Linguaggio giuridico fair: il femminile tutte le volte che è grammaticalmente corretto

Le indicazioni dell’Accademia della Crusca alla Corte di Cassazione sul linguaggio di genere corretto

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“I confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo”, scrisse il filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein, uno dei massimi pensatori del secolo scorso. Parafrasandolo con riguardo alla giustizia potremmo dire: “i confini del mio linguaggio giuridico sono i confini del mio mondo giuridico”.
Sta forse tutto in questa frase il concetto di inclusività del linguaggio: più esso è rispettoso, più include punti di vista e conoscenza.
Oggi Avvocato 4.0 parla del parere fornito al Comitato Pari Opportunità della Corte di Cassazione dall’Accademia della Crusca sul corretto linguaggio di genere nei provvedimenti giudiziari, a partire dalla loro intestazione.
La notizia è già nota; tuttavia questa iniziativa - a mio parere - ha un grande valore simbolico e pratico.
Nel parere, che pubblichiamo, ci sono tante “chicche”, scontate per i linguisti ma meno per i giuristi. Per esempio:
- il rapporto tra lingua parlata e scritta, dove è la prima quella alla quale la seconda dovrebbe cedere il passo;
- il concetto di accettabilità linguistica;
- il rapporto tra segni grafici e parlato;
- il ruolo indefettibile della correttezza grammaticale come avamposto di difesa delle differenze.
L’Accademia della Crusca ha scelto, per la sua risposta, un approccio squisitamente tecnico. È probabile che questa posizione scontenterà chi propugna approcci più ideologici, dall’una o dall’altra parte.
Tuttavia, da qualche parte bisognerà pure iniziare. E tutte le iniziative istituzionali sono importanti.
Buona lettura. 😊

Rassegnatevi: avvocato al femminile è avvocata; magistrato è magistrata; pubblico ministero è pubblica ministera. Se occorre rivolgersi ad una pluralità di persone di sesso diverso, non è necessario utilizzare femminile e maschile insieme (es cittadine e cittadini), perché basterà il maschile plurale, che comunque è sufficientemente “inclusivo”.

Il linguaggio “di genere”, per iniziare, segue le regole dell’italiano corretto. Soprattutto se il linguaggio è utilizzato in atti compiuti “in nome del popolo italiano”. Per esempio le sentenze della Corte di Cassazione.

A ricordare quanto la “semplice” applicazione delle regole grammaticali possa riequilibrare il linguaggio nel rispetto dei generi, è l’Accademia della Crusca, in una risposta al quesito sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari posto dal Comitato Pari opportunità (CPO) del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione.

Seguire queste regole di buon italiano, ci sembra di poter leggere tra le righe della risposta dell’Accademia della Crusca, potrebbe contribuire alla espansione di un linguaggio più inclusivo a prescindere dalla motivazione “tipica” di affermazione del genere ( interessante leggere la digressione dell’Accademia della Crusca sul punto) e in ambiti pubblici ulteriori rispetto a quello giudiziario. “La questione, molto sentita e molto attuale, tocca la quotidianità di chi lavora nei settori del diritto, dell’amministrazione della giustizia, della burocrazia delle istituzioni pubbliche, e interessa tutti i parlanti attenti a un uso della lingua che sia rispettoso delle differenze di genere: per questo la pubblichiamo volentieri nella sua interezza”, ha fatto sapere l’Accademia della Crusca.

Le regole, ribadisce l’Accademia della Crusca, “sono state indicate da tempo”; e quello che tuttora manca è “addestramento attento e continuo che ne renda naturale e automatico il rispetto”.

In effetti, se si guardasse il tema del linguaggio attraverso un prisma, vedremmo come esso si scomporrebbe in pezzi, tanti quante sono le sensibilità diverse che coinvolge. Tra le stesse donne ne albergano diverse: chi è indifferente; chi soffre l’utilizzo generico del maschile; chi lo adotta per dimostrare aderenza e chi lo adotta per dimostrare una percepita parità acquisita; chi pretende i predicati al femminile.

“Quello del linguaggio curato negli atti della Cassazione è un work in progress”, spiega Francesca Picardi, presidente del CPO. “Nel Comitato ci siamo lungamente chieste come fosse corretto operare e abbiamo deciso di chiedere all’Accademia della Crusca un parere tecnico, con un approccio scientifico-grammaticale; insomma un approccio obiettivo e non emotivo”.

Il CPO ha inviato il parere alla Prima presidenza, al Procuratore generale, al Consiglio nazionale forense e alla giunta Anm presso la Cassazione: "Vorremmo aprire una interlocuzione perché nulla deve cadere dall’alto. Questo è un primo passo; ma l’obiettivo più ambizioso è sviluppare attenzione sul linguaggio per superare i pregiudizi di genere culturalmente radicati e per questo difficilmente percepiti. Il nesso tra linguaggio ed esigenze di tutela è un tema che riguarda tutto l’ordinamento giudiziario, anche se il collegamento può apparire sottile”.

