Il Sole 24 Ore
Stampa l'articolo Chiudi

Come curare un arto fantasma

Vilayanur S. Ramachandran


Mi occupo di neurologia comportamentale. I pazienti neurologici che hanno subito una piccola lesione nel cervello o un piccolo cambiamento genetico hanno a volte cambiamenti mentali profondi eppure selettivi che chiamiamo «deficit percettivi e cognitivi», e non soltanto un generale ottundimento delle facoltà mentali.
Questo ci consente di correlare struttura e funzione, e di capire come mai una massa gelatinosa di un chilo e mezzo che sta nel palmo della mano può contemplare lo spazio interstellare, il senso dell'infinito, di Dio, dell'amore, della carità e della pietà. E addirittura contemplare se stesso che contempla, quello che chiamiamo senza molto rigore auto-consapevolezza di sé.
Ci sono pazienti che continuano a sentire la presenza di un arto fantasma o sostengono che appartenga al loro medico; che ne chiedono l'ablazione delle braccia; che dicono di non esistere o che il loro corpo non esista.
Abbiamo avuto addirittura un paziente che non riesce più a contare o dire il nome delle proprie dita perché ha la mano gonfia e dolente per colpa di una minuscola frattura di un osso del dito (una distrofia simpatica riflessa). È uno studio ancora preliminare, ma se viene confermato, si tratta di un caso stupefacente di retroazione di un danno fisico che danneggia selettivamente un'area del cervello (il lobulo parietale inferiore) implicato nel contare e nel nominare le dita!
Cercare di sviluppare nuove terapie è una sfida. Abbiamo scoperto che con uno specchio da cinque dollari è possibile creare l'illusione di un arto che si muove senza dolore. In certi pazienti questo basta a curare il dolore in un arto fantasma, in uno reale, e persino il dolore e la paralisi dopo un ictus. L'efficacia è stata confermata in esperimenti in doppio cieco rispetto a un placebo, per esempio da Christian Dohle per l'ictus, Jack Tsao per l'arto fantasma e Angelo Cacchio, qui in Italia, per la distrofia simpatica riflessa. Il grado di ripresa è variabile, resta da vedere quale paziente migliora di più. La tecnica del feedback con lo specchio ha anche aperto la strada a trattamenti intensivi con la realtà virtuale.
Nell'ultimo trentennio le ricerche sul cervello si sono basate sul modello dell'Intelligenza artificiale. Si pensava che il cervello consistesse in moduli specializzati, organizzati in maniera gerarchica, che autonomamente elaboravano e rendevano espliciti alcuni aspetti delle informazioni prima di trasmetterle al modulo seguente per un'ulteriore elaborazione. Che sin dalla nascita i geni avessero cablato i moduli, i quali non interagivano molto tra loro.
Ma si tratta di una rappresentazione sbagliata, salvo in casi specifici come l'area V4 per il colore o l'ippocampo per l'acquisizione dei ricordi. I moduli sono altamente malleabili, in costante equilibrio dinamico, potremmo dire, con gli altri, con l'ambiente, con carne e ossa (come nel caso della distrofia simpatica riflessa) e persino con altri cervelli attraverso i neuroni specchio di Giacomo Rizzolatti. Perfino una distinzione elementare come quella tra sensorio e motorio diventa sfocata.
Lo mostrano proprio i neuroni specchio. Nelle aree motorie dei miei lobi frontali, la maggior parte delle cellule sono neuroni dei comandi motori che scaricano quando compio un'azione specifica: se allungo la mano per prendere una matita, per esempio, orchestrano la sequenza appropriata di contrazioni muscolari nel braccio. Alcuni di essi però scaricano anche quando osservo qualcun altro farlo, e mi consentono così di simularne l'intenzione, di "leggergli in mente".
