Gli esperti del Pentagono e del resto dell’intelligence occidentale, come gli analisti che trasmettono le loro considerazione al numero 10 di Downing street, mettono insieme i dati delle perdite russe e di quelle ucraine. Studiano le mosse e cercano di dare un senso alla brusca frenata delle armate inviate da Mosca. Una delle cause principali è davvero l’assenza della superiorità aerea che i russi credevano di ottenere così facilmente?

Fake news, video falsificati e foto riciclate dalla propaganda ucraina a parte, la VKS, le forze aerospaziali russe, stanno perdendo molti dei loro aerei e dei loro elicotteri nei cieli dell’Ucraina; che non vedono più volare i fantasmi di Kiev, ma neppure soccombono a Mosca, lasciandole la facoltà di inviare tranquillamente i suoi bombardieri a colpire un target segnati su una mappa. Lasciandolo volare indisturbati, come sono abituati a fare i piloti occidentali in Afghanistan e Iraq.

Secondo i report più ponderati, gli ucraini avrebbero abbattuto un numero significativo, ma non ancora determinante, di velivoli nemici. Si parla di almeno 20 tra caccia, cacciabombardieri ed elicotteri d’attacco e da trasporto, dichiarano gli analisti britannici che considerano solo gli abbattimenti “confermati” o conformabili. Il ministero della Difesa di Kiev invece riporta numeri molto più elevati: almeno quaranta aerei e il doppio degli elicotteri, per un complessivo di oltre 120 velivoli nemici abbattuti.

Questi numeri non sono attendibili, ma la presenza di sistemi missilistici terra-aria a lungo raggio come gli S-300, e a corto raggio come Buk, Osa e Tor, ci consente di prendere in considerazione un numero reale di perdite che oscilli tra queste due stime. Come ricorda Guido Olimpio sul Corsera, inoltre, la presenza di questi sistemi missilistici ancora attivi sta costringendo i piloti russi a condurre missioni volando a quote più basse. Questo li espone al tiro degli Stinger e Strela, i lanciamissili spalleggiabili che portano alla mente la letalità inaspettata dei mujaheedin durante la campagna sovietica in Afghanistan. Quando la Cia li rifornì di quel genere di armi, i combattetti afgani riuscirono ad abbattere quattrocento velivoli nemici, minando fortemente il morale delle truppe sovietiche e dissanguando Mosca.

Nessun paragone semplice

Secondo il Pentagono, la forza d’invasione russa potrebbero aver perso, considerando forze terrestri e aree, fra il 4 e il 10% dei mezzi dispiegati per quella che il neo Zar Vladimir Putin e i suoi generali credevano potesse concretizzarsi in una “fulminea” penetrazione in territorio nemico; con conseguente capitolazione di Kiev entro i primi due/cinque giorni di operazioni militari. Oggi invece, è il quattordicesimo giorni di conflitto. D+13, così contano i militari.


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Per gli americani, il generali del Cremlino non sono ancora da sottovalutare tuttavia. Ed è errato considerare le armate russe come “impantanate” o ancora peggio “strategicamente sconfitte”, solo ed esclusivamente perché non sono riuscite a sbrigare tutto in cinque giorno come previsto. La guerra non viaggia alla velocità dell’informazione cui siamo abituati nella nostra vita istantanea. I paragoni con il passato, con gli americani che “in tre settimane presero Baghdad” non devono trarci in inganno. Forse Mosca non ha ancora spinto il suo rullo compressore di armi, acciaio e proiettili come potrebbe. La Cia e Washington sono state molto chiare e prudenti su questo punto. Del resto “Tutto si configura diversamente quando passiamo dal regno delle astrazioni a quello della realtà”, scriveva lo stratega Von Clausewitz.

I problemi delle truppe di Putin

Le interpretazioni degli analisti e dei diversi esperti, che tengono conto di conflitti e strategie del passato, come dell’impiego o non impiego di armi del futuro, tentando di trovare risposte a ciò che sta accadendo sul campo, hanno stilato una lista di cose che potrebbero essere “andate storte” causando l’arresto dell’avanzata russa in Ucraina (se incidentale e non programmata, ndr). 