L’approccio al linguaggio di genere dell’Accademia della Crusca

L’Accademia della Crusca, per togliersi dalle contrapposizioni “radicali” sul linguaggio di genere oggi esistenti (quella del politicamente corretto e quella del maschile/neutro comunque inclusivo), sceglie come linee guida a cui attenersi a) la correttezza grammaticale e b) la accettabilità linguistica, ossia il quantum assorbito nell’italiano corrente.

L’Accademia della Crusca compie altre due operazioni: una inaspettata riabilitazione e una altrettanto inaspettata bocciatura. La prima ribalta la riflessione “femminista” del linguaggio di genere: quella del maschile cosiddetto non marcato (l’utilizzo del plurale maschile per indicare categoria di persone di sesso diverso). Ci sono casi in cui, contrariamente a quanto si creda, è “ inevitabile: se lo si volesse annullare interpretando il maschile in maniera assurdamente rigida, occorrerebbe rivedere tutti i testi scritti italiani, compresi quelli giuridici, occorrerebbe insomma riscrivere milioni di pagine, a cominciare dalla Costituzione della Repubblica, che parla di “cittadini”, senza reduplicare “cittadini e cittadine”, ma intendendo che i diritti dei cittadini sono anche quelli delle cittadine”…

La bocciatura invece riguarda (perdonate la semplificazione giornalistica), la scelta linguistica della premier Meloni (vedi infra).

Vediamo allora i consigli del vademecum sul linguaggio di genere dell’Accademia della Crusca.

Evitare le reduplicazioni retoriche

Ossia la duplicazione del termine, declinato sia al femminile che al maschile, come per esempio nel caso di “cittadine e cittadini”, “espediente pur largamente utilizzabile in contesti di pubblica oratoria e di valenza retorica”.

Si possono scegliere al loro posto, se possibile, altre forme neutre o generiche (nell’esempio cittadinanza); e quando non sia possibile, il maschile plurale “inclusivo”, che a differenza del singolare risulta comunque accettabile (caro cittadino: no; cari cittadini: accettabile).

Evitare l’uso dell’articolo determinativo davanti ai cognomi di donne

Nonostante l’uso dell’articolo determinativo di fronte al cognome maschile fosse un tempo ammesso nel caso di personaggi celebri del passato (il Manzoni, il Leopardi ecc.), oggi è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile. “Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, estemporanea e priva di motivazioni fondate”, dice l’Accademia che evidenzia come, proprio nell’ambito giudiziario, il mancato utilizzo dell’articolo determinativo può provocare una perdita di informazioni (“ La presenza di Rossi in aula” si riferisce a un uomo o una donna?).

Ma poiché l’opinione della valenza discriminatoria dell’articolo determinativo dinanzi il cognome è entrata nel sentimento comune, il linguaggio pubblico ne deve tener conto. Semmai, se è utile dare maggiore chiarezza al genere della persona, sarà sufficiente aggiungerne il nome al cognome, o eventualmente la qualifica (“La presenza di Maria Rossi” o “La presenza della testimone Rossi”).

Segni “eterodossi”: vietata la schwa

Lo scevà o schwa, l’ǝ dell’alfabeto fonetico internazionale che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue, non è presente in italiano, ma è utilizzata in alcuni dialetti della Penisola (nei quali peraltro non compromette sistematicamente la distinzione di genere tra maschile e femminile, così come quella di numero, tra singolare e plurale). La” lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto: la schwa quindi va esclusa”, esplicita l’Accademia. Va “tassativamente” escluso anche l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico («Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…»).

La spiegazione:

“in una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare”.

Le cariche pubbliche, in astratto va bene il maschile

Si potrà usare il maschile non marcato (per capirci: a mo’ di neutro) quando ci si riferisca in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta: «Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri» (art. 89, II c., Cost.).

Le cariche pubbliche e le professioni al femminile

Tutti ricordiamo l’uscita della premier Meloni, che ha scelto di essere indicata nei documenti con “il” presidente della Repubblica. Ebbene, l’Accademia la pensa diversamente; anzi sottolinea la necessità di un “uso largo e senza esitazioni” dei nomi di cariche e professioni volte al femminile. “Si deve far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile. Questi nomi possono essere ricavati con l’applicazione delle normali regole di grammatica (ingegnere > ingegnera, il presidente > la presidente...). L’Accademia qui non lesina esempi. Li  riportiamo nella scheda pubblicata avanti.

DECLINARE AL FEMMINILE CARICHE PUBBLICHE E PROFESSIONI
ECCO LE INDICAZIONI DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA

nomi terminanti al maschile in -o hanno il femminile in -a

magistrato/magistrata; prefetto/prefetta; avvocato/avvocata; segretario/segretaria, segretario generale / segretaria generale; delegato/delegata; perito/perita; architetto/architetta; medico/medica; chirurgo/chirurga; maresciallo/marescialla; capitano/capitana; colonnello/colonnella.