Dieci anni fa, quasi, ipotizzavo che nel permettere un'imitazione sofisticata delle capacità altrui, quei neuroni avevano favorito una rapida trasmissione lamarckiana delle invenzioni da una generazione all'altra e aggirato così la lentezza dell'evoluzione darwiniana. Con i miei colleghi, suggerivo che fossero disfunzionali nell'autismo, un'idea per la quale ci sono adesso dati suggestivi anche se non definitivi. Molte delle funzioni attribuite ai neuroni specchio – empatia, adozione del punto di vista altrui, imitazione, finzione ludica, aspetti del linguaggio eccetera – sono proprio quelle perse nell'autismo.
A parte la sua plausibilità teorica, la nostra idea è suffragata da vari studi di imaging cerebrale, alcuni fatti da noi. Se teniamo conto dei limiti di questi studi però, al momento per l'autismo la "teoria dello specchio infranto" è convincente, ma non conclusiva (come sottolineo spesso, anche se la stampa tende a dimenticarlo). Ma anche se i dati empirici sono inconcludenti, le nostre ragioni teoriche reggono: non esiste una teoria migliore per mappare in uno sotto-sistema di neuroni i sintomi specifici dell'autismo.
Ci sono anche aspetti teorici fondamentali delle funzioni cerebrali. È difficile essere in contatto con pazienti neurologici, senza confrontarsi con alcuni dei problemi cruciali della filosofia: illusione e realtà, verità e inganno, libero arbitrio e determinismo, linguaggio e pensiero e – com'è ovvio – corpo. Questi problemi impegnavano i neurologi a cavallo tra Ottocento e Novecento, come i francesi Charcot, Broca, Dejerine, ma anche Gerstmann, Hughling Jackson e Critchley. Era l'età dell'oro della neurologia, presto eclissata dal behaviorismo e dalla comparsa di nuove tecnologie. In Italia c'è stato di recente un ritorno dell'età dell'oro grazie a Bisiach, Aglioti, Berlucchi, Rizzolatti, Gallese, Buccino, Iacoboni, Ferrari e molti altri che hanno usato tecniche semplicissime per fare scoperte sorprendenti, con uno stile di ricerca che non si usa più negli Stati Uniti (Norm Geschwind e i suoi studenti sono eccezioni).
Cerco di continuare quella tradizione parlando sia di questioni cliniche concrete che di quelle teoriche che, spero, interessino i non addetti e diano nuovi spunti agli specialisti.
In passato, capitava spesso agli scienziati di presentare in un libro idee comprensibili dai non specialisti. Si pensi alle Origini dell'uomo o all'Espressione delle emozioni di Darwin, in realtà a quasi tutti i suoi libri, a quelli di Galileo e di Thomas Huxley, alle conferenze di Natale di Faraday. Nel secolo scorso sembrava che l'usanza si perdesse, ma le hanno dato nuova vita agenti letterari come John Brockman, autori come Stephen Jay Gould, Richard Dawkins, Steven Pinker, Francis Crick, Eric Kandel, Roger Penrose e Stephen Hawking.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
premio merck serono

I vincitori della X edizione


I due vincitori della decima edizione
del Premio Merck Serono sono il neurologo indiano Vilayanur S. Ramachandran con il saggio L'uomo che credeva di essere morto (Mondadori, Milano, pagg. 370, € 20,00) e Jean Echenoz con il romanzo Lampi (traduzione di Giorgio Pinotti, Adelphi, pagg. 176, € 17,00). A Telmo Pievani menzione speciale della giuria per il saggio La vita inaspettata. Il fascino di un'evoluzione che non ci aveva previsto(Raffaello Cortina, Milano, pagg. 252, € 21,00).
La cerimonia di premiazione si terrà martedì 3 luglio alle ore 19 a Roma, a Villa Miani. Nel corso della cerimonia verranno premiati tre racconti di studenti che hanno partecipato al progetto La scienza narrata, e le scuole coinvolte riceveranno una menzione d'onore ( Liceo Scientifico Avogadro, Torino; Liceo Classico Cavour, Torino; Liceo Torquato Tasso, Roma)