nei giorni delle ostilità rimane tutelare le imprese e le famiglie italiane, laddove il nostro Paese ha già messo in campo ingenti somme per calmierare il rincaro dei prezzi e limitarne l’impatto sociale. Palazzo Chigi e Farnesina sono così impegnate ad "aumentare le forniture di gas da vari partner internazionali

Una missione prioritaria per la nostra diplomazia energetica, ma che arriva con un ritardo consistente in un paese che ha investito insufficientemente nel settore e il quale deve far fronte a una domanda interna crescente e limitate capacità di aumentare l’export. Difficilmente, senza investimenti corposi e duraturi nel tempo, l’Italia potrà contare sul bacino gasifero algerino e men che meno su quello libico, dove la guerra civile innescata nel 2011 non lascia molte prospettive nel breve e medio periodo.

Un’alternativa che è stata costosamente perseguita lo scorso mese alle importazioni russe è l’incremento delle importazioni di Gnl, in particolare dagli Stati Uniti. Ma paventarla nel lungo periodo, e in un mercato che faticherà per anni a colmare le lacune dell’offerta a livello mondiale, determinerebbe una competizione autolesionista fra i mercati europei e asiatici. La stessa porterebbe a un rialzo ulteriore di prezzi, già insostenibili, e conseguenze deleterie di carattere economico/sociali per decine di milioni di europei. Inoltre, questa decisione porterebbe alla sostituzione del gas con altre fonti più inquinanti, minando la decarbonizzazione dei sistemi energetici europei.

Nel nostro continente, tutti i governi cercano di correre ai ripari. Nel caso più eclatante, il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, esponente di spicco dei Verdi, ha dichiarato che non è più ideologicamente" contrario al prolungamento delle (ultime) centrali nucleari tedesche in funzione. Berlino guarda anche alla costituzione per legge di riserve di gas e carbone in previsione del prossimo inverno, mentre nuovi rigassificatori, prima osteggiati dagli stessi Verdi, sono ora supportati dall'intero governo Olaf Scholz. Fino a pochi giorni prima dell’intervento russo, una sola di queste dichiarazioni sarebbe costata il posto ad Habeck. L’ennesimo segno che gli eventi del 24 febbraio scorso hanno cambiato molto più del solo destino di Russia e Ucraina, ma segnano una svolta per l’intero nostro continente, incluso il percorso verso la transizione energetica.

La costruzione del primo parco eolico offshore in Italia a Taranto
Le principali aziende energetiche italiane chiedono di tagliare la burocrazia per autorizzare sessanta gigawatt di rinnovabili entro giugno e tagliare le importazioni di gas del 20%
L’Europa alla ricerca di una propria identità energetica

L’Europa si trova oggi a un bivio. Incalzata dal combinato disposto di crisi energetica e violenza militare ai confini orientali, le prossime settimane e mesi segneranno indelebilmente il progetto di una vera e propria Unione energetica.

Frammentati in un coacervo di 27 sistemi differenti, spesso difficilmente integrabili fra loro, i governi europei dovranno essere capaci di andare oltre il proprio interesse particolare e guardare ai prossimi 5, 10 e 25 anni condividendo opportunità e costi di una transizione energetica aggravata dall’instabilità politica e tensioni sociali crescenti. Che ruolo avrà il gas naturale da qui al 2040? Chi sono i paesi esportatori considerati affidabili in cui compagnie ed economie europee dovranno investire per incrementare produzione e importazioni? Come verranno integrati e incentivati i necessari investimenti verso idrogeno e rinnovabili con l’ora necessaria ri-allocazione di importanti asset finanziari nel settore del gas? Chi sarà a pagarne i costi e assumersi i rischi, incrementati dopo l’insorgere del conflitto russo-ucraino? Soltanto un’Europa capace di rispondere in maniera integrata e strutturale a tutti i quesiti sarà in grado di uscire dalla crisi più forte di come vi sia entrata.