[Economics for dummies] Il ripudio del debito

The Great Wave off KanagawaNei commenti di un articolo precedente, d. (Barack_Obinna) pone il seguente quesito:

perche’ non fai uno scenario di cio’ che accadrebbe nel caso in cui l’italia dichiarasse debito illegittimo? (magari con l’ipotesi di limitarci a restituire il valore nominale)

(Per aumentare la leggibilità, sarò costretto a fare qualche semplificazione e a non essere dettagliato, a scapito dell’ortodossia. Vi invito a discuterne nei commenti.)

Eliminiamo subito la questione fra parentesi, cioè limitarsi alla mera restituzione del valore nominale. Semplificando, il problema principale del debito pubblico non è pagare il valore nominale, bensì gli interessi: un debito del 200% del PIL potrebbe non essere eccessivo se si è in grado di pagare gli interessi, mentre potrebbe esserlo uno da 50% se continuiamo a pagarlo emettendo altro debito (facendolo esplodere). In altre parole, se paghi gli interessi con le tue sole forze (cioè con le tasse, o meglio con gli avanzi) il problema di pagare il capitale non esiste, perché quasi certamente troverai qualcuno che comprerà i tuoi titoli di Stato. Dunque, se abbiamo i mezzi per ripagare subito il valore nominale, allora abbiamo anche i mezzi per pagare gli interessi, quindi il problema non si pone.

Ora facciamo sul serio.

Premettiamo che ci sono tre modi per ridurre il debito pubblico:

  1. generare avanzi primari (ovvero aumentare le tasse e/o tagliare le spese);
  2. ricorrere al finanziamento monetario da parte della Banca Centrale (è ciò che sta avvenendo in Europa anche se non in modo esplicito: la BCE, infatti, sta accettando a garanzia dei prestiti per salvare i PIIGS anche titoli del debito pubblico che valgono quanto un’ipoteca su Bastioni Gran Sasso);
  3. ripudiare il debito (che significa che lo Stato decide, in tutto o in parte, di non onorare le sue obbligazioni o almeno di non rispettare alcune delle condizioni).

Ripudiare il debito significa andare in default. Esso può avvenire in vari modi, ad esempio (in ordine di gravità crescente):

  • accordarsi con gli investitori per trasformare le obbligazioni esistenti in altre più favorevoli per il debitore;
  • ristrutturare il debito (ovvero promettere di ripagarlo ma in più tempo);
  • aumentare o introdurre imposte sui titoli pubblici;
  • cancellare in tutto o in parte il debito pubblico.

C’è differenza, però, tra i diversi modi, in particolare su un punto fondamentale: più il ripudio è leggero, e meno tempo occorre ad uno Stato per tornare a finanziarsi sul mercato. Ad esempio, nel caso greco, si prevede che se le forme di ripudio sono le prime due, la Grecia potrebbe tornare a finanziarsi sul mercato entro il 2012, se invece cancella il proprio debito (che è il caso che ci interessa, e che è il ripudio vero e proprio), ciò potrebbe avvenire nel giro di un decennio o anche di più.

Veniamo quindi a parlare del ripudio del debito vero e proprio. La cancellazione del debito ha alcuni lati positivi, uno dei quali è permettere il taglio delle imposte. Se non ci sono più gli interessi da pagare, le spese calano e le tasse si possono tagliare (ma, attenzione, la cosa non è automatica: nel caso italiano è molto più probabile che aumentino gli sprechi).

C’è però un lato negativo molto importante: la cancellazione del debito comporta un grave problema di incoerenza temporale. Non sto a spiegarvela nel dettaglio perché servirebbero nozioni di teoria dei giochi, ma in sostanza significa che un governo che cancella il proprio debito non può sperare che i mercati gli diano nuovamente fiducia in un futuro non così prossimo. In altre parole, se lo Stato avrà bisogno di soldi, non li troverà sul mercato per un tot di anni.

Ciò ha una conseguenza molto interessante: ad un Paese conviene il default solo se ha un bilancio in avanzo o in pareggio. Non può andare in deficit perché non può finanziarlo. In altre parole, se prima poteva spendere più di ciò che aveva (ad esempio per costruire una grande opera pubblica), ora lo Stato non può più farlo, oppure può farlo solo aumentando le tasse o tagliando altre spese.

Avrete notato una certa analogia. Un Paese (dell’area Euro) in crisi economica che non vuole ripudiare il debito è costretto all’austerity; un Paese in crisi economica che ripudia il debito è costretto all’austerity. Il problema è solo nei tempi: il primo Paese ha problemi nel breve periodo, ma torna alla normalità nel medio; il secondo Paese potrebbe avere vantaggi nel breve periodo, ma rischia di avere gravi problemi nel medio e nel lungo termine. Vediamolo brevemente.

Il primo Paese decide l’austerity, in altre parole scatena una recessione interna al fine di ridurre prezzi e salari al fine di ritrovare competitività e quindi un equilibrio nei conti pubblici grazie alla ritrovata crescita economica. Trovato questo equilibrio, i mercati riconosceranno lo sforzo fatto e saranno disposti a ridare fiducia al Paese e quindi a comprare i titoli del suo debito pubblico quando ne avrà bisogno.