nomi terminanti in -e non suffissati sono ambigenere, cioè possono essere sia maschili che femminili e affidano l’indicazione del genere all’articolo (e stabiliscono l’accordo di altri elementi: aggettivi, participi…)

l preside / la preside; il presidente / la presidente; il docente / la docente; il testimone / la testimone; il giudice / la giudice; il sottufficiale / la sottoufficiale; il tenente / la tenente; il maggiore / la maggiore; ess. Con aggettivo: il consulente tecnico / la consulente tecnica; il giudice istruttore / la giudice istruttrice, NON la giudice istruttore. Fanno eccezione forme ormai entrate nello standard come studente/studentessa

nomi suffissati terminanti in -iere: il suffisso -iere (pl. -ieri) al maschile, al femminile è -iera, (pl. -iere)

cavaliere (cavalieri) / cavaliera (cavaliere); cancelliere (cancellieri) / cancelliera (cancelliere); usciere (uscieri) / usciera (usciere), brigadiere (brigadieri) / brigadiera (brigadiere); nel caso di titoli onorifici come cavaliere del lavoro e commendatore va considerato che finora sono rimasti al maschile anche quando assegnati a donne.

Nomi suffissati terminanti in “a” e in “-ista” sono ambigenere al singolare, mentre al plurale danno al maschile -i e -isti, al femminile -e e -iste;

il/la collega, ma i colleghi / le colleghe; il pilota / la pilota, ma i piloti / le pilote; l’avvocato penalista / l’avvocata penalista, ma gli avvocati penalisti / le avvocate penaliste; l’avvocato civilista / l’avvocata civilista ma gli avvocati civilisti / le avvocate civiliste; fa eccezione poeta/poetessa

nomi suffissati terminanti in -tore: il suffisso -tore (pl. -tori) al maschile, al femminile è normalmente -trice (pl. -trici)

tutore/tutrice; rettore/rettrice; direttore/direttrice; ambasciatore/ambasciatrice; procuratore/procuratrice; istruttore/istruttrice; uditore giudiziario / uditrice giudiziaria.

Eccezioni: hanno il femminile in -tora (pl. -tore) pretore/pretora; questore/ questora; e il femminile in -essa (pl. -esse) dottore/dottoressa;

nomi e aggettivi suffissati terminanti in -sore: il suffisso -sore (pl. -sori) al maschile, al femminile è -sora (pl. -sore);

assessore/assessora; difensore/difensora; estensore/estensora; revisore/revisora; supervisore/supervisora; fanno eccezione femminili ormai acclimatati come professore/professoressa.

Nomi e aggettivi terminanti in -one (pl. -oni): hanno normalmente i femminili in -ona (pl. -one)

commilitone/commilitona; fa eccezione campione/campionessa.

Nomi composti con vice-, pro-, sotto- e sintagmi con vicario, sostituto, aiuto; conta il genere della persona che deve portare l’appellativo: se è donna andrà al femminile secondo le regole del sostantivo indicante il ruolo, se è uomo andrà al maschile

vice, vicaria/vicario, sostituta/sostituto; ess. Prosindaco (anche se il sindaco è donna) / prosindaca (anche se il sindaco è un uomo); vicesindaco/vicesindaca; sottoprefetto/sottoprefetta; sostituto procuratore / sostituta procuratrice; prorettore vicario / prorettrice vicaria;

L’interesse della Corte di Cassazione per il corretto linguaggio giuridico: pari opportunità e non solo

La richiesta di parere all’Accademia della Crusca da parte del Comitato Pari opportunità della Corte di cassazione si inserisce in un percorso avviato da tempo proprio per “promuovere un linguaggio giuridico inclusivo, sia sul piano della prospettiva di genere, sia quanto all’uso di una terminologia ed uno stile che, pur rispettosi del necessario rigore giuridico, possa avvicinare il cittadino alla Corte e favorire la comprensibilità delle sentenze e dei provvedimenti”, si legge nella Relazione inaugurale del nuovo anno giudiziario. “Il tema, lungi dal poter essere considerato un aspetto secondario nell’economia dei molteplici problemi che gli Uffici di legittimità si trovano ad affrontare, rappresenta una questione cui riservare adeguata attenzione, nella consapevolezza che il linguaggio è fortemente condizionato dall’approccio socioculturale del contesto di riferimento e che l’adozione di un linguaggio inclusivo può diventare un importante fattore di promozione della parità di genere”.

Riguardo al primo aspetto, ossia al linguaggio di genere, il CPO ha fatto sapere di aver promosso, anche tramite la collaborazione proprio con l’Accademia della Crusca, “ l’adozione di un lessico inclusivo a cura dei Capi degli Uffici attraverso l’uso di standard e linee guida di riferimento, stimolando- è l’auspicio- “un’evoluzione che si ponga come patrimonio comune – piuttosto che come iniziative di singoli, foriere di disorientamento e comunque inadeguate, soprattutto se rapportate alla realtà istituzionale degli Uffici di legittimità”.

In merito al secondo aspetto, ossia al miglior utilizzo del linguaggio giuridico in funzione di generale comprensibilità e dunque inclusività, il CPO annuncia l’elaborazione di uno studio mirato delle sentenze, che valga ad individuare possibili aspetti critici e correlate soluzioni, per promuovere l’elaborazione di possibili standard e format, anche strutturali, idonee a semplificare e rendere più immediatamente comprensibili le decisioni.

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