I punti focali comprendo una “scarsa preparazione” dei vertici di Mosca nel condurre operazioni che dovevano necessariamente coinvolgere un ingente numero di uomini e mezzi; che non hanno trovato il coordinamento sperato tra forze terresti e aree, cui spettava il compito di sopprimere le reti di difesa avversarie per appoggiare l’avanzata delle divisioni corazzate e motorizzate; e lo scarso addestramento degli uomini mandati ad invadere l’Ucraina, che, secondo quanto riportato da gran parte della stampa internazionale, sarebbero almeno in parte giovani coscritti provenienti dagli Oblast più remoti dell’impero.

L’Ucraina infatti non è la Siria, dove la Russia inviò team ridotti e altamente specializzati in appoggio alle forze regolare schierate da Assad. Non è un caso se in ogni operazione militare condotta dai russi nell’ultima decade, abbiamo sempre a lungo scritto e sentito parlare degli Spetnaz, i famigerati “omini verdi” che sarebbero comparsi come alieni dalla superiorità tattica temibile sia in Siria che in Libia, addirittura; ma che fino ad ora non sono mai stati nominati, né dal Pentagono, né dall’intelligence britannica, né dai giornali che hanno sempre mostrato zelo nell’invocarli. 

Poche bombe “intelligenti” e nessuna decapitazione

Non è avvenuta dunque la cosiddetta “decapitazione” del nemico attraverso la conquista – comunque registrata – degli aeroporti, e l’eliminazione nelle primissime fasi dell’attacco di istallazioni radar e per la comunicazione. Della distruzione di piste nella profondità del territorio, e delle batterie antiaeree che colpiscono ancora, dopo due settimane, i velivoli russi mandati in missione. L’assenza della superiorità aerea, nonostante gli sforzi, potrebbe essere collegata direttamente ad una  ridotta dotazione di bombe di precisione, che, come ha ricordato nella sua analisi Paolo Mauri, inizierebbero a scarseggiare in seguito al termine dei rapporti, post 2014, tra le aziende produttrici ucraine e il Cremlino. Questo costringe i vertici delle forze aerospaziali russe all’ordinare missioni di bombardamento su target in profondità, con munizionamento convenzionale a caduta libera. Missione rischiose per i piloti di Mosca che sono spesso “costretti” ad aprire i paracadute.

È un mistero se quelle elencate siano delle mancanze clamorose nella pianificazione di un’invasione sferrata da parte della seconda potenza militare del mondo (per padronanza e numero dei mezzi da schierare sul campo); o se questo sanguinoso e lento insuccesso sia tutto merito dell’esercito ucraino. Che tra sistemi anti-aerei di produzione sovietica, sapientemente dislocati sul campo, e armamenti anti-carro ricevuti a suo tempo dalla Nato, affidati ai commandos che in prima linea tendono imboscate fanno strage di tank russi, sta dando del filo da torcere a Mosca. Il conflitto ancora nelle fasi iniziali, non può portarci a nessuna semplice conclusione.

È presto per cantare vittoria nelle roccaforti ucraine che rimangono poste sotto assedio. Ed è presto, per affermare che la forza d’invasione invita da Putin si sia “impantanata”. I satelliti hanno già catturato immagini che ritraggono mobilitazioni di truppe e mezzi in Bielorussia e anche in Transnistria. Forse gli strateghi del Cremlino hanno solo deciso di consolidare le posizioni ottenute nella speranza che il governo di Kiev si lasciasse spaventare dalle bombe e dalla colonna di 60 km di mezzi militari alle porte della città. Che capitolasse, prima di sferrare un’ulteriore offensiva che in caso contrario potrebbe aprire due ulteriori direttrici. Solo il tempo e l’esito dei negoziati di pace, potranno confermare o sconfessare le ipotesi degli esperti.