Il secondo Paese decide invece di ripudiare il debito; essendo un Paese in crisi, molto probabilmente si ritroverà con un disavanzo primario, ovvero anche eliminando la spesa per gli interessi, si ritroverà con un deficit. Non potendolo finanziare sarà costretto ad alzare le tasse e/o a tagliare le spese, anche se forse in misura minore rispetto al primo Paese. È probabile una caduta in recessione come nel primo Paese, ma senza un recupero di competitività, perché la cancellazione del debito ha assestato un duro colpo al risparmio: il Paese finirà probabilmente in depressione per un decennio. Poniamo invece che il Paese abbia un avanzo primario e che decida di tagliare le tasse: se il risparmio regge, il sistema economico potrebbe avere un attimo di respiro e, con un pizzico di fortuna, ritornare a crescere. Il problema arriverà dopo: che succede se arriva un’altra crisi (le crisi sono cicliche, ovvero sono come le stagioni) che colpisce un sistema che resta non relativamente debole (è un po’ il caso dell’Argentina all’inizio dell’anno passato)? Succede che il Paese non può effettuare manovre anticicliche nel tentativo di puntellare il sistema economico. Che succede se il Paese ha bisogno di infrastrutture fondamentali per lo sviluppo? Succede che, non essendovi modo per finanziarle, vengono accantonate, ma senza di esse il sistema economico non può tenere il passo con le altre economie. (Tralasciamo altri casi, come quello della catastrofe naturale: in breve, immaginate la regione colpita dalla catastrofe come colpita da una pioggia di bombe nucleari).

In altre parole, il ripudio del debito non solo provoca austerity, ma costringe anche un Paese all’arretratezza, causando gravissimi problemi nel lungo periodo (come ho spiegato brevemente in passato, il progresso tecnologico è condizione fondamentale per lo crescita nel lungo periodo). Detto altrimenti, il ripudio del debito costringe a dismettere i piani di sviluppo nel lungo periodo a causa dell’incoerenza temporale di cui si parlava sopra.

Per questo motivo la cancellazione del debito (il ripudio vero e proprio) deve essere lasciata come ultima possibilità, poiché comporta rischi altissimi nel lungo periodo, senza essere con certezza una soluzione ai problemi del Paese, che anzi potrebbe soffrire come se tale ripudio non fosse mai avvenuto.

(Ci sarebbe un altro modo per uscire dalla crisi in fretta e senza enormi traumi, e sarebbe la svalutazione della moneta come fece l’Italia all’inizio degli anni Novanta – si ricade nel caso del primo Paese – , ma non è possibile nell’area Euro, né è concepibile che un Paese vi esca, visto che finirebbe per essere cancellato dalla cartina geografica).

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10 Comments

  1. sono sempre d. con l’account disqus..per adesso molte grazie di aver affrontato l’argomento, in giornata me lo leggo con calma e ti dico la mia

    1. Grazie a te per lo spunto (ho fatto del mio meglio, ma non sono al 100% in questi giorni: sono come sempre a disposizione per dubbi e critiche per migliorare l’articolo)

  2. Io da Gnürant, ho capito una cosa, noi italiani non siamo portati per i raionamenti sul lungo termine!

    1. Parlo seriamente: è una cosa comune a tutti i Paesi mediterranei a causa dell’educazione cattolica pensare più al presente che al futuro, al contrario di ciò che avviene nei Paesi di religione protestante. Se riuscissi a ritrovare dove l’ho visto te lo faccio avere.

      1. tutta colpa dell’invenzione del purgatorio (nel medioevo) che ti permette di strafregartene un pochino..

        1. È un tantino più complesso: dato che i protestanti credono nella predestinazione, sono convinti che avere successo in un campo significa far parte degli “eletti”, per questo si impegnano al massimo sul lungo termine (oggi non c’è più un così forte sentimento religioso, ma la competizione è rimasta parte della loro cultura). Nei Paesi cattolici, invece, la morale è fai il buono e ubbidisci se vuoi andare in paradiso (condita poi in varie salse, tipo i ricchi non vanno in paradiso per cui dai tutti i tuoi soldi a noi), per cui non sei spronato ad emergere (anche qui il sentimento religioso non è più così forte, ma è rimasta la cattiva abitudine).

        2. La teoria in questione afferma che più si va verso l’equatore e meno c’è propensione al futuro (e una curiosa curiosità è che il siciliano non ha un tempo verbale futuro, sicché quando bisogna necessariamente parlare di un’azione che avverrà in futuro si usa un costrutto con tempo presente e avverbio futuro, per esempio “domani vado in campagna”, lo stesso avviene andando un po’ più a sud: anche l’arabo non ha tempo futuro, solo perfetto e imperfetto/presente che funziona anche come futuro).

  3. Complimenti, articolo molto interessante. Come mai nello scenario che hai delineato non hai preso in considerazione una possibile nazionalizzazione delle banche per evitare il loro collasso?

    1. Il brodo era già piuttosto lungo, non mi pareva il caso di dilungarmi anche su questa problematica. 🙂

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